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Perchè la legge 953 non è una buona legge

da | 27 Set 2012 | Materiali

Perchè la legge 953 non è una buona legge

di Anna Angelucci

Coordinamento Scuole Secondarie di Roma*

Partiamo dai più recenti dati di cronaca:

mercoledì 19 settembre scorso, PdL – UdC e PD hanno bocciato gli emendamenti di IdV a favore della scuola statale e la VII Commissione della Camera ha licenziato al Senato l’attuale versione del ddl 953, “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali”.

In buona sostanza, si chiedeva di richiamare nel ddl gli articoli che assegnano alla scuola il ruolo fondamentale di rimozione degli ostacoli che impediscono l’esercizio della cittadinanza (art. 3), che vincolano l’esercizio delle autonomie locali esclusivamente alle esigenze del decentramento amministrativo (art. 5), che sanciscono sul piano costituzionale la libertà d’insegnamento e l’istituzione della scuola statale della Repubblica, obbligatoria e gratuita.

Che cosa è stato fatto, invece? Sono state apportate modifiche scontate, in alcuni casi risibili, chieste con una sola voce da tutti i diretti interessati e quindi demagogicamente ineludibili, che riguardano: il riferimento alle norme generali sull’istruzione (art.1, comma 3); l’adozione di regolamenti attuativi per quanto attiene al funzionamento degli organi interni (art.1, comma 4); l’indicazione della necessità di una maggioranza pari ai 2/3 per redigere, modificare, approvare lo statuto (art. 3, comma 1a); la garanzia di una rappresentanza paritetica genitori/studenti (art 4, comma 1c); l’inserimento nel Consiglio dell’Autonomia di un rappresentante del personale ata (art4, comma 1c1); il recupero del Consiglio di Classe (art. 6, comma 5bis), completamente cassato nella versione precedente; l’inserimento di un rappresentante dei docenti (e degli studenti nella scuola superiore) all’interno del nucleo di autovalutazione d’istituto (art. 8, comma 1); e infine, l’insediamento di una commissione di monitoraggio biennale del processo attuativo della legge su proposta del MIUR (art.11 bis)

Tutto questo è sufficiente a rendere la 953 una legge accettabile? No, la risposta è no.

E non perché, come qualcuno a torto ci accusa, nel mondo della scuola siamo ideolgicamente contrari ad ogni cambiamento!

Preliminarmente, vorrei sottolineare il fatto che questa legge è stata discussa in camera caritatis, nel chiuso della VII Commissione, presieduta dalla deputata del Pd Manuela Ghizzoni, e non in Parlamento, come se fosse una legge “priva di particolare rilevanza nazionale”, ma soprattutto non con i cittadini, tutti ‘portatori d’interesse’ rispetto al governo della scuola; né è stata accompagnata da un confronto preliminare con docenti e studenti, reali protagonisti della vita scolastica quotidiana.

Con questa legge si abrogano gli organi collegiali istituiti a livello nazionale dai decreti delegati del ’74 e si sostituiscono con nuovi organi di autogoverno regolamentati in modo autonomo dalle singole scuole; si obbliga ogni singola scuola a farsi un proprio statuto e a emanare i propri regolamenti; si sottopone l’attività di progettazione delle attività didattiche e di valutazione collegiale degli alunni alla disciplina dello statuto e dei regolamenti; si consente l’accesso a privati e a partner anche finanziatori negli organi di governo della scuola, compreso l’organo di valutazione interna, e vogliamo considerarla una legge priva di rilevanza nazionale?

Gli emendamenti apportati a questa legge, per esempio la garanzia della rappresentanza studentesca alle superiori o del personale tecnico-amministrativo, non ne cancellano la ratio, che resta inaccettabile: consegnare la scuola della Repubblica alla discrezionalità di statuti e di regolamenti diversi da scuola a scuola; legittimare e promuovere l’ingerenza degli interessi privati, variamente declinati a livello locale, nella scelta, nell’organizzazione e nella valutazione delle attività formative.

Tutto questo contraddice ontologicamente il concetto di autonomia disegnato a livello costituzionale, dove la scuola statale è, senza nessuna ambiguità, patrimonio della Repubblica nelle sue articolazioni istituzionali e non territoriali; dove, senza nessuna incertezza, la scuola statale è finanziata esclusivamente e obbligatoriamente dallo Stato e non dal privato e dove la scuola privata è finanziata esclusivamente e obbligatoriamente dal suo committente privato e non dallo Stato.

Nella Costituzione non ci sono ambiguità semantiche: non si parla di servizio, non si parla di comunità educante, non si parla di bene comune, non si parla di progetto, non si parla di offerta formativa, non si parla di territorio: alla scuola si assegna il compito altissimo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, di promuovere la libertà e l’eguaglianza di tutti i cittadini. E solo una scuola giuridicamente ordinata in modo omogeneo e unitario può promuovere, attraverso pari opportunità di accesso ad un’istruzione qualificata e qualificante da Nord a Sud, libertà e uguaglianza. La Repubblica, una e indivisibile, nelle sue articolazioni istituzionali che vanno dal Comune allo Stato, garantisce attraverso la Costituzione l’unità di un sistema d’istruzione che noi vogliamo costantemente finanziato secondo parametri europei, questi sì davvero irrinunciabili.

Anche la libertà d’insegnamento è sancita dalla nostra Costituzione. E la scuola è sempre stata la cinghia di trasmissione della nostra memoria culturale e storica, dalle generazioni passate alle generazioni successive.

Libertà e responsabilità sono i due poli che alimentano costantemente le nostre scelte nell’esercizio della nostra professionalità e della nostra funzione di docenti. Non si possono patteggiare contenuti e metodologie didattiche con i soggetti pubblici o privati che, con questa legge, saranno membri del consiglio dell’autonomia, finanzieranno le scuole e parteciperanno alla costruzione dell’offerta culturale e delle scelte pedagogiche dei singoli istituti.

La scuola statale si è profondamente rinnovata negli anni ’70 attraverso battaglie e mobilitazioni che hanno dato vita agli organi collegiali attraverso i decreti delegati. Gli organi collegiali sono stati il frutto di una grande stagione di partecipazione civica e di impegno politico, che aveva come ‘faro’ l’idea che la scuola fosse davvero una palestra di cittadinanza e di democrazia per tutti, giovani e adulti.

Questa legge li abroga, con l’idea del tutto infondata che se nelle scuole quella partecipazione non c’è più, la responsabilità sia da attribuire a consigli di classe o a consigli d’istituto ormai inadeguati e che il nostro tentativo di difenderli costituisca una sorta di accanimento terapeutico!

In realtà, il problema è a monte: l’eccessivo ampliamento dei poteri di gestione della dirigenza scolastica (da Bassanini a Brunetta, per intenderci); il progressivo diminuire degli investimenti (mette appena conto ricordare che, dall’entrata in vigore dell’autonomia scolastica ad oggi, il budget previsto dalla legge si è sempre più assottigliato, con un taglio del 70% in poco più di 10 anni); la mancanza di una reale centralità e significatività della scuola nella riflessione, nell’agenda e nell’investimento culturale prima ancora che economico delle forze politiche che si sono succedute negli ultimi anni: tutto questo ha generato passività e rassegnazione. Anche nella scuola si avverte quella disaffezione verso le istituzioni e verso la politica, intesa come partecipazione alla cosa pubblica, che dilaga nella società italiana contemporanea, alimentata dalla certezza che grandissima parte della nostra classe politica esprima il peggio degli italiani, non solo in termini di valori morali ma anche sotto il profilo dell’intelligenza, delle competenze e delle capacità.

I promotori di questa legge, e mi riferisco in particolare al Partito Democratico, dovrebbero interrogarsi sulle loro responsabilità precise nell’aver allontanato i cittadini dalle forme democratiche della partecipazione politica, non solo nella scuola. Il teatrino delle primarie, della rottamazione, del falso giovanilismo tutto di maniera, in un partito i cui dirigenti, membri del Parlamento italiano, mentre impongono lo statuto alle scuole non rispettano il proprio, noi non lo accettiamo più.

Detto tutto questo, passiamo al da farsi:

In primis, i sindacati devono promuovere assemblee nelle scuole per illustrare e discutere i contenuti di questa legge, ancora sconosciuta alla maggior parte dei docenti, dei genitori e degli studenti e, in particolare, la FLC CGIL deve cogliere questa occasione per liberarsi dall’ambiguità degli atteggiamenti che l’hanno caratterizzata rispetto alle scelte politiche ed economiche degli ultimi governi, deve liberarsi della sua sudditanza politica al PD, deve trovare la forza e il coraggio di dire no, senza se e senza ma, ad una legge assolutamente inaccettabile per la scuola italiana.

Poi, i mass media, loro sì responsabili di un servizio pubblico di informazione, devono parlarne e promuovere un dibattito intorno a questa legge tra intellettuali, membri della società civile, addetti ai lavori e non, per suscitare consapevolezza nell’opinione pubblica sul destino che un manipolo di parlamentari, nominati da apparati di partito e non democraticamente eletti, sta riservando alla scuola statale, cioè al nostro Paese e alle sue generazioni future.

Infine, tutti i docenti devono riflettere attentamente, avendo ben chiaro che la sussidiarietà del privato in un regime di autonomia statutaria si tradurrà inevitabilmente in aziendalizzazione e privatizzazione dell’istituzione scolastica, con buona pace del suo mandato costituzionale.

Se non è stato il blocco dei contratti, la soppressione degli scatti d’anzianità, la diminuzione reale dello stipendio, la riforma delle pensioni, il furto di miliardi di euro ai finanziamenti di scuola e università, il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori della scuola e adesso un concorso-monstre per docenti già più che titolati, che porterà via ancora centinaia di milioni di euro dalle casse esangui del nostro bilancio, mi auguro che il progetto di dismissione definitiva della scuola della Repubblica possa scuotere le loro coscienze.

Ogni legge che definanzia scuola e università, ogni legge che erode il diritto allo studio, ogni legge che riduce gli spazi di democrazia è un affronto per ogni lavoratore, per ogni cittadino italiano. Questa legge, anche se non presenta formalmente aspetti di illegittimità costituzionale, nella sostanza ripudia il mandato istituzionale che la Costituzione ha assegnato alla scuola 64 anni fa.

Non dobbiamo permettere che ciò accada.

*Intervento presentato alla I° assemblea del Coordinamento Nazionale “Per la Scuola della Costituzione” – Roma, 23 settembre 2012

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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