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MATURITA’ 2019. La riforma della prima prova degli esami di Stato: dove sono finite la “libera espressione della personale creatività” e le responsabilità della Commissione?

da | 6 Gen 2019 | Materiali

La riforma della prima prova degli esami di Stato: dove sono finite la “libera espressione della personale creatività” e le responsabilità della Commissione?

di Bianca Tognolo, CESP Padova

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La riforma degli Esami di Stato voluta dal governo di centrosinistra e di cui l’attuale governo sembra svolgere volentieri il ruolo di esecutore testamentario, sta passando nel disinteresse generale e senza produrre vere reazioni, pur contenendo evidenti elementi di arretratezza.

Tra questi vale la pena ricordare: l’inserimento del percorso di Alternanza Scuola/Lavoro nella prova orale, dalla quale è uscita invece la presentazione del percorso pluridisciplinare elaborato dagli studenti (erroneamente chiamato “tesina”) e che, pur nei limiti che sono emersi nel corso degli anni, dava loro la possibilità di muoversi con una certa autonomia; l’eliminazione della terza prova scritta (compiacenti i mezzi di comunicazione che l’hanno sempre impropriamente definita “quizzone”, mentre poteva valorizzare il lavoro compiuto dal consiglio di classe con gli studenti nell’arco del triennio); la sostituzione della prima prova scritta proposta in parte (tipologia B) nella forma di scrittura documentata, che lasciava ampio spazio alla “libera espressione della personale creatività”, con le tre tipologie di “Analisi e l’interpretazione di un testo letterario italiano” (nuova tipologia A), “Analisi e produzione di un testo argomentativo” (nuova tipologia B) e “Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità” (nuova tipologia C), che in realtà si presentano tutte, compresa l’ultima, come prove strutturate.

Pur riconoscendo la necessità di aggiustamenti e correttivi alla precedente normativa (a titolo di esempio, i requisiti per l’accesso al punteggio integrativo e una modulazione più equilibrata dei punteggi per le diverse prove), non si possono quindi non vedere, appunto, i forti elementi di arretramento e il tentativo di accentrare ancor più le decisioni verso l’alto: ne è chiara testimonianza il fatto che la seconda prova potrà vertere su più di una disciplina, costringendo studenti e docenti alla rincorsa nello svolgimento dei “programmi” per poter “coprire” quanto richiesto dalla traccia ministeriale non per una sola disciplina, ma probabilmente almeno per due. Tutto questo mentre anche per le classi quinte si impongono le prove Invalsi di Italiano, Matematica e Inglese, alla vigilia degli Esami. Non è certo segno di “cambiamento” aver sospeso per l’anno in corso il vincolo di queste prove come requisito di accesso agli Esami. Si tratta appunto solo di una dilazione temporale, non di un ripensamento né tanto meno di un “cambiamento”.

Si potrà dire che l’indifferenza generale è motivata anche dal mancato rispetto delle scadenze annunciate e dalla vaghezza con cui si ammanta come innovativo il contenuto di comunicazioni che in realtà non innovano e non chiariscono nulla. A questo si aggiunge il fatto che il Ministero oramai, in questo caso come altrove, non si prende la responsabilità di emanare norme giuridicamente fondate (in ordine gerarchico: leggi, decreti, ordinanze), ma si limita a pubblicare “comunicazioni” con le relative “note di accompagnamento”, per cui è facile prevedere che, ancora una volta, sarà nelle “conferenze di servizio” che i titolari degli uffici territoriali si faranno interpreti della “norma” non scritta, per diventare loro stessi organi legiferanti.

Ma proprio per la vaghezza, a mio avviso colpevole, e per il contenuto che essa tenta di celare, credo sia necessario tenersi costantemente informati, analizzare quanto ci viene messo a disposizione e, nei limiti del possibile, ritagliarsi degli spazi di autonomia.
Restringendo quindi il campo alla prima prova scritta, è interessante leggere il contenuto di un paio di interviste rilasciate da Luca Serianni, nella duplice veste di coordinatore prima della “task force istituita dal ministero per arginare le carenze degli studenti” e poi della Commissione incaricata di riformare la prima prova scritta.
Il testo integrale della prima intervista è stato pubblicato su Repubblica il 18 settembre 2017, quello della seconda intervista, datata 24 dicembre 2018, è scaricabile dal sito di “laletteraturaenoi” (rivista diretta da Romano Luperini).
Di seguito si riprendono quindi, commentandoli, i passaggi più significativi in particolare della seconda intervista, che entra nel merito della prima prova scritta.

Le sollecitazioni a cui sono sottoposti gli adolescenti

“In primo luogo abbiamo cercato di tenere conto di tutte le tipiche sollecitazioni alle quali, specie sul piano comunicativo, gli adolescenti sono sottoposti oggi, nel definire adeguatamente le caratteristiche dei testi che si chiede di elaborare”.
Gli esempi diffusi online a metà dicembre dal MIUR non sembrano fare diretto riferimento alle “tipiche sollecitazioni alle quali, specie sul piano comunicativo, gli adolescenti sono sottoposti oggi”
. Iluminante al riguardo è la lettura del modello di traccia per la nuova tipologia A in cui si chiede di commentare “il gusto della vita fatto di ozio, libertà, gusto di fantasticare” di Comisso, che ne scrive nel clima drammatico – che sembra non lo riguardi affatto – del primo dopoguerra, dopo aver combattuto come volontario ed aver partecipato all’occupazione di Fiume.
D’altra parte, gli studenti che sostengono le prove non sono più adolescenti, a maggior ragione se si insiste formalmente (anche nel sito del MIUR) nel ripristino della definizione “Esami di Maturità”, che era stata saggiamente sostituita con quella di “Esami di Stato”.
Forse è un’altra spallata verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
La competenza di comprensione del testo non letterario
“Nello specifico il documento invita decisamente a valorizzare la competenza di comprensione di un testo dato, una competenza che tradizionalmente si verifica sui testi letterari ma che crediamo sia necessario verificare anche su testi non letterari, dal momento che si tratta di una competenza estremamente rilevante”.
In realtà la “competenza di comprensione di un testo dato” dovrebbe essere sollecitata quotidianamente dallo studio dei libri di testo di ogni disciplina (come Serianni è costretto ad ammettere, affermando che “dovremmo riferirci […] anche alla comprensione dei libri di testo in adozione, in italiano come nelle altre discipline”), al di là del fatto che i candidati agli Esami l’abbiano acquisita o no e a quale livello.
Del resto è sempre Serianni ad affermare che la stessa competenza, per iniziativa del suo gruppo di lavoro, è già stata inserita come oggetto di valutazione nelle “nuove prove di italiano della scuola secondaria di primo grado”, come a sottintendere che, pur dovendo essere acquisita (e certificata) alla conclusione del primo ciclo della scuola secondaria, probabilmente non lo è ancora alla fine della scuola media superiore, dopo altri cinque anni, e quindi a dare per scontato e immodificabile il fallimento della Scuola italiana.
Forse sarebbe necessario intervenire per tempo a favore dell’apprendimento di questa fondamentale abilità piuttosto che sottoporla a ripetuta verifica e valutazione nelle prove d’esame dei due cicli.
A questo riguardo, quando dal governo di centrosinistra fu messo a capo della” task force istituita dal ministero per arginare le carenze degli studenti”, Serianni affermava “Voglio essere chiaro: non è che tutti i ragazzi devono diventare scrittori o usare la scrittura per professione. Saranno piuttosto chiamati a interpretare ciò che li circonda nel mondo, a comprendere un testo, sia esso un modulo, una circolare, un documento […] È ingenuo pensare che leggendo molto si impari a scrivere e a riflettere sulla lingua, questo vale per adulti colti non per i ragazzi”, dove perlomeno non è chiaro come “i ragazzi” possano apprendere l’abilità di comprensione di un testo se in realtà la lettura – ovviamente di testi – viene presentata come un’attività sostanzialmente inutile, destinata solo ad “adulti colti”.

Lo spazio per l’elaborazione critica

“Nel saggio breve [della precedente formula degli Esami di Stato] era prevista la presenza di documenti e testi di appoggio che, a nostro avviso, spesso eccedevano la quota che ragionevolmente può essere metabolizzata dagli studenti, i quali venivano indotti quasi sempre a citare tutte le fonti che erano state messe a loro disposizione. Ciò determinava un percorso di ricognizione passiva sui testi, che conduceva di fatto alla redazione di un centone, senza che potesse emergere una vera elaborazione critica da parte dei candidati, cosa che rappresenta invece un aspetto fondamentale nella valutazione delle competenze in uscita dal secondo ciclo. Così abbiamo deciso di mantenere lo spirito dell’argomentazione nella prova della tipologia B, nella quale abbiamo comunque previsto uno o due testi di partenza [nei modelli finora pubblicati solo uno], lasciando però maggiore spazio allo studente per considerazioni autonome, dal momento che— ripeto — è fondamentale al termine di questo ciclo di istruzione verificare che il candidato abbia acquisito una sufficiente maturità critica di fronte a un tema che coinvolga in qualche modo i suoi interessi e le conoscenze raccolte durante gli anni di studio”.
Dietro queste affermazioni emerge la convinzione che un atteggiamento critico è possibile solo di fronte a un’unica informazione/opinione, mentre mettendo a confronto più informazioni ed opinioni ci si limiterebbe a una “ricognizione passiva sui testi “e alla “redazione di un centone”.
Così come non sembra corrispondere a quanto finora pubblicato dal MIUR (circolari, note di accompagnamento alle stesse, esempi di prove) l’affermazione che le consegne per ciascuna tipologia diano “maggiore spazio allo studente per considerazioni autonome”.
E’ lo stesso Serianni a riconoscere la presenza di “vincoli” anche se afferma (senza alcuna argomentazione a sostegno) che essi “non rappresentano un condizionamento della prova e non devono essere intesi come dei pesi per lo studente, ma come delle guide. Proprio come una strada con una segnaletica che serve per orientarsi meglio”.

A titolo di esempio, basta leggere le consegne che “i ragazzi” dovrebbero rispettare nell’analisi del testo di Umberto Eco proposto dal Ministero come modello per la tipologia A:

1. Analisi

1.1 Riassumi il contenuto del testo dell’autore, indicando gli snodi del suo ragionamento.

1.2 Evidenzia la tesi dei “moralisti culturali” contestata dall’autore e le tesi che egli contrappone. 1.3 Individua gli argomenti che l’autore porta a sostegno delle proprie tesi.

1.4 Riconosci la differente funzione comunicativa delle virgolette (“…”) che evidenziano alcuni termini ed espressioni.

1.5 Soffermati sugli incipit di paragrafo (Oggi…, Di fronte a…, Si può quindi concludere…) e sui connettivi (È Vero… / ma…; Infatti…), spiegandone la specifica funzione testuale.

1.6 Esamina lo stile dell’autore: il testo si snoda in prevalenza con una sintassi ipotattica, ricca di subordinate e di incisi. Quali effetti produce questa scelta stilistica?”

La Storia (e il Diritto) nelle prove d’esame

“Il tema di storia veniva scelto da uno scarso numero di studenti — non più dell’1% — e questo a nostro avviso era il segno evidente che qualcosa non va nella didattica della materia. Ciò probabilmente è legato anche all’esiguità delle ore a disposizione dei docenti, esiguità alla quale si potrebbe ovviare iniziando ad anticipare già nelle prime classi alcuni temi del Novecento che, come per la letteratura, spesso non si riesce ad affrontare con la dovuta completezza. […] così per l’ambito del diritto, se si vogliono introdurre questi temi lo si può fare a partire anche dalla storia antica, che è quella insegnata nel biennio delle superiori. Quale migliore occasione della didattica della storia romana per fare riferimenti al diritto romano e alla sua ripresa in epoca medievale, per sottolineare elementi di continuità rispetto ad alcuni istituti giuridici? Pensiamo ad esempio al Placito di Capua, formula testimoniale relativa all’usucapione, che rappresenta un elemento di continuità con il nostro presente. Può essere solo una curiosità o qualcosa in più, dipende da come questi spunti possono diventare un’occasione per allargare il discorso, facendoci entrare in temi di grande peso culturale anche se a rigore non di storia stricto sensu”.

A questo punto sarebbe interessante sapere quale delle due alternative è quella scelta da Serianni: “anticipare già nelle prime classi alcuni temi del Novecento (in riferimento alla Storia) o, nel biennio delle superiori” sfruttare “l’occasione della didattica della storia romana per fare riferimenti al diritto romano e alla sua ripresa in epoca medievale, per sottolineare elementi di continuità rispetto ad alcuni istituti giuridici […] Pensiamo ad esempio al Placito di Capua, formula testimoniale relativa all’usucapione, che rappresenta un elemento di continuità con il nostro presente” [?!?!].
Vale la pena ricordare che il Diritto non era ambito disciplinare per alcuna delle prove previste dalla precedente normativa degli Esami di Stato e forse anche che un bravo insegnante di Storia non può esimersi dal fare riferimenti a temi che riguardano il Diritto affrontando la Storia dell’età contemporanea, in qualunque indirizzo di studi svolga il suo lavoro, per cui ogni studente che si presenta agli Esami dovrebbe essere in grado di argomentare facendo riferimento al Diritto, magari non proprio al Placito di Capua.
Forse, peraltro, Serianni non è informato che intanto, dopo la riduzione a due ore settimanali di Storia imposta dalla Riforma Gelmini per tutti gli indirizzi, ad esclusione del Liceo classico, nelle stanze del Ministero è stata decisa una ulteriore riduzione, nei professionali addirittura a una sola ora settimanale, meno di Scienze motorie o quanto IRC o Materia alternativa.
Del resto, afferma sempre Serianni, “dobbiamo accettare che il tempo tradizionale di scuola si è ridotto”. “Accettare” cioè come un dato naturale e come tale immodificabile, anche quando se ne vedono i danni sempre più gravi.

Gli indicatori perla valutazione della prima prova
“Quelle che abbiamo fornito non ci sembrano indicazioni troppo restrittive, anche perché le vere e proprie griglie di valutazione rappresentano un momento successivo che non ci riguarderà più” […] (tradotto: ce ne laviamo le mani, prendetevi voi la responsabilità). Quelle indicazioni “andranno declinate con un inevitabile margine di autonomia da parte della commissione d’esame: non dimentichiamo, infatti, che la commissione decide sulla base dell’unico vincolo delle tracce che devono essere quelle disposte dall’autorità centrale, per il resto ha una notevole autonomia ed elasticità. Eravamo tenuti a indicare qualcosa e lo abbiamo fatto credendo proprio di mantenerci assolutamente generali”
.
Basta leggere direttamente le indicazioni pubblicate dal Ministero (v. “Quadro di riferimento per la redazione e lo svolgimento della prima prova scritta dell’esame di Stato” pubblicato dal Ministero a fine novembre e che contiene anche la “Griglia di valutazione per l’attribuzione dei punteggi”), per verificare quanta autonomia venga lasciata alla Commissione. Certo viene lasciata l’autonomia di scegliere a quale punteggio corrisponda la valutazione di sufficienza, dato che non se ne trova cenno in alcun documento, a partire dal Decreto legislativo 62/2017 che ha dato il via alla Riforma degli Esami di Stato. Se i componenti della commissione Serianni erano “tenuti a indicare qualcosa” forse sarebbe stato necessario che quel “qualcosa” fosse stato preciso almeno da questo punto di vista e con un documento giuridicamente fondato, non certo con un’intervista o con le “note di accompagnamento” alle “comunicazioni”.

In attesa di avere chiarimenti almeno con l’Ordinanza Ministeriale, di cui è annunciata la pubblicazione per gennaio, sarà interessante vedere a quanti pericoli di ricorso andrà in contro la Commissione d’Esame con indicazioni così vincolanti e allo stesso tempo così vaghe.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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