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La Lezione frontale.

da | 13 Ott 2023 | Cesp, Discussione, Materiali

di Martina Bastianello*

Questo spunto di discussione, in epoca di inglesismi che celano una didattica di mercato, pone con sincera empatia il complicato approccio alla didattica, che non è nulla di più del confrontarsi con gli altri (in questo caso gli student*). G:Z:

La Lezione frontale.

Non potevo che iniziare da Lei. Da oltre vent’anni – da quando, in buona sostanza, ho iniziato le prime supplenze – Lei viene bistrattata, offesa, vituperata, considerata fonte di sciagure: alla stregua della bella Elena – responsabile d’aver scatenato la guerra di Troia – la Lezione frontale pare abbia inflitto infiniti lutti… non agli Achei, questa volta, ma a generazioni di sfortunati studenti. Sembra che tutti, insomma, siano convinti che sia arrivato, oggi, il momento di liberarsi definitivamente della scellerata: la maggioranza dei genitori, dei docenti, dei formatori, degli opinionisti, delle aziende e dei rappresentanti del Miur forma un nutrito quanto deciso plotone di esecuzione.

Ma con chi/con cosa se la prende chi se la prende con la Lezione frontale?

“Se la prende con un fantoccio, uno spettro, un nemico costruito appositamente per poterlo combattere”, mi sono risposta – sempre più allibita – nel corso degli anni. Forse è arrivato il momento di condividere la mia risposta, sperando che ad essa si unisca un nutrito coro di risposte affini.

Primo: la Frontalità è un valore che solo i valorosi riconoscono come tale e proteggono. Per stare di fronte a qualcuno (agli studenti, nel nostro caso) ci vuole coraggio perché ci stai solo, tutto intero, con quel poco che ti sembra di sapere e quell’oceano di non-sapere che ti circonda e preme da ogni lato. Ci stai con il tuo corpo (faccia struccata, calvizie incipiente, rughe, pancetta da birra, calze smagliate, patta semiaperta…); ci stai con la tua voce che è lo strumento (scordato, stridente, tremulo, sfiancato) che racconta storie, snocciola dati, propone metafore, presenta teorie, richiama, rimprovera, elogia, interroga, grida e sussurra. Ci stai con la stanchezza della settimana sul groppone, con i guai familiari strizzati nel sottoscala della mente, con le aspettative e le frustrazioni e tu, tutto intero – quello che sei e quello che fai – tenti l’Impossibile: lasciar andare qualcosa di tuo sperando che qualcun altro, di fronte a te, lo acchiappi.

Secondo: insegnare è un atto intimo e, insieme, pubblico; insegnare è un’azione impossibile: come se tu fossi seduto sulla sponda di un torrente agitato e, sulla riva opposta, di fronte a te, si trovasse – stravaccato e perennemente distratto – lo studente. Tu prepari la tua barchetta di carta, la confezioni con cura, stiri le pieghe, ricopri i bordi con la cera affinché la barchetta resista all’acqua, calcoli la forza della corrente, la direzione da dare, il modo in cui effettuare il lancio e poi… apri la mano e lasci andare. Che la barchetta attraversi il torrente e arrivi più o meno integra dall’altra parte, che lo studente la afferri (magari con una zampata rabbiosa) è, in ultima analisi, un miracolo. Bisogna proprio essere matti per ostinarsi a provare: ogni giorno, ogni ora, tra i gorghi che attraversano l’aula, i corridoi, le palestre, le mense, i cortili, i teatri, i pullman, i cessi…

Terzo: a chi dice (tanti, da tanto tempo) che la Lezione frontale è passività che induce passività, dico: vi sbagliate di grosso, cilecca completa! Non c’è nulla di passivo nello stare, tutti interi, gli uni (docenti) di fronte agli altri (studenti), nel tentare di dire, mostrare, condividere… di lanciare la nostra barchetta, sperando che, in qualche dannato modo, sfiori l’altra sponda.

Dall’altra parte – di fronte a noi – c’è qualcuno che, tutto intero, ci guarda storto, ci ascolta a spizzichi, ci pesa col bilancino, ci giudica spietatamente, qualcuno che deve continuare a guardarci, ascoltarci, giudicarci. Occhi, orecchie, mente, corpo e tutto il resto direzionati verso quello sfigato con uno stipendio che equivale al suo peso sociale. Nello studente che sta  sull’altra sponda non c’è nulla di passivo, come potrebbe? Chi dipinge la Lezione frontale come un travaso di materia inerte da contenitore a contenitore o è in mala fede o è un imbecille (nel senso etimologico del termine): se è in mala fede, lo dobbiamo smascherare; se è un imbecille lo dobbiamo compatire. Ma in nessun caso dobbiamo accettare una rappresentazione fraudolenta della Lezione frontale! Il bambino, il ragazzo, il giovane che acchiapperà (o non lo farà) la nostra barchetta la acchiapperà a modo suo: con un gesto preciso o scombinato, veloce o lento, docile o irriverente… E se ancora, il nostro Avversario, insistesse sulla passività del setting frontale (quanto gli piace sentirsi pronunciare “setting”), esplicitiamo l’ovvio e cioè che nell’Ascolto non v’è nulla di passivo. Ascoltare è un’arte difficile, nemmeno il nostro Avversario pare, infatti, averla appresa.

* tratto da roars.it dove puoi leggere tutto il suo articolo

Pubblicato da: Cesp Veneto

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