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Pinocchio ucciso

da | 12 Mar 2013 | Materiali

il nostro logo è pinocchio e a lui, con grande piacere, dedichiamo questo scritto

Pinocchio ucciso

di Nadia Aguston da vivalascuola

Sono libri (Alice e Pinocchio) allegri e pieni di ombre dolorose perché riflettono sulla morte dell’infanzia. La necessaria fine dell’infanzia, che solo se la si racconta può rivivere. Di autori che sanno che il mondo non è fatto per i bambini. (Stefano Benni)

Pinocchio è un bambino da usare, il suo destino è dare di che vivere a Geppetto, è costruito per uno scopo, ha un padre povero che vuole dal figlio-burattino qualcosa. Come tutti quelli la cui la vita è pensata da altri in anticipo è un mal nato, uno che non è un granché e oscuramente lo sa, intuisce che così lo si condanna e appena sente le proprie gambe infila la porta di casa e scappa. Un carabiniere lo ferma subito, i minorenni non possono andare in giro da soli, la famiglia, la casa sono la gabbietta dove cinguetteranno, chissà se di rabbia o di noia.

Pinocchio comunque è un tipo legnoso, resistente al bastone, anche morale, perché ha la fibra di chi sopravvive. E’ il bambino che prima agisce e poi pensa, ma ha l’istinto del guerriero non del servo. E’ anche attore, ma il suo teatro è lui stesso, senza fili, spettacoloso. Vende l’abbecedario e finisce tra le marionette di Mangiafuoco, e qui i burattini e le burattine lo riconoscono. Immaginiamoli questi disgraziati intenti a una recita che rallegri adulti e ragazzini più fortunati. Loro sono quelli messi al lavoro, corpi che producono soddisfazione per chi può comprarsela. In Afghanistan è diffuso un tipo di spettacolo in cui bambini maschi, affidati a un protettore-impresario, si esibiscono davanti a uomini adulti, cantando, danzando e recitando. Dopo lo spettacolo è più che tollerato avvenga altro, ma se qualcuno poi ci va di mezzo per una denuncia, non è l’adulto, ma il bambino.

E’ chi subisce che viene imprigionato e condannato; accade a Pinocchio con il giudice somigliante a un gorilla che lo fa mettere in cella perché è stato derubato. Derubare l’infanzia non è un reato in nessuna parte nel mondo. In America i ricchi e iper-nutriti bambini sono l’arma di genitori divorati dalla fame di successo al punto che chiedono ai loro ragazzi una perfezione intollerabile, a volte degenerante in follia, più spesso in comportamenti autolesionisti.

Pinocchio è il bambino credulone, viene indotto a pensare che quattro denari sepolti in un campo faranno crescere un albero di monete d’oro. Ovviamente è un inganno, ma non lo è meno il finale di Collodi che fa del burattino il bravo ragazzo a cui i piccoli miracoli accadono, perché il duro lavoro paga sempre, ma tanto poco e male che c’è appunto bisogno del miracolo perché abbia un vestito, quando a malapena può procurare il bicchiere di latte al padre. La paga scarsa, la necessità incombente uccidono Pinocchio. Se non per sé il poverino si commuove per il genitore, chissà se pensa, mentre tira su l’acqua e intreccia panieri, che dopo una vita di lavoro, il caro Geppetto, non ha una lira, ha bisogno del figlio ex credulone, ex crapa dura, ma in fondo in fondo crapa sana se sentiva inconsciamente la presa in giro del potere di conio risorgimentale e ancora recente, ma forse proprio per questo crudele con la “sua” gente; “sua” come una proprietà.

Vorrebbe quel pezzo di legno da stufa gridare subito una rivolta, alla Franti e non immolarsi e fare, che so, la piccola vedetta lombarda, che tanto ci commuoveva, uccisa da una pallottola austriaca. A scuola, anche quando ci stavo io, il mito del risorgimento non era scalfito da nulla. Non c’era critica possibile. Lontano il tempo di una traccia d’irriverenza sulla patria, come quella che trovai in Dino Campana, nella dedica dei Canti Orfici. Ricordo che quando la lessi pensai ad uno scherzo.

Mito germanico o sfida, l’imperatore Guglielmo aveva almeno il pregio di non mascherare la realtà e all’Asburgo Francesco Giuseppe i sudditi potevano fare causa e vincere, mentre nel nuovo paese d’Italia parlavano le cariche a cavallo dei carabinieri e le fucilate in piazza.

Pinocchio è il bambino ucciso dai grandi, ingannato, portato a vedere il miracoloso dove la sua fatica non basta. Appare così la bella fata turchina, simbolo di un femminile consolante e quanto mai tempestivo, alla Florence Nightingale. Alla durezza dei tempi si contrappone il candore della veste, il turchino, il pallore del volto quasi a suscitare un desiderio di umanità che cancella il burattino di legno, redimendolo intimamente.

La normalità imposta a Pinocchio è il preludio ad esistere nella dieta regolata dal potere, imposta di solito ai corpi che non contano. La chiamassero normatività avremmo tutti ogni tanto il dubbio che la vita sia ben altro, invece nel mondo a rovescio i malandrini vanno liberi, i cattivi vincono, le vittime hanno bisogno di “miracoli”, i carabinieri ormai hanno letto Pasolini, ma facciamogli leggere Collodi è attualissimo, e il Gennariello delle Lettere luterane vive da un bel po’ nella finzione di un paese dei balocchi dove il bestiario va ben oltre gli asini.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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