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FARE i precar3 a scuola COSTA CARO

da | 15 Ago 2024 | Discussione, Webpress

di Luciana Cimino da Il Manifesto

Pagare per restare precari. Ottenere la cattedra di ruolo per i docenti italiani è da molti anni difficile, sacrifici e spostamenti in attesa di un contratto a tempo indeterminato che rimane in buona parte legato alla fortuna. Ora anche alla capacità di spesa del precario. Le regole, è noto, possono cambiare da un anno all’altro: concorsi, aggiornamenti, scuole di specializzazione come le vecchie Sis, tirocini, corsi abilitanti, crediti. Quest’anno oltre al danno si aggiungono la beffa per i lavoratori e il guadagno per i privati.

LA RIFORMA dell’ex ministro all’Istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi, prevede il conseguimento di 60 crediti formativi per poter accedere ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo e alle graduatorie. I corsi abilitanti, anche quelli gestiti dalle università pubbliche, sono a pagamento. Una sostanziale mercificazione delle competenze che era stata, a suo tempo, molto criticata anche perché scarica la spesa della formazione sul lavoratore e non sull’azienda (in questo caso lo Stato). E che, da quando al ministero c’è il leghista Giuseppe Valditara, è esplosa. Per ottenere questi crediti i circa 250 mila precari, tra cui quelli che hanno già conseguito 3 anni di insegnamento e quelli che hanno già superato una prova concorsuale, devono, entro novembre o dicembre di quest’anno, seguire dei corsi a frequenza obbligatoria (on line, in presenza o mista).

A causa di un ritardo del ministero, le università pubbliche che offrono questo servizio non sono molte. E la tassa di iscrizione non è bassa: tra i 1.660 e i 2.500 euro. In questo ritardo ci hanno guadagnato gli atenei telematici e privati italiani, come Pegaso che è tra i più frequentati, e stranieri. «La cosa scandalosa è che si paga per rimanere precari – spiega Luigi, insegnante di italiano, storia e geografia alle medie e alle superiori a Pisa – anche chi vincerà il concorso in via di svolgimento, dovrà in ogni caso conseguire altri 30 Cfu ma non ci saranno graduatorie a scorrimento, per cui dovremo ricominciare d’accapo e partecipare ad altri futuri concorsi. È una tassa sull’intenzione di fare il professore».
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MARIO, CHE INSEGNA materie giuridiche, è stato indeciso se rinunciare all’insegnamento per non pagare «il balzello»: «Sono un bravo insegnante, ho anche superato l’esame per diventare avvocato, ma sono stato sorpassato in graduatoria da chi ha comprato titoli all’estero con 6 mila euro. È un eclatante compravendita». Anche perché il docente precario è un target straordinario per i motori di ricerca. Non appena accede a internet viene inondato di banner e annunci pubblicitari sui corsi da parte di università telematiche o straniere. «Come migliaia di colleghi precari lavoro da anni senza i crediti, adesso mi dicono che non basta la mia preparazione e che devo fare dei corsi. Obbligheranno anche chi è di ruolo?» si chiede Marta, docente a Bologna. I precari si dicono esasperati. «Insegno da 10 anni – dice Assunta, calabrese – ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto: mi sono specializzata, mi sono formata e non è bastato. A settembre dovrò scegliere se frequentare il corso senza guadagnare o accettare una supplenza».

OLTRE AI COSTI per l’iscrizione occorre considerare le spese per sostenere l’esame finale (altri 150 euro circa) e quelli necessari alla frequenza. Non è detto che i corsi relativi alla classe di concorso del precario siano attivi nella città di residenza. A volte è necessario anche cambiare regione e i calendari delle lezioni sono spesso improvvisati. «Non ci si può ammalare perché senza la frequenza si perdono soldi e posto. Più che un percorso abilitante sembra una prova di Hunger Games», commenta un utente su una pagina Facebook dedicata al concorso 2024. «Impiego 40 minuti all’andata e 40 al ritorno per seguire i corsi: sono 300 euro di benzina al mese e ne pago 550 affitto; c’è un conflitto tra la dimensione del lavoro e quella della sopravvivenza – dice ancora Luigi – si richiedono ulteriori sforzi a chi già sta portando avanti l’anno scolastico, è una follia».

«QUI NON SI TRATTA di rinunciare a una pizza ma di sacrificare il corrispettivo di due o tre stipendi», aggiunge Marta. «L’accesso all’insegnamento è un business: dietro la facciata di un processo selettivo c’è l’interesse ad alimentare l’indotto economico che ruota intorno ai concorsi», continua l’insegnante di Pisa. Il processo selettivo adesso è in base al censo. Le cattedre hanno un prezzo. Si minacciano manifestazioni ma una risposta di lotta collettiva ancora non si è avuta. «Le politiche per la scuola hanno messo in atto un meccanismo quasi scientifico per separare i precari, ognuno ha maturato torti e esigenze diverse – ragiona Luigi – unire i precari su una sola richiesta sembra impossibile, è una guerra tra poveri».

«Siamo a un punto di non ritorno per la scuola italiana. È svilente, mortificante e inaccettabile questa rincorsa a una stabilizzazione che è utopica». Dopo la denuncia del manifesto sui corsi abilitanti a pagamento per insegnanti, sono arrivate altre testimonianze. Domenico, insegnante di italiano e storia in Puglia, precario da 12 anni: «Ho cominciato nel 2011, fino al 2020 non ci sono stati concorsi o, quantomeno, ci sono stati i concorsi solo per coloro già abilitati». Adesso che i concorsi hanno ricominciato a indirli, per lui (come per molti anni) non è cambiato nulla: «Sono al secondo concorso superato con il massimo dei voti ma per entrambi non è stata prevista una graduatoria a scorrimento, come invece in ogni altro ambito del lavoro pubblico. È raccapricciante e anomalo perché così ognuno di noi rischia di inanellare concorsi superati che però poi si tramutano in nulla di fatto, una cosa che esula da ogni principio meritocratico. Con la graduatoria a scorrimento si placano gli animi perché uno pensa che prima o poi sarà assunto e si darà pace».

A SETTEMBRE dovrà frequentare i corsi abilitanti, sperare di ottenere una supplenza e prepararsi per l’orale dell’ultimo bando: «In parallelo alla professione, c’è anche una vita privata che legittimamente deve essere soddisfatta ma così di fatto nessuno di noi può permettersi neanche di chiedere un mutuo o fare passi importanti. Entrare di ruolo ormai è un terno al lotto. Tutta sta voglia di prostrarmi nuovamente a questa inconsolabile umiliazione non ce l’ho: il precariato lo sto vivendo male, va bene che la gavetta è necessaria però dovrebbe avere una fine. Dopo undici anni non devo dimostrare più nulla e lo Stato non può continuare a sfruttarmi in questo modo».

ANCHE LUI COSTRETTO ad acquistare e frequentare un corso abilitante: per sua fortuna lo hanno ammesso all’Università di Bari sborsando 2 mila euro. «Se non paghi non fai i percorsi abilitanti e continuerai a sguazzare in seconda fascia – prosegue Domenico – con il paradosso che devo fare anche il tirocinio con dei docenti. In classe ci sto da undici anni, è un’umiliazione a oltranza. Perché queste vessazioni in ambito scolastico? Perché infierire in maniera così cinica e spietata?». Altri hanno dovuto rivolgersi alle università telematiche.

L’OFFERTA rispetto a quelle pubbliche è competitiva anche perché i privati possono fare sconti e offerte o proporre pagamenti rateizzati. Le istruzioni sono chiare e il costo è diviso per pacchetti da 30, 36 o 60 Cfu (crediti). Non ci sono solo le più note, come la Link University, eCampus o Pegaso. Il decreto attuativo del ministro dell’Istruzione (e merito) Valditara, varato un anno fa, stabilisce quali enti possono erogare la formazione. Offrono corsi anche realtà come la calabrese Csu Academy o Mnemosine. Anche Il Corriere della sera ha investito in Mondoscuola «sezione del Corriere Academy dedicata a chi vuole intraprendere il percorso per diventare docente» come si legge sul sito. Un giro di affari enorme su una platea potenziale in continuo aumento.

LORENZA INSEGNA a Roma, ha fatto la sua prima supplenza subito dopo la laurea, intanto ha continuato a studiare: dottorato a Parigi e due assegni di ricerca. Ora si prepara a rispondere ai quiz per l’abilitazione. «Mi sono iscritta alla eCampus in maniera rocambolesca ma non sembrano corsi compatibili per chi lavora: se mi chiamano per una supplenza a settembre cosa faccio? Il ministero adesso mi richiede ulteriori sforzi e competenze. In cambio di cosa? È un atteggiamento sadico e punitivo».

AL SADISMO si aggiunge la vicenda kafkiana di quanti si sono iscritti ai corsi abilitanti dell’Università di Torino. Se in tutta Italia è previsto solo l’esame finale (che costa 150 euro), ai precari piemontesi tocca fare una prova per ogni materia. Viviana, precaria da 5 anni, con altri colleghi ha scritto una lettera aperta al rettore e ai sindacati: «È un aggravio di fatica inutile, un’enorme disparità. A saperlo prima molti di noi avrebbero fatto una scelta diversa, rischiamo anche di vederci assegnato un punteggio finale inferiore dato che farà media con le prove intermedie».

COME MOLTI suoi colleghi con incarico fino al 30 giugno, in questo momento riceve il sussidio di disoccupazione (Naspi): «Non so come pagare la seconda rata, una mia collega addirittura è andata a chiedere un prestito». La stanchezza è condivisa ma le pratiche di lotta no: «Non credo più alle mobilitazioni – dice ancora Domenico -. Tutti sui social protestano però poi quando c’è da fare la manifestazione nessuno scende in piazza ma è chiaro perché: in quattro anni ci hanno propinato concorsi con caratteristiche differenti, inevitabilmente si scatena una guerra tra poveri. Noi ormai percepiamo i nostri colleghi come dei potenziali rivali ed è terrificante». Lorenza denuncia: «Di questo si parla poco eppure ha un’urgenza politica notevole».

 

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Pubblicato da: Cobas Veneto

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