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DISAGIO E DISSENSO (Marco Revelli)

da | 12 Lug 2025 | Discussione, Primo piano

di Roberto Ciccarelli (Il Manifesto)

In Non siamo capolavori. Il disagio e il dissenso degli adolescenti (Laterza, pp. 200, euro 15) di Marco Rovelli c’è un progetto: creare un conflitto contro la scuola che educa all’obbedienza del merito, della prestazione e della depressione per non essere «eccellenti», o «capolavori», la nuova ingiunzione coniata dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. L’idea è emersa tra gli studenti ed è stata ripresa nelle inchieste che lo scrittore-insegnante-musicista (Rovelli è un intellettuale poliedrico) ha condotto nelle scuole, dopo la pandemia e la chiusura degli istituti che hanno aumentato a dismisura l’alienazione, e la sofferenza, tra gli studenti.

QUESTA SITUAZIONE, descritta nel libro di Rovelli, ha aggravato gli effetti prodotti dalla triade neoliberale: just do it, nothing is impossible, tutto intorno a te. Sono tre idiotismi pubblicitari, elevati a comandamenti morali e considerati norme di comportamento non solo dagli adolescenti, ma dalla «società performativa degli individui». La scuola oggi, evidenzia l’autore, è un mondo che impone la violenza sociale della competizione e dell’adattamento. Intesa come istituzione la scuola non sembra essere in grado di costruire antidoti e diffonderli tra gli studenti e tra i docenti. È la scuola in cui il voto è l’unico valore, scopo e senso. Risulta impossibile aiutare l’adolescente a sviluppare un’autonomia. E gli educatori sono a loro volta formati a diventare «aguzzini prestazionali».

Questi fattori sono stati organizzati in un’economia dell’«infelicità» e creano un desiderio tossico. Su queste basi altri interpreti critici della scuola neoliberale, come Lea Melandri e il collettivo Cattive Maestre nel libro Dietro la cattedra, sotto il banco (Prospero, il manifesto del 12 novembre 2024), hanno ricostruito la formazione di un desiderio di dominio, a cominciare da quello maschile, e di un assoggettamento, a cominciare da quello femminile.
L’esplorazione di Rovelli è interessante perché si mette alla ricerca degli strumenti collettivi per organizzare il «dissenso» e usare politicamente il «disagio» forgiato nella scuola e a dispetto della scuola. La soluzione può arrivare dall’intelligenza collettiva che segue misteriose strade.

NELLE OCCUPAZIONI e nelle assemblee al liceo Manzoni o al Berchet a Milano, nei suoi dialoghi con studenti di Torino, o in Toscana, Rovelli ha dialogato con studenti e ha evidenziato la loro illuminante capacità di riflettere politicamente sulla condizione che, come loro, anche noi viviamo in una società neoliberale. Da una delle più classiche pratiche di lotta, l’occupazione di un istituto, oltre che dal confronto durante il tempo liberato creato dall’occupazione, è emersa l’idea di una «rivolta contro la nuova norma prestazionale che rende ciascuno responsabile di essere all’altezza degli standard richiesti». Non è un caso se il governo Meloni si è distinto in questi anni nella punizione di queste pratiche. La repressione mira sempre a eliminare le occasioni di incontro al di là della disciplina.

In questi conflitti si inserisce il libro di Rovelli in cui è possibile apprendere la nascita di un nuovo coraggio: sfidare il terrore del Giudizio, il non temere di fallire, di affrontare il proprio essere imperfetti. Al contrario si tratta di «rivendicare la relazione». Questo è, ad avviso dell’autore, «rivoluzionario», cioè «creare nuove forme di vita» a partire dalla scuola. Non bisogna rassegnarsi a un’idea della scuola, quella reale, cioè un’istituzione della disciplina e del controllo.

Si tratta invece di «boicottare la macchina». Rovelli cita il filosofo-psicoanalista Miguel Benasayag e parla dell’opposizione al «mondo del funzionamento senza intoppi». Così allarga la portata della sua critica alle forme più generali della cultura apocalittica che permea la sensibilità nichilista che si è fatta strada anche a «sinistra». Lo scrittore sostiene che bisogna sottrarsi al comandamento del «No future» e alla «gabbia del non c’è alternativa». Bisogna invece organizzarsi con chi «occupa le scuole», «crea pensiero critico», «agisce con il corpo e con la mente».

SI PUÒ RIPARTIRE dall’esplorazione del possibile nel presente, assumere un presente più profondo che ci permetta di agire, di avere desideri. «Non possiamo consentirci il lusso del pessimismo, che è il lusso del ricco, un lusso aristocratico, di chi gode dicendo: «Io sono l’ultimo Uomo», scriveva Benasayag.
Si può ricominciare dalla scuola. Lì dove si coltivano potenze che attraversano e sono ignote fino a quando non sono scoperte e messe in pratica, a cominciare dagli studenti, nella loro relazione con il mondo, quello che si sperimenta nell’aria che si respira, nelle prassi da inventare.

da il manifesto on line

Pubblicato da: Cobas Veneto

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