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LEGGERE VITALIANO TREVISAN

da | 14 Gen 2023 | Cesp, Proposte

LEGGERE VITALIANO TREVISAN

di Beppi Zambon

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Che stani incontri a volte si fanno. Si, Vitaliano girava tra di noi, alla ricerca di se e degli altri. Per condividere e dividere. Lo sentivo stridere ma mi intrigava. Le sue affermazioni assolute e blasfeme del ’politically correct’ facevano girare la testa. Ma non erano vuote asserzioni di un io errabondo e furioso, ma agganci a realtà pulsanti disperse nel globo.

Se ne è andato in silenzio, da solo. Volutamente e intensamente. Vi consiglio di ripescarlo, ne vale la pena.

Qui di seguito una recensione stimolante di Emanuele Zoppellari Perale da iltascabile.com:

Avventore dei bassifondi, antipuritano, immoralista, emarginato e dunque vicino agli emarginati cosiddetti, nel suo ultimo libro Trevisan, Céline nostrano, non fa mistero di avere in odio l’ipocrisia, la pubblica morale e un’ideologia “progressista, umanitaria e corretta”, che sulla prostituta e chi la frequenta impongono il loro stigma. Ma soprattutto Black Tulips tenta di mostrare lo scopo del viaggio: vedere con i propri occhi, questa l’espressione ripetutagli dalle ragazze frequentate. Vedere con i suoi occhi e comprendere, e mettere in discussione il suo sguardo da oyibo, da non indigeno, che è quasi inevitabilmente anche quello del lettore – “Ed era proprio questo a darmi fastidio: sentirmi bianco oltre il colore della pelle, cioè rispondere effettivamente, intimamente, a quell’inesorabile epiteto, oyibo”. Liberarsi, dunque, del proprio punto di vista imposto, che è “un occhiale eminentemente economico, di mercato”, e al contempo “lentissimissimamente re-imparare a sentire”. E idealmente rinunciare alla letteratura, già che c’è, à la Rimbaud. C’era un modo migliore per congedarsi dal mondo, e dalle lettere, che con un libro come questo?



Un destino


Idealmente, Black Tulips riempie uno dei vuoti di Works, che d’altro canto non è che un’“autobiografia selettiva”, come l’ha definita Paolo Zublena, perché incentrata sui molteplici lavori svolti da Trevisan prima dei riconoscimenti letterari. Entrambi rientrano in quella che è stata chiamata la “svolta autobiografica” della sua produzione. Non che elementi marcatamente biografici mancassero nei primi romanzi (la “pseudo-trilogia” bernhardiana di Un mondo meraviglioso, 1996, I quindicimila passi e Il ponte, 2007), anzi: li ritroviamo pressoché immutati, soltanto riscritti, nei libri successivi. (Né erano assenti anche nel personaggio da lui scritto e interpretato per Primo amore di Matteo Garrone, suo sconcertante esordio cinematografico, che fin dal titolo – beckettiano – tradisce la mano di Trevisan).

Si tratta piuttosto di un alleggerimento stilistico, uno smarcarsi dai propri modelli. Ora Trevisan, quando parla di sé, non deve più “inventare” o “affabulare”, quanto mettere insieme i ricordi, trovare una loro espressione in termini di racconto, il che costringe a un lavoro essenzialmente stilistico. E lo stile è sempre, nel senso più alto, contenuto, perché è innanzitutto espressione di sé. Si fa perfetto proprio là dove in apparenza la materia, il contenuto cosiddetto, ha meno a che fare con la poiesi, la creatività e, peggio di tutto, la fantasia, ma è solo, in senso assoluto, arte del raccontare. È proprio in questi testi che si coglie la natura più intima dello scrittore Trevisan – il suo ego scriptor, per dirla con Pound e Valéry. La vita dello scrittore è già letteratura, perché chi scrive non può fare a meno, vivendo, di pensarla in termini di letterarietà.

Addirittura, la vita dell’autore, scrive Trevisan in Black Tulips, dichiarando (per l’ennesima volta) i suoi modelli – dalla trimurti Bernhard-Beckett-Bacon ai vari Tennessee Williams, Joe Orton, Rainer Werner Fassbinder, William Burroughs –, “non è mai altro dall’opera”, anzi, “vivere o scrivere […], per chi scrive, è lo stesso”. L’uno si tramuta nell’altro, l’uno esiste solo in funzione dell’altro.

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Pubblicato da: Cesp Veneto

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