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PRESIDE – PADRONE

da | 8 Ago 2012 | Proposte

Il preside padre-padrone

Il preside padre-padrone è quanto di peggio possa capitare ad una scuola, e non soltanto perché gli insegnanti, non tutti ovviamente, avvertono su sé stessi un peso che li porta a sentirsi oppressi e quindi ad avvertire un senso di vuoto e talvolta di “inutilità” del loro ruolo. Purtroppo ne esistono. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti, perfettamente conosciuti ai massimi vertici dell’amministrazione scolastica provinciale e regionale. Il primo dei risultati negativi è quello dell’annuale “emigrazione” degli insegnanti, sempre numerosa e sempre dalle stesse scuole. E con l’emigrazione degli insegnanti viene a mancare la continuità didattica, che dovrebbe stare alla base del programma operativo e del progetto educativo e formativo.
Di fronte all’annuale “emigrazione” degli insegnanti (e magari anche del personale Ata), una domanda è d’obbligo. Si tratta di un esercito di insegnanti “fannulloni” oppure si tratta di un dirigente a tempo indeterminato che non è in grado di gestire la scuola e di collaborare con gli insegnanti, e che agisce da padre-padrone in una scuola dove non debbono esserci né padroni, né servi, né oppressi?
E c’è anche da chiedersi se in quella scuola esistano o non esistano dipartimenti ed eccellenti competenze di docenti, tali da fare da riferimento e da volano per un’attività didattica assolutamente operativa e di elevato livello. Oppure se esistano o non esistano comportamenti lesivi nei confronti della libertà dei docenti, singolarmente o per gruppi di lavoro operativi, per quanto concerne l’insegnamento.
D’altra parte, chi svolge la funzione di dirigente scolastico non è diventato dirigente per elezione (vedremo come si potrebbe essere eletti e da chi) sulla base di un programma condiviso; un programma che pertanto avrebbe ottenuto al fine di essere realizzato l’attiva partecipazione certamente della maggioranza che quell’elezione aveva voluto, e con essa anche la partecipazione di quella elettoralmente minoritaria, magari fortemente “critica” e con evidenti finalità di successo alla prossima tornata elettorale, impegnata a dimostrare la positività di una qualificata alternativa.
L’attuale funzione di dirigente scolastico deriva da un concorso (e lasciamo, al momento, perdere di entrare nel merito della questione concorso, anche perché in Sicilia ne abbiamo uno che dal 2004 è uno strazio irrisolto e forse addirittura irrisolvibile; e della questione concorsi, sulla quale molto ci sarebbe da dire e molto è certamente a tutti ben noto). E la nomina è a tempo indeterminato, addirittura con indeterminata presenza nella stessa sede, per decenni, fino alla pensione.
Ci sarebbe da non crederci, eppure è vero: il piano dell’offerta formativa deve essere costruito, naturalmente con riferimento alle indicazioni e alle competenze del Consiglio d’istituto e del Collegio dei docenti, durante i mesi iniziali dell’anno scolastico, così da essere presentato e addirittura consegnato ai genitori degli alunni in occasione dell’iscrizione dei loro figli all’anno scolastico successivo, perché quel piano deve essere attuato appunto durante l’anno scolastico successivo. Ebbene, c’è qualche scuola che il cosiddetto Pof (e lasciamo perdere quanto viene a riguardare la grammatica e la sintassi; anche perché un esempio, addirittura, si trova nella legge 202/2010, quella per la “rinnovazione del concorso per dirigenti scolastici” annullato dal CGA per la Sicilia, là dove è scritto “a seguito del superamento di tale prova scritta con esito positivo”, il legislatore immaginandosi la possibilità di un “superamento” con esito “negativo”!) lo “costruisce” a novembre o a dicembre dell’anno scolastico in corso per attuarlo nei mesi successivi, e comunque riferendosi a quanto è stato già attuato dal mese di settembre.
Ho avuto modo di leggere un intervento sulla “pluralità di impegni a cui sono sottoposti oggigiorno i dirigenti scolastici”, e debbo dire che mi sono sembrati, nonostante consideri importanti gli impegni, di non estenuante portata, anche perché, in definitiva, esistono, personalmente scelti dal dirigente scolastico o nominati a seguito di elezione in sede di Collegio dei docenti, parecchi incarichi di collaborazione retribuiti. In Germania, invece, il preside non ha collaboratori da lui scelti e non è totalmente esonerato dallo svolgere l’attività didattica di competenza: è obbligato a svolgerne almeno un terzo.
La questione elezione del preside, della quale ho in parte trattato nell’intervento postato il 17 dicembre 2010, dal titolo “Elezione del preside: le scuole non hanno bisogno di dirigenti in pianta stabile e che agiscono da padroni”, potrebbe addirittura evitare l’attuale situazione, e cioè quella di dover vedere alcune migliaia di scuole date in reggenza, anno dopo anno, senza limite di tempo, a dirigenti scolastici a tempo indeterminato nella scuola di pertinenza. Di concorso da bandire, soltanto promesse, lunghe promesse dall’attendere, cioè dall’onorarle, niente affatto corto, anzi rimaste soltanto promesse, sempre rinnovate come promesse e sempre rimaste senza attuazione. Una testimonianza, questa delle scuole affidate in reggenza, addirittura ministeriale e governativa di come il numero dei dirigenti scolastici può essere ridotto al momento del 25% e di come le scuole possono essere diversamente dimensionate: magari da un minimo di 800 a un massimo di 1.400 iscritti, e conseguentemente giungere a 8.000 ma anche a 6.000 dirigenti scolastici, pur sempre tali per elezione diretta, sulla base di una competizione tra candidati ciascuno con una proposta di programma da realizzare.
Le risorse risparmiate potrebbero ben essere destinate a migliorare l’offerta formativa, anche con attività didattiche integrative, e quindi a ridare occupazione a molti, tra docenti e personale Ata, ex precari e ora disoccupati dopo anni di lavoro nelle scuole italiane.
Come ha evidenziato Pasquale Almirante, “con l’elezione del preside da parte dei docenti, si otterrebbe pure l’affermazione più determinata e sicura della nuova frontiera della scuola e cioè dell’autonomia scolastica che anche nella elezione diretta del suo dirigente avrebbe modo di consolidarsi”.
Dirò di più nell’esporre un percorso più articolato, ma con più ampia partecipazione democratica.
Peraltro, ritornando a evidenziare quanto ho già avuto modo di dire nel mio precedente intervento (17 dicembre 2010, ora in archivio alla voce “dirigenti”), il sistema universitario, confermato in questo aspetto dalla recente legge di riforma universitaria che ha addirittura ridotto il numero delle figure (presidi di facoltà, direttori di dipartimento, ecc.), è retto su base elettorale (e le consistenze numeriche dei docenti, del personale non docente, degli assegnisti, dei dottorandi di ricerca, degli studenti e di tant’altro sono parecchio più elevate di quelle di un istituto scolastico dimensionato tra 500 e 900 studenti). Le figure istituzionali, compresa quella del rettore, possono ottenere la riduzione dell’impegno didattico, ma giammai l’esonero, e oltre allo stipendio ricevono per la carica ricoperta un compenso mensile aggiuntivo, decurtato dell’aliquota Irpef, di circa 700 euro per il rettore, di circa 350 per il preside di facoltà, di circa 300 euro per il direttore di dipartimento e di circa 200 euro per il presidente del centro di gestione amministrativa e del corso di laurea.
Per quanto concerne le scuole, il dirigente scolastico può ben essere eletto dai docenti e dal personale Ata (quest’ultimo con voto ponderato, e cioè, per esempio, dieci preferenze corrispondono a tre o quattro voti pieni) con contratto a tempo indeterminato. Ma si potrebbe anche pensare a una elezione da parte di quanti fanno parte del Consiglio d’istituto (in rappresentanza dei docenti, del personale Ata e dei genitori degli alunni, che a loro svolta sono stati eletti dalle rispettive categorie di appartenenza). Comunque, un’elezione sulla base di un programma condiviso e da realizzare nel triennio del mandato, con possibilità di essere rinnovato da una nuova elezione per un secondo triennio. E sappiamo tutti che se il programma è condiviso, si può essere certi che l’impegno a realizzarlo è di chi lo ha votato, e a quest’impegno può certamente aggiungersi quello di quanti svolgono la loro attività nella stessa scuola. Peraltro, l’elezione del preside può fare da drenaggio alla “fuga” dei docenti che ogni anno caratterizza non poche scuole.
Naturalmente, al dirigente eletto deve essere riconosciuta un’indennità mensile aggiuntiva allo stipendio, così come accade per le figure istituzionali delle università. Quindi, anche l’esonero parziale dall’attività didattica: 1/3 attività didattica, 2/3 attività di gestione della scuola. Le funzioni strumentali potrebbero essere trasformate in direttori di dipartimento, con orario aggiuntivo per gli insegnanti ai quali vengono affidate su base elettorale, continuando a percepire il compenso attualmente previsto dalle disposizioni tuttora vigenti. Inoltre, per meglio utilizzare il fondo d’istituto e qualsiasi altra risorsa economica, non più di un incarico retribuito con le risorse del fondo d’istituto agli insegnanti e al personale Ata, evitando così l’incetta che tuttora caratterizza la gestione di non poche scuole.
L’elezione del preside è garanzia di scelta democratica, di effettiva partecipazione, di concreto impegno, di adesione a un programma, di collaborazione alla realizzazione, di permanenza nella stessa scuola. Si tratta di una formula che eliminerebbe il mercato della preparazione, meglio dire delle “vacche grasse”, al concorso per dirigente scolastico (a quello ripetutamente promesso, e tuttora soltanto ripetutamente promesso, sembra che parteciperanno almeno 120.000 docenti), grossolanamente gestito anche da dirigenti scolastici, come peraltro è accaduto e accade per il concorso annullato dal CGA per la Sicilia, per la “preparazione” di ex vincitori del concorso annullato e di ex non ammessi alla prova orale dello stesso concorso nella tormentata attesa di conoscere le modalità della rinnovazione. A parte l’ingerenza della politica e dei sindacati che di ben altro avrebbero dovuto occuparsi, dato che le condizioni complessive del sistema scolastico italiano sono effettivamente “precarie” rispetto al ruolo che l’educazione, l’istruzione e la formazione debbono svolgere nella società della conoscenza, così da garantire alle giovani generazioni un futuro di progresso sociale e di sviluppo economico.
In ogni caso, non è oggettivamente e affatto vero che a vincere il concorso a dirigenti scolastici siano assolutamente i migliori. In premessa è stato messo in evidenza. Ma va detto con chiarezza che tra coloro che non risultano tra i vincitori, e addirittura che sono tra i non ammessi alla prova orale del concorso, non sono pochi coloro che sono generalmente conosciuti come docenti professionalmente competenti e preparati, e tali certamente sono. E che purtroppo la “sorte” concorsuale gli è risultata contraria. Si tratta della legge che caratterizza i concorsi, la correzione degli elaborati, e purtroppo, in conclusione, l’attribuzione del “voto” in sede di prova orale. Ma c’è anche qualcosa di parecchio negativo. E cioè che può risultare tra i vincitori, e quindi diventare dirigente scolastico, anche chi giammai sarebbe stato democraticamente eletto tale. Per esempio, un insegnante il cui comportamento è ritenuto ed è negativo: lettura del giornale in classe mentre gli alunni, di scuola elementare, debbono restare in silenzio e immobili, braccia conserte, seduti; sgridati e addirittura castigati nelle forme e nei modi più strani ed inconcepibili; permanenze in ambienti diversi dall’aula; sommaria attività didattica, o altro di altrettanto negativo. Eppure, dalla partecipazione a un concorso…! E gli insegnanti della scuola assegnatagli a subirne le conseguenze. Il sistema dell’elezione democratica non solo non gli avrebbe mai consentito di partecipare, ma il preside eletto gli avrebbe risolutamente impedito di continuare a comportarsi in quel modo. La mancata attuazione del programma e il mancato intervento per reprimere quei comportamenti avrebbero potuto costargli la sfiducia dei suoi elettori e quindi l’obbligo di dimettersi dalla carica di preside democraticamente eletto.
L’elezione del preside potrebbe contemplare alcune regole, oltre a quella che i candidati alla carica di dirigente scolastico debbono avere conseguito un diploma di laurea quadriennale, o quinquennale a ciclo unico o triennale seguito dal biennio per la laurea specialistica. Tra le regole, per esempio, la permanenza di un certo numero di anni (almeno cinque dopo aver superato l’anno di prova) nello stesso istituto scolastico, il master universitario di secondo livello in dirigenza scolastica, la frequenza di corsi con un determinato numero di ore di attività frontale e il relativo diploma, le abilitazioni all’insegnamento e le specializzazioni conseguite, e in seguito gli anni di servizio nella funzione di dirigente scolastico ovvero di preside democraticamente eletto.
Infine, la valutazione dell’attività svolta dal preside eletto durante ciascuno degli anni scolastici e quella complessivamente svolta nel triennio. Una valutazione che può essere svolta, in regime di democrazia, e quindi sulla base di elezione di quanti lo comporranno, da un comitato di valutazione interno, in assoluta trasparenza e dando la massima diffusione a quanto è stato accertato e relazionato.

Polibio
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Polibio ricorda ai suoi lettori che, oltre a essere postati sui siti che attualmente li accolgono, è in fase di costruzione il proprio sito http://www.polibio.net nel quale saranno inseriti tutti gli articoli scritti dal luglio 2010 al luglio 2012, nonché quelli, di volta in volta, successivi.

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Pubblicato da: Cobas Veneto

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