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PSICOISTRUZIONE e dintorni

da | 9 Gen 2023 | Materiali

Produciamo qui uno stralcio da un ricco intervendo postato su roars.it: “Il bluff del merito e della flessibilità nella società prestazionale. I rischi della Psicoistruzione”. Non tragga in inganno iI termine psicoistruzione che può echeggiare Orwell o Roberto D’Agostino. In questo denso articolo ci si addentra con cognizione di causa ed effetti nelle spinte verso l’istruzione 4.0 con il correlato PNRR che le uscite di Valditara ora e di Biancchi prima banalizzano agli occhi e alle orecchie di molti insegnanti, genitori e studenti. Troppo spesso abulici ed insipienti o ridotti a critici critici da tastiera. Buona lettura. G.Z.

PSICOISTRUZIONE e dintorni

di M.Lucivero e A.Petracca da roars.it

La logica sottesa a questa nuova sbandierata concezione della scuola del merito, e alla tanto desiderata società meritocratica in generale, obbedisce ad un principio di prestazione legato alla continua e martellante necessità del soggetto di ottimizzare il proprio fare, un assunto che non era sfuggito al filosofo Michel Foucault sul finire degli anni ’70. Il filosofo francese nel suo Nascita della biopolitica, ravvisava un ripiegamento del soggetto su sé stesso, un inizio di cambiamento della gestione del potere, il quale, abbandonando le tecniche di dominio coercitivo da parte degli apparati repressivi di Stato, elaborava apparati molto più subdoli di controllo delle coscienze attraverso le tecnologie del sé, quelle che costringono il soggetto a diventare, con una incredibile eco rispetto al dettato del Comitato presieduto da Bianchi, «imprenditore di sé stesso»[2].

Foucault, tuttavia, muore nel 1984 e non può immaginare l’evoluzione del mondo dopo il 1989, tra caduta del muro di Berlino, crollo dell’Unione Sovietica e nascita del World Wide Web, eventi, questi ultimi, entrambi avvenuti nel 1991, da considerarsi a tutti gli effetti come spartiacque decisivi per il cambiamento della società e dell’economia globale al limitare del secondo secolo.

Dopo Foucault è il filosofo sudcoreano, naturalizzato tedesco, Byung-Chul Han in Psicopolitica a tracciare quelli che sono i passaggi cruciali che trasformano la società moderna del biopotere, caratterizzata dal dominio sui corpi attraverso la repressione, il controllo istituzionale, la coercizione, le istituzioni totali, nella società postmoderna neoliberale (e/o neoliberista), caratterizzata dalla prestazione, dall’ottimizzazione, dal merito, dall’eccessiva libertà che il soggetto, divenuto progetto, fatica a gestire.

È in questo quadro socio-culturale che si deve leggere il cambiamento in atto nella scuola pubblica, quella che deve puntare sul merito a partire dai e dalle docenti per terminare poi sugli alunni e sulle alunne, come dice Pietro Ichino, il quale ci spiega sulle pagine di Repubblica in che modo anche la sinistra deve credere al merito per valorizzare i figli delle famiglie meno abbienti.

Il merito diventa così la parola chiave per comprendere la transizione antropologica in atto nella nostra società, una trasformazione che valorizza l’homo faber, la prestazione, le opere, quasi come fosse un rigurgito calvinista. Il soggetto (da sub-iectus, posto sotto), sostiene Han, già connotato da un rapporto antropologico di assoggettamento, lascia il posto al progetto (da pro-iectus, gettato avanti), alla prestazione da talent show, di cui ha assunto la piena e angosciante responsabilità.

Ciò, aggiungiamo, avviene nel silenzio o con la complicità di apparati istituzionali, capaci di rigenerarsi all’interno di un processo di adiaforizzazione istituzionale. Un processo che informa pure gli apparati pubblici, fondandosi cinicamente, a partire dallo smantellamento del welfare state, dell’autonomia differenziata e dalla privatizzazione di servizi essenziali, sull’intreccio perverso tra la loro sottomissione a logiche di mercato iperliberiste e una ipocrita mistica della sollecitudine, una sorta di «lubrificazione dei rapporti sociali attraverso il sorriso istituzionale»[3], in realtà un malcelato ghigno dietro cui si cela l’irriducibile narcisismo della politica.

In un contesto siffatto, il ripiegamento del soggetto sul progetto determina una frattura abissale, che difficilmente risulterà ricucibile, tra la dimensione politica, sociale e civile dell’individuo, che viene lasciata alla competenza del tecnico, del professionista nel globale disinteresse, ma anche nella completa incapacità di penetrare nei suoi complessi meccanismi, da cui l’adiaforizzazione deresponsabilizzante, e la dimensione privata, che, invece, viene totalmente addossata al singolo.

Da qui deriva l’assunto fondamentale della società neoliberale, accettato perlopiù come un assioma indimostrabile e necessario, tanto quanto l’assetto economico neoliberista attuale: se l’individuo-progetto fa bene, allora egli viene valorizzato, premiato, può avanzare. Se, invece, l’individuo fa male, allora viene sanzionato, riprovato, castigato, subisce una diminutio, perché non conta la sua esistenza nuda, ma il suo mero fare, che è sempre fungibile, sostituibile da ciò che è più efficiente nella società flessibile, che rende anche giuridicamente più agevole il licenziamento mediante l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Ed è in questo continuo clima di pressione che la nostra società manda in tilt il cervello di milioni di persone, così come manda in tilt il cervello di milioni di studentesse e di studenti, generando quella che è l’attuale prospettiva della Psicoistruzione, vale a dire un regime scolastico ansiogeno, iperstressante, laddove la controparte alla valorizzazione del merito è la colpevolizzazione del demerito. Tutto ciò si inserisce perfettamente nel solco dell’attuale concezione dominante nella società neoliberista, per la quale la stessa povertà, la cui responsabilità non è da imputare che a sé stessi, subisce un pesante processo di colpevolizzazione.

La Psicoistruzione, appendice educativa inerente le politiche scolastiche di quella che viene definita Psicopolitica da Han, è lo specchio di una concezione della libertà personale che, da un lato, si mostra in una veste meramente formale e non sostanziale, dall’altro esprime un punto di vista pericolosamente individualistico, sganciato dalle forme cooperative e collettive di crescita della comunità scolastica, prima, e della società civile, dopo.

Da questo punto di vista, è psicotica anche la condizione in cui versano i docenti e le docenti della scuola pubblica, che devono orientarsi tra i richiami all’efficienza pedagogica di strategie didattiche come il cooperative learning, la peer education, la recente vulgata mediatica sulla scuola senza voti, da un lato, e la necessità di scremare, discriminare e catalogare, valutando e giudicando, per mezzo di prove parallele, test INVALSI e prove oggettive una massa informe di studentesse e studenti il cui futuro non è associato ad alcun progetto, se non quello della futura civiltà tecnologica, interpretata perlopiù come una necessità impellente.

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Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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