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UNA SCUOLA FONDATA SULLA BELLEZZA

da | 14 Ott 2014 | Materiali

Meglio una scuola fondata sulla bellezza

di Emanuele Rainone da vivalascuola

La Repubblica è fondata sul lavoro, la scuola è fondata sul sapere

La Repubblica è fondata sul lavoro. La scuola è il luogo principale di formazione del cittadino. Ergo: anche la scuola deve essere fondata sul lavoro. Questo finto sillogismo ha tutto il sapore di un sofisma che soltanto un classico esercizio scolastico – di quelli che solitamente non servono per “lavorare” – può smascherare. Se infatti l’ouverture della nostra Costituzione individua nel lavoro il fondamento della cosa pubblica, non segue che esso debba necessariamente essere anche il fondamento della scuola.

Che la scuola non possa fondarsi sul lavoro dipende da un motivo molto semplice, tanto semplice da passare spesso inosservato: chi può chiedere ragione del lavoro, sollevare questioni di senso sull’agire umano, sospendere l’opacità delle azioni che quotidianamente i cittadini mettono all’opera per far fronte ai naturali e sociali bisogni della comunità, è solo la scholé, intesa proprio in senso classico, come il tempo dedicato alla libera riflessione, quello che i latini traducevano con otium, la negazione del neg-ozio (nec-otium).

E la nostra scuola, nonostante il fatto che negli ultimi decenni sia stata invasa da un volgare e ideologico gergo aziendalista che ha progressivamente fatto slittare il sapere e la conoscenza nei termini del saper-fare e delle competenze, è il luogo, insieme all’Università, dove, ancora oggi, si dovrebbe aver il tempo per riflettere liberamente e per imparare a riflettere liberamente.

La scuola produce soggetti critici

L’efficientismo e il produttivismo che soffocano le nostre ristrette menti post-industriali o post-moderne, o semplicemente “post” (post-mentali?) impongono domande ripetitive ed ossessive alle quali è difficile sottrarsi. E dunque non ci sottraiamo: “cosa produce la scuola?”. Ebbene: la scuola produce soggetti critici.

Rammentiamo che “critico” ha radice comune con “crisi”, il cui significato etimologico è quello di “scelta”: entrambi derivano da krinein, saper giudicare, distinguere, decidere. “Soggetto critico” quindi sarebbe quasi un’espressione ridondante, perché la caratteristica di ogni soggettività dovrebbe essere proprio la capacità di scelta. E per poter scegliere bisogna sapere. Senza conoscenza, senza la capacità di orientarsi nel pensiero – nella complessità dei saperi contemporanei – senza la capacità di ragionare logicamente, non c’è scelta. E se non c’è capacità di scelta, non c’è libertà.

Questo è il compito della scuola: istruire per educare alla cittadinanza, intesa come un agire consapevole e critico nei confronti del mondo che ci circonda. Questo non può avvenire mediante un semplice lavoro formale, perché il sapere è fatto di contenuti, materie, discipline, che ci presentano “pezzi” di realtà. È questa l’enciclopedia dei saperi – anch’essa perennemente in crisi – che, nella forma del curricolo scolastico, viene ancora oggi insegnata nelle nostre scuole.

Parole che suonano un po’ vecchiotte: forse qualcuno ci crede ancora?

Fonda la conoscenza sul lavoro chi è smarrito di fronte alla conoscenza

È sempre più diffuso nel senso comune che quello che si impara a scuola non serve nella vita, tanto meno per “trovare” un lavoro. E il senso comune è assurto a linea guida del progetto di riforma del governo, tanto che, per ovviare a questa presunta inutilità della scuola “ tradizionale” (che si vorrebbe magari “rottamare”), si propone la novità della scuola fondata sul lavoro.

Qui ci troviamo su di un terreno vischioso, perché tutti i termini della questione e financo i significati delle parole risultano alterati. Non si parla forse del “secolo della conoscenza”, della “conoscenza” come “innovazione” e come volano principale per la creazione di lavoro? Tutto questo, cosa ha a che fare con quello che si impara a scuola? Con la trasmissione del sapere, la conoscenza della scuola?

La conoscenza-innovazione ha come motore e finalità il profitto, la conoscenza che viene trasmessa a scuola la formazione di soggetti critici. Queste due forme di “conoscenza” sono ovviamente in relazione, ma identificarle senza alcuna distinzione può essere un errore grossolano.

Anche qui, confessiamolo, ci muoviamo sulla difensiva: il nuovo che avanza è allergico alle distinzioni scolastiche troppo sofisticate, tantomeno alla distinzione tra mezzi e fini. E, d’altra parte, a poco servirebbe affermare eroicamente il valore in sé della cultura e della conoscenza, così come proporre una pre-moderna e rigida distinzione tra teoria e prassi. E dunque?

Il piano del governo, senza troppi patemi filosofici, fonda la conoscenza sul lavoro: se la scuola è il luogo di trasmissione della conoscenza e del sapere, ed essa è fondata sul lavoro, allora la conoscenza e il sapere sono fondati sul lavoro. Qualsiasi cosa sia il conoscere. Anzi, forse perché in questione è proprio lo smarrimento di fronte alla conoscenza, che si vuole frettolosamente far coincidere con il lavoro.

Bellezza e desiderio di conoscenza

Certo, stiamo forzando un po’ la mano, ma solo perché vogliamo ricordare una vecchia storia, sperando che ci sia ancora qualcuno in grado di capirla o quantomeno di avere la pazienza di ascoltarla.

“Quando nacque Afrodite, gli dei si riunirono a banchetto, e c’era fra loro Poro figlio di Meti. Terminato il pranzo arrivò per mendicare, data l’occasione festiva, Penia, che girava intorno alle porte. Ordunque Poro, ubriaco di nettare (il vino non esisteva ancora), entrò nel giardino di Zeus e appesantito com’era si addormentò. Allora Penia, meditando nella sua indigenza di avere un figlio da Poro, gli si distese accanto e concepì Amore”.

È trascorso un po’ di tempo da quando Platone scrisse questi famosi passi del Simposio. Forse troppo. Ma se qualcuno ha dimenticato il senso della storia che Diotima racconta a Socrate, proviamo a ricordarglielo. Del resto, come dice Platone stesso, conoscere è ricordare. Il filosofo, nell’imbarazzo di fondare la conoscenza, parte nientemeno che dall’amore e dalla bellezza, dal “generare nel bello”. Per rendere ragione del movimento originario che “innesca” il desiderio di conoscere, deve ricorrere alla natura ambigua e mediana di Amore (figlio di Poro – risorsa, abbondanza – e Penia – indigenza, mancanza); ma soprattutto, il quid che fa accendere la fiammella è la bellezza.

È solo l’esperienza della bellezza che strappa gli individui dalla loro condizione di ignoranza e accende il desiderio di conoscenza. E questo per un motivo molto semplice:

“gli ignoranti – come ricorda Diotima – non aspirano a diventare sapienti, perché l’aspetto negativo dell’ignoranza consiste appunto nel fatto che un individuo che non è sapiente sembra a se stesso degno di stima. E certamente chi si considera privo di difetti non può desiderare ciò di cui non pensa di aver bisogno”.

Questo, chi fa scuola, lo sa bene: è letteralmente impossibile convincere gli studenti con soli argomenti razionali della bontà o soltanto dell’utilità dello studio. Il refrain è sempre lo stesso: non serve per trovare un lavoro, tanto meno per far soldi; quindi non serve a nulla. Ci vuole ben altro per “agganciare” i nostri studenti, si tratta di accendere un desiderio. E questo si può fare soltanto mostrando la bellezza insita in ogni conoscenza.

Una scuola fondata sul lavoro è un sogno spezzato

Chissà se gli estensori del documento governativo abbiano mai sentito muoversi qualcosa nel loro animo leggendo una poesia, provato un senso di meraviglia al termine di una dimostrazione matematica, stupore nel venire a conoscenza di una regola grammaticale che prima utilizzavano in modo irriflesso senza saperne il motivo, oppure soltanto un semplice interesse nella scoperta dell’etimologia di una parola, ad esempio la parola “desiderio” (de-sidus-eris: “distogliere lo sguardo dalle stelle”)?

Chi ha fatto esperienza almeno una volta nella vita di questa bellezza – che altro non è che il ri-conoscer se stessi nella conoscenza che viene insegnata – difficilmente potrà pensare che la conoscenza sia basata sul lavoro. Così per la scuola, il luogo deputato alla generazione, quindi alla sopravvivenza, di quella bellezza.

C’è tempo per pensare al lavoro nella vita (quando il lavoro c’è… o quando non c’è…), lasciamo che almeno a scuola si possa sognare, stupirsi, meravigliarsi di quello che l’uomo è riuscito a scoprire, immaginare e inventare, nel corso della sua lunga storia. Una scuola fondata sul lavoro è un sogno spezzato, una scuola fondata sulla bellezza è l’inizio di un sogno.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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