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Autovalutazione vs Invalsi e premialità

da | 4 Apr 2011 | Materiali

Autovalutazione vs Invalsi e premialità

Francesco Mele – 28-03-2011
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=14784

… perché non ci piacciono i test INVALSI penso si sia capito, proviamo a vedere allora se e cosa fare in alternativa …

In un momento in cui il dibattito INVALSI SI – INVALSI NO sembra riduttivo, provo ad andare oltre al semplice NO ad uno strumento non tanto inutile quanto piuttosto direi DANNOSO per la Scuola Statale, come le verifiche INVALSI. Sul DANNO derivante dall’uso di queste modalità di verifica altri hanno scritto e io stesso in passato, e a quei testi rimando. Qui mi interessa dissertare invece su quale strumento a me pare utile per intervenire in modo virtuoso sul rilancio della Scuola Statale, sulla sua qualità, sul bene dei portatori del diritto costituzionale all’istruzione, che sono poi le nostre bambine e i nostri bambini, le nostre ragazze e i nostri ragazzi. Quello che dirò ha come riferimento il mio orizzonte, che è la scuola secondaria superiore in cui insegno e che meglio conosco, ma con le dovute correzioni può essere esteso a tutto il panorama scolastico, dai 3 ai 18 anni.
La parola chiave per me è AUTOVALUTAZIONE, è qui che si gioca la reale possibilità per le scuole di intervenire su se stesse al fine di migliorarsi e affrontare i problemi con cui si confrontano quotidianamente.
Premetto che un discorso serio sulla questione non potrà prescindere da una riflessione attenta e documentata su quanto molte scuole stanno già realizzando sul tema; dal confronto virtuoso di tali esperienze si potranno scegliere le strategie più adatte e funzionali, adattandole e personalizzandole situazione per situazione.
Quello che dirò da qui in avanti è dettato solo dal buon senso (il mio, del tutto limitato e parziale) dell’aver pensato a lungo alla cosa.
Intanto ho cominciato ad occuparmi di questo tema già nei miei primi anni di entrata in ruolo, e una riflessione dopo l’altra mi sono trovato a partecipare all’elaborazione della Legge di Iniziativa Popolare “Per una Buona Scuola per la Repubblica”. Un grande dibattito è stato dedicato a questo aspetto, e quanto partorito alla fine, nel testo della proposta di legge è stato così condiviso dai partecipanti – con un metodo democratico che è il vero valore di tutta l’impresa – che non fatico a considerarlo decisamente mio anche se di fatto è il frutto di una intelligente mediazione tra posizioni anche molto distanti tra loro. Anzi, confesso che quanto scritto in quella proposta di legge non era quello che io all’inizio pensavo fosse la cosa giusta, la scelta migliore.
Ma ora lo è: potenza della democrazia e del lavoro cooperativo!!!
Allora per non divagare, riporto quanto scritto nella proposta di legge, preceduto dal testo della relazione introduttiva a questo riguardo.

Dalla relazione:

Dell’autovalutazione (Art. 15)
Ogni Istituzione Scolastica, con lo scopo di meglio rispondere ai bisogni specifici dei propri allievi e allieve, avvia un percorso periodico di autovalutazione che rappresenta un processo dinamico di riflessione sul proprio operato, sulla propria capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati e formalizzati nel Piano dell’Offerta Formativa. Un percorso che, a nostro avviso, richiede formazione e competenze. Per questo le Istituzioni Scolastiche, partendo dall’ascolto degli allievi/e e dei genitori, si avvalgono dell’apporto di professionisti, i quali con un “occhio esterno”, non giudicante ma professionalmente competente, aiutano il mondo della Scuola a guardare a sé stesso per migliorarsi.

Dal testo della proposta di legge:

Art. 15. Autovalutazione.
1. Al fine di agevolare il raggiungimento di un alto livello qualitativo del Sistema Educativo di Istruzione, ogni scuola realizza annualmente al suo interno un percorso di auto-valutazione. Questo è mirato ad identificare eventuali punti deboli su cui intervenire o esperienze didattiche-educative efficaci da diffondere, a stabilire se la dotazione ed il livello delle risorse disponibili è adeguato, a valorizzare, coinvolgere e responsabilizzare il personale scolastico relativamente al raggiungimento degli obiettivi posti in sede di programmazione.
2. L’auto-valutazione, attraverso incontri collegiali e di gruppo, questionari, colloqui e tutto quanto verrà ritenuto utile, a partire dall’ascolto degli alunni/e e dei loro genitori, aiuta la scuola a ripensare al suo operato ed alla ricaduta della sua azione educativa, didattica e progettuale sugli alunni/e, sui/lle docenti e sui genitori.
3. A questo scopo ogni scuola, con il supporto di opportuni finanziamenti statali, si avvale del contributo di figure professionali esterne (docenti di altre scuole, anche di diverso ordine, e di facoltà universitarie, nonché specialisti/e in discipline variamente attinenti alle problematiche della didattica), che avranno il compito di facilitare l’azione autovalutativa e didattica, di aiutare la gestione delle dinamiche dei gruppi di lavoro e di contribuire alla risoluzione di ogni eventuale problema.

Qualcuno ha rimproverato a questo testo di non dire nulla di come si fa, di come cioè si deve operare per rendere concreta questa “buona pratica”. Ovviamente non è questo il compito di una legge, che serve invece da cornice entro la quale l’autonomia di ogni singola istituzione scolastica deve trovare le modalità più adatte ai bisogni.
Provo allora a dire come la vedo io e cosa sarebbe opportuno fare ad esempio nella mia scuola.
Intanto quello che ho fatto: in Consiglio di Istituto ho proposto e ottenuto che, coerentemente con l’azione di indirizzo che gli compete, venisse richiesto al collegio di avviare un progetto di autovalutazione della scuola. La strada seguita dal DS da qui in avanti è stata:
a) una sua breve comunicazione al collegio senza alcuna discussione a riguardo
b) l’aggiunta di questo compito alla funzione strumentale del POF
c) la richiesta alla stessa Funzione Strumentale di realizzare quanto lui intendeva per autovalutazione
d) l’assegnazione per l’impresa di 35 ore dal Fondo di Istituto.
Risultato dell’operazione non se n’è fatto nulla, e io stesso se fossi stato Funzione Strumentale mi sarei rifiutato di “obbedire” a quest’ordine gerarchico.

Come avrei fatto io?
1) Avrei chiesto al collegio di discutere della cosa in modo da affrontare per massimi sistemi e del tutto informalmente il problema, proprio come fosse un brain-stroming; lo scopo non doveva essere tanto quello di trovare reali soluzioni organizzative, ma far si che il collegio cominciasse a considerare suo il problema e prendere coscienza della richiesta dell’organo di governo della scuola, quale il Consiglio di Istituto è. Ma lo scopo sarebbe stato anche quello di arrivare, attraverso la discussione, all’individuazione di un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto, per conto del collegio (per conto del collegio e non del DS), elaborare una proposta di progetto di percorso di autovalutazione.
2) Avrei scelto non più di 3-4 max 5 persone per lavorare sulla proposta di progetto, assegnando loro almeno da 30 a 50 ore complessive di lavoro per portare a termine questa primissima fase del percorso.
3) Avrei riportato la proposta del gruppo di lavoro al collegio che avrebbe potuto farla propria o modificarla secondo quanto fosse emerso durante il dibattito.
4) Avrei portato la proposta approvata dal collegio in Consiglio di Istituto per correttezza istituzionale verso l’organo di governo che aveva dettato l’indirizzo.
5) Avrei disposto tutto il necessario per avviare l’impresa, a partire dalle risorse economiche e le soluzioni organizzative prescelte.

Ma cos’è per me AUTOVALUTAZIONE di Istituto?

LA PROGRAMMAZIONE

Per come la vedo io il percorso parte dalla programmazione iniziale.
Mi spiego meglio.
Non si può pensare a cosa fare alla fine se non mi preoccupo a fondo dell’inizio e del durante.
Per la Buona Scuola che vogliamo (se la vogliamo, se no possiamo continuare a vivacchiare facendo finta di fare il massimo) non è più pensabile che, nelle scuole superiori, la programmazione del consiglio di classe occupi lo spazio di mezz’ora a novembre subito prima dell’insediamento dei rappresentanti dei genitori e degli studenti. Il tutto si riduce ad una sterile dichiarazione di intenti formale e di circostanza, fondata su un copia e incolla che si tramanda da generazioni professionali che si susseguono, con solo qualche impennata creativa di qualche figura significativa che brilla per un po’ e poi entra nel riciclo professionale.
Auspico che qualcuno si ribelli a questa mia visione grigia e desolante, vorrà dire che c’è ancora qualche speranza …
Un’attenzione dunque alla programmazione iniziale come “conditio sine qua non”, mi pare il fondamento di qualunque percorso di autovalutazione.
Non mi dilungo più di tanto sulla cosa ma direi che tre aspetti non andranno assolutamente trascurati in questa fase: l’unitarietà del sapere, la motivazione allo studio, l’educazione al rispetto.
Si possono scrivere trattati su ciascuno di questi aspetti e in molti l’hanno già fatto, per cui non vi tedio ulteriormente, ma dico solo su ciascuno di essi alcune cose tanto banali quanto imprescindibili.

L’unitarietà del sapere

Noi umani, per nostra comodità mentale e organizzativa, abbiamo spezzettato lo scibile in varie discipline e più avanza la civiltà tecnologica più si specializzano i saperi. Ma se questo può essere utile e funzionale nella società degli specialisti, non va per niente bene in un percorso di apprendimento. Non va bene perché noi lasciamo ai nostri allievi il compito ingrato, e decisamente alto, di portare a sintesi quanto noi gli offriamo parcellizzato, talvolta scollegato o addirittura incoerente, spesso ridondante e ripetitivo e quasi sempre sfasato in senso temporale. E’ ora di finirla. I nostri ragazzi vanno aiutati in questo lavoro di sintesi, che è giusto che facciano loro, ma dobbiamo metterli nelle condizioni di poter governare al meglio la molteplicità di punti di vista sulla conoscenza che gli offriamo. La programmazione deve ricercare/progettare quell’armonia nelle voci che arrivano ai nostri studenti, che spesso non c’è. Questo a mio avviso contribuirebbe, e non poco, a risolvere il disagio che sul fronte dell’apprendimento riscontriamo.

La motivazione allo studio

Quando parlo di questa cosa mi sento spesso dire che su questo aspetto non c’è nulla da fare, uno la motivazione o ce l’ha di suo o niente e nessuno gliela farà venire. Bene, io partirei proprio da qua, o convinciamo questi scettici che la motivazione allo studio non è un atteggiamento innato, inossidabile, irreversibile, oppure occorre rassegnarsi non solo all’abbandono di molti nostri allievi già scarsamente motivati ma anche alla perdita di motivazione a causa di comportamenti ostacolanti – talvolta inconsapevoli – da parte di docenti che non si pongono il problema. La motivazione non solo può, ma direi deve essere creata, stimolata, incentivata, alimentata, mantenuta vivace e in condizioni di continua autogenesi. Un corpo docente che non si occupasse di questo aspetto sarebbe come un venditore di spazzole che pretendesse che la sua clientela venisse a casa sua a ritirarle, le sue spazzole. Scusate la banalizzazione ma sono convinto che non è fuori dalla mia responsabilità il fatto che i miei alunni non siano motivati ad intraprendere il percorso di crescita lungo il quale io provo a fargli da facilitatore.
La ricetta? Figuriamoci, non è mica semplice, e non è una sola, per tutti e per sempre. Si tratta di formarsi (formazione) e sperimentare (ricerca-azione), tutti insieme (tutti insieme = lavoro di gruppo), tecniche e percorsi che per approssimazioni successive ci facciano scegliere di volta in volta le strategie più funzionali alle nostre necessità.
Sull’onda delle spazzole, io parlerei di marketing educativo, ad intendere che occorre studiare strategie, approcci, comportamenti, tecniche, pratiche che conquistino il coinvolgimento dei nostri allievi.

L’educazione al rispetto

Sempre più spesso assistiamo in qualche classe a situazioni diciamo di difficile convivenza con allievi particolarmente resistenti ad ogni tentativo di coinvolgimento e che in più fanno del loro permanere nella comunità scolastica una continua sfida verso il mondo adulto, ma anche, spesso, verso i propri compagni.
Gli unici strumenti che ho visto adottare in tutti questi casi sono o la predica o la repressione. Entrambe sono, nella maggior parte dei casi, inefficaci e si arriva così all’escalation dei 15 giorni di sospensione e dei 5 in condotta, con cui la scuola dichiara la propria definitiva sconfitta. Esistono, già rodati, percorsi centrati sul rispetto a cui attingere per ricercare e sperimentare soluzioni ad un problema che non si autorisolve ma richiede l’intervento esperto di professionisti della conoscenza che sempre di più dovranno assumere il ruolo di educatori piuttosto che solo di esperti disciplinari.

Il Patto Formativo

Per tutto quanto fin qui detto, occorre recuperare una tecnica ormai passata di moda quale quella del Patto Formativo, tanto passata che forse i nostri giovani colleghi neanche la conoscono. Oggi, il formalismo burocratico dei decreti ministeriali l’ha pietrificato nel Patto di Corresponsabilità, che qualcuno per tutti si è assunto l’incombenza di scrivere, qualcun altro di approvare, per poterlo mettere da qualche parte nel POF, forse, o in qualche pagina web, o in qualche faldone messo in archivio a prender polvere. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un Patto Formativo centrato sull’apprendimento e su un sistema di regole condivise in quanto continuamente co-costruite, co-verificate e in ultima analisi godute da ciascuno, perché occorre diventare tutti consapevoli che in un sistema di regole stiamo tutti meglio.
Il Patto formativo a mio avviso è il cardine della programmazione iniziale di un consiglio di classe e deve vedere il coinvolgimento di tutte componenti coinvolte in quell’impresa titanica che è la relazione d’apprendimento.

IL MONITORAGGIO

Non è necessario arrivare alla fine per accorgersi che qualcosa non va. Io credo che un’impresa complessa come quella dell’insegnamento-apprendimento richieda un costante monitoraggio. Lo richiedono i problemi che quotidianamente si presentano al singolo docente e che quindi un monitoraggio già dovrebbe farlo come pratica professionale. Ma c’è anche la necessità di momenti di riflessione collettiva, in cui il gruppo si interroga sullo stato di avanzamento del percorso, non solo per quanto riguarda gli aspetti legati all’azione del singolo, quanto, soprattutto, per quanto spettava, secondo la programmazione, al gruppo nel suo insieme. I protagonisti del monitoraggio sono, ancora una volta, tutte le componenti coinvolte nel processo, lavoratori della conoscenza, studenti, genitori. Occorre implementare le occasioni in cui queste componenti abbiano occasione di dialogare al proprio interno e tra loro. Questa è una condizione indispensabile perché il monitoraggio possa essere utile all’avanzamento dell’opera. Il consiglio di classe, i dipartimenti disciplinari, certo, ma anche l’assemblea di classe degli studenti dovrà essere oggetto di cura e attenzione, e, inoltre, si dovranno sperimentare strategie di maggiore coinvolgimento dei genitori, che dovranno essere chiamati sempre più spesso ad esprimersi sia in modo individuale sia in modo collettivo. Occorre, a tale proposito, investire energie ed intelligenze per stimolare il senso di appartenenza di tutte le componenti, ma soprattutto dei genitori che, specie nelle scuole superiori, si allontanano sempre di più dalla scuola e vivono il loro rapporto con essa, quando va bene, solo nella raccolta dei voti dei propri figli nelle varie discipline. La Buona Scuola invece ha un bisogno irrinunciabile dell’alleanza con i genitori, un’alleanza che deve riconoscere le sfere di competenza di ciascuno e pretenderne il rispetto, ma senza steccati e senza pregiudiziali, perseguendo, sempre e comunque, il dialogo e il confronto.
In ogni scuola si dovranno creare le migliori condizioni per la nascita del Comitato Genitori in quanto strumento collettivo di confronto e di crescita di una consapevole e responsabile genitorialità al servizio della crescita dei propri figli; uno strumento collettivo in cui prende vita e si alimenta l’alleanza di intenti tra scuola e genitori.
Uno dei passaggi importanti del monitoraggio saranno gli scrutini di primo quadrimestre, uno stop intermedio che dà la misura di come stanno andando le cose non solo per i singoli studenti e le singole discipline, ma in complesso per l’intera classe, per raggruppamenti significativi di classi, per l’intera scuola. Non può mancare in questa fase una riflessione collettiva sugli esiti intermedi che però dovrà vedere attivato un aspetto del monitoraggio che non può essere eluso: di fronte all’emergere di un problema non si può prescindere dal provare comunque a praticare qualche soluzione.
Assistiamo, invece, sempre più spesso alla semplice registrazione del problema senza che venga sperimentata alcuna azione corale del gruppo di lavoro. Il lamento di solito è l’unica ed ultima spiaggia a cui ci si abbandona in questi casi e un altro degli sport preferiti è quello di scaricare su altri le responsabilità e gli oneri, dichiarando senza riserve l’impossibilità ad intervenire: il problema è fuori di noi. Sembrerà impietosa questa analisi e l’indignazione che dovesse generarsi consideriamola, come sopra, una buona speranza per il futuro.

L’AUTOVALUTAZIONE A CONSUNTIVO

Arriviamo quindi alla fine, quando si tirano le somme.
E’ questo il momento di capire cosa ha funzionato, cosa ha funzionato meno e cosa non ha funzionato proprio.
In questa fase sono importanti degli indicatori che consentano di avere un’idea degli esiti attesi dell’azione didattica della scuola ma anche del complesso della funzionalità del sistema. Gli indicatori sono soggettivi nella parte legata alla loro scelta (scegliere questo piuttosto che quello per valutare l’esito di un obiettivo) ma fatto questo hanno il pregio dare una misura oggettiva dell’esito ricercato.
La scelta degli indicatori sarà dunque un passaggio fondamentale per poter esprimere un giudizio di valore in merito al raggiungimento degli esiti attesi. Tale scelta a mio avviso dovrà vedere coinvolte tutte le componenti, docenti, ATA, studenti genitori, perché ognuno possa ottenere che il suo punto di osservazione del sistema scuola venga preso in considerazione ed entri a far parte della valutazione degli esiti attesi.
Provo allora a fare qualche esempio di indicatori che potranno essere presi in considerazione per tale analisi, osservando che alcuni di essi potranno essere utilizzati a consuntivo, altri per il monitoraggio, altri ancora per la fase di programmazione. Ovviamente sono molto centrati sull’azione del singolo docente o del Consiglio di Classe, ma ritengo che occorrerà considerare anche indicatori relativi alle azioni e ai comportamenti di studenti e genitori:
a) esiti formativi: livelli di partenza, ambiente socio-culturale di provenienza degli allievi, progresso/regresso nel percorso di apprendimento, abbandoni, dispersione, esiti intermedi e finali di profitto (più che il voto finale dello scrutinio registrerei i voti di ingresso allo scrutinio), debiti formativi …
b) attivazione di progetti, anche innovativi, riguardanti la didattica delle discipline e, in generale, percorsi educativi/formativi con valutazione di esiti e ricadute
c) attivazione, monitoraggio e valutazione di un patto formativo col gruppo classe e di interventi sulla motivazione allo studio
d) capacità relazionali nei confronti del gruppo classe e del CdC: attivazione di un contratto disciplinare esplicito col gruppo classe, esplicitazione degli obiettivi e dei criteri di valutazione, attenzione alla metacognizione e all’autovalutazione dell’allievo, correzione degli elaborati del lavoro domestico, tempi medi di correzione degli elaborati svolti in aula, disponibilità al dialogo anche in situazioni di conflitto, rispetto di regole concordate col gruppo classe e col CdC, capacità di lavorare in gruppo, clima instaurato nel gruppo classe …
e) modalità delle azioni didattiche: qualità della programmazione iniziale, gestione della lezione, attivazione di interventi di recupero e approfondimento e di percorsi individualizzati, utilizzo dei sussidi didattici a partire dal libro di testo, utilizzo di tecnologie multimediali, utilizzazione di gruppi di lavoro, organizzazione di visite guidate o di incontri con esperti, coerenza tra programmazione iniziale e azione didattica …

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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Per urgenze chiamare il 347 9901965 (Carlo)

I comitati di base della scuola sono un sindacato di base nato negli anni ’80 e che da allora opera nel nostro territorio e nel territorio nazionale, con docenti e A.T.A. volontari – precari e non – disposti a mettersi in gioco.

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