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EX CATHEDRA

da | 29 Giu 2024 | Cesp, Discussione, Materiali

di M. Lucivero e A. Petracca (da roars.it)

Vi segnaliamo questo intenso e sentito contributo sui temi della didattica in classe, quella praticata e non semplicemente teorizzata da dietro una tastiera.

Da diversi anni ormai si assiste, nell’ambito delle iniziative di formazione sulla didattica generale e sull’efficacia delle strategie pedagogico-educative nelle scuole, portate avanti perlopiù da esperti accademici, ma anche da insegnanti in preda ad una immotivata urgenza di innovazione didattica, ad un attacco esplicito e dichiarato alla cosiddetta “lezione frontale”, considerata un residuo del passato. Il vulnus piuttosto diffuso ultimamente da questi innovatori à la page è che quella lezione frontale sia il frutto di un atteggiamento, di un habitus, di una modalità di intendere il rapporto docente-discente completamente superato da una epocale rivoluzione antropologica, tecnologica nella fattispecie, tale da rendere assolutamente inefficace tanto quella modalità trasmissiva atavica, chiamata “lezione”, quanto la specifica modulazione dello spazio nella quale avviene, cioè lo “stare di fronte”.

Per giustificare ciò che appariva già ingiustificabile in quel momento alla maggior parte degli addetti ai lavori, e che dopo si è rivelata una clamorosa forzatura, durante il periodo del Covid si è data la stura ad una nuova modalità didattica che voleva essere alternativa e innovativa. In realtà, quella andata in scena, cioè la Didattica a Distanza (DaD) non era affatto il nuovo, ma era una modalità già attuata e abbondantemente abusata dalle varie piattaforme, cioè quelle adottate dai diplomifici e dalle università online, che già erogavano, ed erogano ancora oggi con maggiore legittimazione pedagogica e didattica rispetto a prima, corsi per “adempiere” incombenze burocratiche, per “recuperare” anni scolastici o per “acquistare” un titolo di studio.

Ecco, noi allora, ma pure subito dopo, non avevamo mancato di chiederci, anche tra le pagine di questa Rivista,[2] se la scuola fosse in quel frangente, nel generale tripudio e nell’ubriacatura digitale collettiva, ancora lì per “adempiere”, per esercitare una funzione surrogatoria e succedanea rispetto alla sua missione primaria oppure rimanesse ancora più pervicacemente di prima una istituzione nata per mettere in atto una funzione altamente “educativa”, che si svolge necessariamente in prossimità, stando alla larga da quelle solitudini prossemiche che avevano lacerato il tessuto sociale e civile in quei terribili mesi.

Poi, in qualche modo, si è cominciato a riflettere meglio sul significato e sull’apporto della tecnologia informatica nella didattica, soprattutto nell’insegnamento di discipline come la filosofia e le scienze umane in generale, nonché sui danni che l’esposizione al digitale potesse avere sulle giovani menti in formazione e si è giunti alla conclusione, ribadita in maniera apodittica a più riprese anche dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, che se ne può fare anche a meno.[3] Ma, nonostante ciò, la vulgata corrente, condizionata mediaticamente, e non può essere diversamente, dalla propaganda posta in essere della tecnologia informatica, rimane fortemente scollegata dalle evidenze emergenti nelle pratiche degli operatori della scuola e dalle ricerche di settore.

Così, spinto innanzi dalle logiche imposte dal PNRR e sotto il martellante richiamo dell’imperativo della digitalizzazione e della rincorsa all’accettazione supina del paradigma delle discipline STEM, il mondo della scuola sta, ci sembra, accomodandosi su soluzioni preconfezionate da soggetti privati, interessati a penetrare in modo prepotente all’interno dell’istruzione pubblica. Gli stessi docenti, del resto, accolgono quotidianamente richieste di aggiornamento in tal senso, orientati all’abbandono dei metodi classici del far lezione, in favore dell’utilizzo degli strumenti immersivi del mondo digitale (non ultimi i visori oculus), verso i quali notiamo un generale, quanto immotivato, entusiasmo. Come se fosse oramai conclamato il fallimento della relazione in prossimità, che ha definito dai tempi più antichi il rapporto tra docenti e discenti, per cui è necessario introdurre un medium macchinico e impersonale attraverso cui simulare esperienze altrimenti solo immaginabili; come se fosse acclarato il dogma indiscutibile che la scuola debba e possa rimanere agganciata al mercato del mondo del lavoro solo salendo sul carro della digitalizzazione, altrimenti i contenuti che propone risulterebbero inefficaci, inutili; come se fosse sancito in modo definitivo che lo strumento, il supporto digitale sempre nuovo, introdotto in modo posticcio nell’ambiente di apprendimento tradizionale – l’aula che decade paradossalmente a luogo (topos) irrilevante – possa esso solo essere risolutivo dei meccanismi inceppati sulle tradizionali dinamiche insegnamento-apprendimento; come se fosse necessario per rendere significative le esperienze d’aula che esse debbano sempre assumere la forma dell’intrattenimento sensazionalistico e spettacolarizzato, pena il subentrare della noia, nemica mortale di studenti e studentesse, da scacciare sotto l’eco di una grande risata.

Ecco, è proprio all’interno del contesto attuale, in cui la Scuola pubblica pare trovare la propria ragion d’essere solo agganciandosi alle richieste di altri soggetti istituzionali e non per il suo intrinseco valore culturale e civile, trasformativo e non solo riproduttivo, che noi vorremmo provare in questo breve contributo ad esaltare le istanze generative della lezione frontale, nella fattispecie di filosofia, all’interno dello spazio d’aula, riproducibile anche all’aperto e all’esterno della scuola, ovviamente, quello in cui, persone diverse, studenti, studentesse e docenti, realizzano quotidianamente incontri che non possono essere del tutto prevedibili, né aprioristicamente tracciati. È in questo contesto, quindi, che possiamo rintracciare le basi per opporsi ai dettami di ciò che abbiamo definito Psicoistruzione,[4] provando a generare forme di sapere resistente al potere consolidato. Tale paradigma, da stravolgere, si esplicita perlopiù in progetti pedagogici architettati ad hoc, che avrebbero il vantaggio, a loro dire, di essere utilizzabili da tutte e tutti, quando, invece, risultano solo tristemente preconfezionati, standardizzati, strumentali e asserviti alle logiche socioeconomiche dominanti. È nella riproducibilità della lezione, sempre uguale e identica a sé stessa, che si alimenta il pensiero unico, dal quale è urgente prendere le distanze.

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Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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