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I TAGLIATORI DI TESTE SONO ARRIVATI A SCUOLA

da | 16 Mag 2011 | Materiali

A proposito di INVALSI

I TAGLIATORI DI TESTE SONO ARRIVATI A SCUOLA

Alla maniera di George Clooney 325 giorni l’anno nel film “Tra le nuvole”

Premessa
Poche volte negli ultimi 30 anni è stato possibile assistere ad una così formidabile esplosione di conoscenza e intelligenza collettiva come sta accadendo in questi giorni nella scuola italiana. Gli insegnanti nel giro di alcuni mesi si sono messi a riflettere, a studiare spinti dal mare di fango che rischia di soffocare loro e la scuola pubblica nel nostro paese. Il canale attraverso il quale passa il fango è costituito dalle Prove Invalsi, il sistema di quiz che non solo ha la pretesa di misurare gli apprendimenti degli studenti ma, andando su per li rami, dovrebbe arrivare a misurare, valutare, gerarchizzale le scuole e i docenti d’Italia.
Il via lo hanno dato i professori delle scuole superiori che quest’anno, 2011, dovrebbero per la prima volata “somministrare” ai loro studenti e poi “correggere” i test a cui hanno sottoposto i loro studenti. Ma la vastità che ha assunto sin dai primi mesi la contestazione ha in parte già contagiato la scuola elementare e gli studenti delle superiori e gli stessi genitori. Nella scuola elementare, in cui ormai da anni le prove dell’Invalsi si stanno svolgendo, la contestazione degli insegnanti non ha mai raggiunto la soglia che consentisse al fenomeno di assumere la caratteristiche di massa che la contestazione sta raggiungendo quest’anno.
La stessa iniziativa presa con determinazione e risolutezza dai Cobas della Scuola è stata largamente superata e non si contano le scuole e le migliaia di insegnanti che si sono attivati a partire dall’input dato dai COBAS, ma il cui rapporto con i Cobas si riduce caso mai ad un passaggio nel loro sito Internet per utilizzare il modello di una delle loro delibere o per informarsi di come sta andando l’operazione.
I siti tradizionali dei movimenti della scuola sono colmi di materiale ad hoc e molti partecipano alla elaborazione e diffusione del pensiero e dell’azione NO invalsi.
In questo momento, tre giorni prima che abbiano inizio le prove di quest’anno (10/15 maggio) lo stato delle cose è ancora molto ingarbugliato. Nelle numerose assemblee che si svolgono sull’argomento i “materiali”, le riflessioni si moltiplicano ma sembra di trovarsi nella situazione descritta da Don Milani nella quale ancora si crede che un carro armato si realizza perché un po’ di ferraglia, qualche ruota, qualche bullone, qualche cingolo….si incontrano casualmente,si legano insieme e…guarda! Il carro armato è fatto.
Credo sia utile per chi sta ricercando e lavorando su questo tema definire una Ipotesi Operativa, magari provvisoria, che orienti e in qualche misura unifichi i contributi e il lavoro. Io propongo di assumere, o comunque di discutere, la seguente ipotesi.
“Un esercito internazionale di “esperti” formato da personale proveniente dal mondo della finanza, dalla economia accademica e bancaria, statistici e ricercatori mercenari, consapevoli, convinti, o ricattati ha maturato ormai una esperienza, una filosofia mondiale di grande successo e di fallimenti debitamente occultati.
I generali di questo esercito non debbono in nessun caso far parte della scuola esercitata e pensante, devono essere completamente alieni ai saperi e alle conoscenze delle scienze pedagogiche e quelle ad essa attinenti, massimamente disinteressate ai modelli ed agli stili di apprendimento di bambini e dei giovani (nel loro vocabolario vengono chiamati “capitale umano”, gli apprendimenti sono per loro “valore aggiunto”: difficile assistere ad una pratica di reificazione così radicale e assoluta) e soprattutto in grado di rivendicare la loro estraneità a tutte le conoscenze che l’umanità ha elaborato e accumulato sia in campo umanistico che in quello delle scienze sperimentali, che costituiscono il bagaglio e il retroterra culturale dell’azione educativa e della scuola pubblica in particolare a partire dall’illuminismo.
Fornito di risorse economiche eccezionali e di una affinità e congenialità totale al più scatenato liberismo e mercatismo esso viene chiamato e assunto, dai singoli stati Nazionali e sempre più spesso messo alla testa delle istituzioni sovrannazionali (in testa a tutte l’Ocse), a fornire argomenti ed ideologie che servano da alibi e motivazioni perché gli stati e le stesse istituzioni sovrannazionali possano procedere allo smantellamento dei sistemi pubblici di pubblica istruzione e a tutti i servizi deputati a produrre, elaborare e diffondere cultura.”
Spero che su questa ipotesi si apra al più presto un confronto e intanto aggiungo le riflessioni di questi giorni su tre temi poco scavati dal movimento e che meriterebbero ricerca di dati, informazioni e riflessioni autonome da quelle dei “padroni del vapore”.

Alcune questioni di fondo indispensabili a valutare l’operazione Invalsi

1)LA TERZIETA’, L’INDIPENDENZA E L’AUTONOMIA
Terzietà, indipendenza ed autonomia sono aspetti connessi tra loro. Nel caso dell’Invalsi non vi è il minimo grado di terzietà né di autonomia. Dal punto di vista statutario e istitutivo per l’Invalsi (art.3 D.L.vo 258/1999) è sancita la totale dipendenza dal Miur e dal relativo Ministro. Dalla nomina delle cariche, ai finanziamenti, dai regolamenti agli importi degli stipendi dei dirigenti, dall’oggetto ai temi delle ricerche tutto è deciso dall’unico “committente”, il MIUR.
Il compito più importante e politicamente significativo assegnato dal decreto istitutivo all’Invalsi è quello di “valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso” (art. 1, comma 2). Chi è il maggior protagonista e responsabile del funzionamento della scuola , se non il Ministero? Ci troviamo nel più smaccato caso “del controllore, controllato ”. L’Invalsi e i suoi dirigenti invocano il loro ruolo di ricercatori liberi e responsabili ma possono lavorare solo ed esclusivamente sul mandato del committente, il solito ed unico MIUR.
La stessa OCSE è tassativa, ed ossessiva, sul tema dell’autonomia degli enti di ricerca o agenzie educative che debbono investigare sugli apprendimenti degli studenti e sugli esiti dei sistemi scolastici. Nella raccomandazione n. 3 si declama “ Raccomandiamo l’istituzione di un sistema nazionale per la valutazione della formazione tecnica e professionale, definire standard nazionali appropriati e controllare i miglioramenti e istituzionali sulla base di questi standard. In tale sistema devono essere rappresentate le parti sociali a livello locale, regionale e nazionale.”
“Sosteniamo l’opportunità di creare un sistema nazionale di valutazione indipendente con il compito di esaminare l’efficacia delle riforme una volta che queste siano attuate” (raccom. 5.2)
“Noi raccomandiamo che sia istituito un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella condizione di autovalutarsi con riferimento a tali parametri” (raccomandazione 5.3) (Esame delle politiche nazionali dell’istruzione:Italia OCSE – Armando Editore, 1998)
Ma la cosa incredibile è che nello studio che costituisce il fondamento e l’impianto dell’attuale Invalsi e della sua attività (Checchi, Ichino e Vittadini) l’autonomia si riduce alla prescrizione, peraltro disattesa, per cui “Le prove devono essere somministrate da personale esterno alla scuola e valutate centralmente in modo standardizzato”che a correggere le prove non debbano essere gli insegnanti della stessa scuola, ma “Ricorrere a professori di scuole di altra regione, selezionati casualmente e ai quali non venga comunicata l’origine delle prove da correggere” o “Studenti universitari iscritti ai corsi di dottorato”
Ossia l’autonomia si riduce ad un esercito di “somministratori e correttori” soldatini inconsapevoli agli ordini del MIUR direttamente e tramite i dirigenti dell’Invalsi.
Tutta la storia assume l’aspetto della grottesca cialtroneria ministeriale se, come documenta Sergio Rizzo (Il Corriere della Sera 5 giugno, 2008 ), il Presidente dell’Invalsi dott. Cipollone, oggi dimissionario, è stato nominato dal Ministro Gelmini nel 2008, in base ad una terna di candidati valutati da una commissione ad hoc ed era stato valutato con il giudizio più basso dei tre. Alla dipendenza formale, istituzionale, economica si aggiunge la dipendenza clientelare dalla ministra meritocratica.
Una prima verifica di questa totale mancanza di terzietà ed autonomia lo possono constatare tutti i cittadini italiani di buon senso che dovendo indagare “ efficacia e efficace sistema scolastico” sugli apprendimenti si sarebbero aspettati che le ricerche avrebbero messo in relazione alcune condizioni specifiche in cui opera la scuola italiana con l’esito degli apprendimenti, in una connessione da tutti intuibile ma che sarebbe necessario misurare. Per esempio:
1) L’effetto sugli apprendimenti in classi i cui insegnanti sono precari rispetto ai fortunati studenti che invece non subiscono il fenomeno. Gli insegnanti precari sono il 15% dei docenti e insegnano nel 50% delle classi circa. Ci sono casi limite in cui il 90% dei docenti della scuola, per più anni consecutivi, sono precari.
2) L’effetto sull’apprendimento di studenti che sono in classi di 20 alunni confrontato con quelli che stanno in classi di 30/35 studenti.
3) L’effetto sull’apprendimento per gli studenti pendolari (sono circa il 70% degli studenti delle superiori) rispetto a quelli che devono prendere un autobus per 3/4 fermate in città.
4) L’effetto sugli apprendimenti degli studenti che stanno in scuole e classi in cui non vengono chiamati i supplenti e che perdono dal 10 al 20 % del tempo scuola in un anno, confrontati con quelli che frequentano scuole in cui i supplenti vengono chiamati nel caso il docente titolare sia assente e non perdono nemmeno un’ora del tempo scuola.
In 12 anni di esistenza l’Invalsi non si è mai fatto nemmeno venire l’idea che questi potrebbero essere problemi degni di una qualsiasi ricerca.

2) Nel merito delle prove
La valutazione degli apprendimenti in forma “oggettiva e standardizzata” nella filosofia dell’invalsi richiede una parcellizzazione estrema delle competenze, dei saperi e delle conoscenze da indagare. L’esito di questa polverizzazione dei saperi e semplificazione rende le prove assolutamente inadeguate per la rilevazioni e la misurazione della comprensione e degli apprendimenti. In alternativa, quando le risposte (per esempio nelle prove di comprensione della lettura nel 2010 nelle classi seconde delle elementari) sono legate alla comprensione del testo, non sono mai sbagliate e spesso 4 risposte su 4 sono pertinenti, legittime e sostanzialmente giuste. I bambini invece dovevano sceglierne una sola giusta e le atre erano ritenute sbagliate dal povero compilatore.
Sempre nel caso in esame (Prove di comprensione della lettura nelle classi seconde elementari nel 2010) l’insipienza dell’Invalsi raggiunge il colmo: il testo oggetto delle domande è una favola con tutte le caratteristiche e la complessità del registro favolistico, e la ricchezza di metafore del testo/favola (le formiche che sudano, il moscerino e le formiche che dialogano). Un bambino competente nella lettura e nella comprensione avrebbe scelto di usare lo stesso registro della favola e quindi inventare altre risposte oltre le 4 proposte, anch’esse tutte sostanzialmente giuste. Ma insipienza e incompetenza dell’Invalsi a parte, è la filosofia del testing che fa produrre domande e risposte irrilevanti e inadeguate sia a misurare le conoscenze e ancor meno le competenze. Gardner, uno dei maggiori pedagogisti americani, sostiene che decenni di somministrazioni di milioni di test a milioni di studenti non sono serviti né a conoscere quello che gli studenti sanno e conoscono né soprattutto come arrendono e quanto capiscono. (Howard Gardner, Harvard University, “Educare al Comprendere” Feltrinelli 2001).
Ma l’influenza dei test come strumento di valutazione e misurazione è destinata a diventare letale per interi sistemi scolastici quando, come avverte e documenta una abbondante letteratura, si sviluppa il Teaching to the test, ossia gli insegnanti impegnano in misura sempre maggiore il loro tempo nell’addestramento al superamento delle prove.
Questo sta succedendo già nella scuola elementare italiana nella quale dilagano i testi destinati all’addestramento ai test. L’azione dei test ha anche una ulteriore influenza sui sistemi scolastici impoverendo i programmi d’insegnamento, le discipline e le loro complessità la cui lettura e interpretazione dovrebbe essere uno dei compiti fondamentali della scuola. Una delle derive a cui si rischia di arrivare, e in Italia ci siamo già arrivati con gli esami del terzo anno della scuola secondaria di primo grado, quando si comincia a sostituire, magari gradualmente, la valutazione educativa e pedagogica con quella “oggettiva e standardizzata”.

3) Per una valutazione del sistema scolastico trasparente e democratica.
Il primo rischio da eliminare è quello di sostituire l’attività di valutazione degli apprendimenti fatta dai docenti e strettamente intrecciata all’insegnamento e alle attività scolastiche al punto che gli studenti e gli alunni scrutano mentre parlano, mentre sono interrogati o mentre il docente legge i loro lavori, il viso dei loro insegnanti per intuirne il giudizio, con l’attività di testing, o in qualsiasi altra forma “oggettiva e standardizzata”. L’attività di valutazione ed il giudizio sono fondanti e indispensabili per dare senso e direzione all’intera, complessa attività di insegnamento.
E’ indispensabile che l’attività di valutazione degli apprendimenti sia rivendicata al ruolo esclusivo dei docenti, sia nei momenti individuali che quelli in quelli collettivi o collegiali, caratteristica originale del nostro sistema scolastico, il Consiglio di classe, il team docente. Persino il Collegio dei Docenti per tutti i compiti assegnati dall’articolo 7 del T.U. presuppone questa valutazione degli apprendimenti fino al punto che: il C.d.D. “esamina, allo scopo di individuare per ogni possibile recupero, i casi scarso profitto e/o di irregolare comportamento degli alunni, su iniziativa dei docenti della rispettiva classe…”.
Si è già detto quanto l’Invalsi sia una mera appendice del MIUR, ancora meno autonoma di una qualsiasi Direzione Generale dello stesso Ministero, ma vale anche la pena di sottolineare il suo carattere tecnocratico ed autoreferente. Gli attuali dirigenti si autoproclamano, in larghissima parte, “economisti” e statistici e rivendicano non solo la loro estraneità alla scuola e al mondo dell’Istruzione che non sia quello accademico, ma proclamano anche la inutilità di ogni conoscenza relativa ai meccanismi attraverso i quali i giovani apprendono, cosa e in quali modi apprendono, quali sono i contesti sociali, emotivi, istituzionali che facilitano l’apprendimento…un rifiuto protervo e spocchioso non solo della pedagogia, della filosofia, della didattica e dell’umanesimo di cui sono il frutto, ma delle stesse scienze sociali e sperimentali che ormai le contornano. Nelle ponderose bibliografie dei libri scritti da loro mai che venga citato un Platone, Socrate, Dewey, Vigotsky, Lurja, Piaget, Montessori, Morin, Bruner…..la loro ignoranza ed estraneità viene sbandierata.
Il dott. Ricci (Dirigente dell’Invalsi) è riuscito a mandare in bestia i genitori della scuola Parini di Roma, che lo avevano invitato a partecipare ad una loro assemblea per conoscere da lui l’Istituto, quando dopo l’appassionato racconto di una maestra dell’esperienza dell’anno precedente (2010) della frustrazione che avevano subito i bambini di seconda elementare e che gli chiedeva ragione di quanto una bambina aveva pagato in termini di autostima, Lui rispondeva infastidito che era uno “statistico” e non sapeva né di scuola né di autostima e che coloro che avevano approntato i quiz erano rinomati professori esterni all’Invalsi. Non c’è niente da fare: è proprio come chiedere ad uno “professionista” di misurare una distanza e quello si presenta con un recipiente da un litro.
La comprovata incapacità dell’Invalsi non gli impedirà di somministrare milioni di test a milioni di studenti su commissione del MIUR, e di produrre migliaia di tabelle, grafici, istogrammi, decine di “report” e libri utilissimi per parlar male “scientificamente” della scuola, degli studenti, degli insegnanti e fornire ai governi di oggi e di domani le “ragioni” per realizzare gli ulteriori tagli, argomentare la già decisa dismissione della scuola pubblica.
Resta da riflettere sulla “valutazione di sistema” del sistema scolastico che la legge istitutiva affida all’Invasi con l’efficace denominazione Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema dell’Istruzione ribadita dal comma 3 dell’articolo 1: “l’Istituto valuta l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso”. Credo che sia ampiamente condiviso che un tale compito non può essere svolto che all’interno di un processo democratico, popolare chiaro e trasparente, proprio l’esatto contrario di come è andato a configurarsi l’Invalsi tecnocratico, autoreferente, autarchico, tutto interno e subalterno al maggior responsabile del “sistema “ che dovrebbe valutare.
“Il Consiglio d’Istituto, sulle materie di sua competenza, invia annualmente una relazione al Provveditore agli studi e al Consiglio Provinciale Scolastico” Comma 9 articolo 10 del T.U.)
Queste stesso compito veniva ripetuto per tutti gli organi collegiali territoriali (Consiglio di distretto, Consiglio Provinciale fino al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione), prima che il Ministro Berliguer nel 2000 sopprimesse tutti Organi Collegiali Territoriali.
Questo concetto, a mio parere, è la chiave di volta per un processo di valutazione del sistema scolastico, un percorso partecipato democratico, pubblico, fondativo per una “valutazione di sistema”.
Un percorso articolato per ordine di scuola, territorialmente, alla cui guida siano gli Organi Collegiali composti da tutte le componenti della scuola studenti, genitori, insegnanti, personale non insegnante e rivolto e partecipato ai cittadini e ai decisori politici. Il modello potrebbe essere in parte quello che già avviene nel sistema giudiziario con le aperture dell’anno giudiziario, meno paludato, con più partecipazione. D’altronde senza partecipazione, senza interesse, senza responsabilità democratica, senza amore per la cosa pubblica non è solo la scuola pubblica a rischiare la morte civile.
Di questo percorso potrebbero far parte anche le ricerche svolte da Università, Enti e agenzie educative autonome e indipendenti ma i cui committenti siano sempre gli Organi Collegiali, ma anche il Parlamento. Di sicuro non potrebbero essere i governi.

Roma, 14 maggio 2011

Piero Castello
Maestro Cobas
o ex maestro, oggi pensionato Cobas

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

Co.bas. Scuola

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Email: [email protected]

Per urgenze chiamare il 347 9901965 (Carlo)

I comitati di base della scuola sono un sindacato di base nato negli anni ’80 e che da allora opera nel nostro territorio e nel territorio nazionale, con docenti e A.T.A. volontari – precari e non – disposti a mettersi in gioco.

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