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MERITOCRAZIA E SPERIMENTAZIONI

da | 4 Gen 2011 | Materiali

MERITOCRAZIA E SPERIMENTAZIONI

Ai link sottostanti (se non “linkano” direttamente, perché lunghi, basta copiare ed incollarli), potrete trovare:

1) documento di “chiarimento” ministeriale sulla sperimentazione del “merito” di insegnanti e di valutazione delle scuole;

2) collegamento alla pagina della Flc-Lombardia, in cui troverete 2 serie di slides di presentazione dei progetti.

Non è che chiariscano molto rispetto a quanto già si sapeva, ma ad una lettura attenta si comprende perché queste due sperimentazioni coinvolgano tutto il futuro della scuola italiana, dalle modalità di insegnamento “a quiz”, a quelle di assunzione, alle differenziazioni stipendiali, al declassamento di singoli istituti a fondazioni, ecc.ecc., su modelli (fallimentari) anglosassoni.
A chiarimento, dopo i link incollo un interessante articolo. E’ lungo, ma vale assolutamente la pena di leggerlo, per capire dove andremmo a finire:
le analogie con le sperimentazioni proposte sono evidenti, e vale la pena ricordare che la trasformazione delle scuole in “fondazioni” è anche in Italia un’ idea decisamente bipartisan, e non da oggi.

P.S. Per i sostenitori e le sostenitrici della valutazione: una cosa è valutare approcci didattici, metodologie, risultati (e scuole e insegnanti lo fanno da sempre), altra cosa è la meritocrazia premiale, di tipo aziendale, applicata alla scuola stessa.

Sono due cose diverse, non possono e non debbono essere confuse: se non siete convinti/e, buona lettura…

http://www.forumscuole.it/rete-scuole/buoni-o-cattivi/documenti/nota-3756-del-20-dicembre-2010-chiarimenti-sperimentazioni-valutazione-scuole-e-premialita-insegnanti.pdf

http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?cms_pk=2605&dir_pk=112

Il voltafaccia di una ministra americana

di DIANE RAVITCH*

Sono entrata nell’amministrazione di George H.W. Bush in qualità
di viceministro dell’educazione non avevo alcuna idea predefinita sulla questione della “libera scelta” in materia di educazione o su quella relativa alla responsabilizzazione degli insegnanti. Ma, nel momento in cui ho lasciato il governo, due anni più tardi, difendevo il principio della remunerazione del merito: ero convinta che gli insegnanti i cui allievi conseguivano i migliori risultati dovessero essere pagati meglio degli altri. Sostenevo inoltre la generalizzazione dei test valutativi, che mi sembravano utili per individuare le scuole che avevano bisogno di un aiuto supplementare. Ho quindi applaudito calorosamente quando, nel 2001, il Congresso votò una norma che andava in quel senso, la legge Nclb (“No child left behind”, nessun bambino lasciato indietro), e di nuovo quando, nel 2002, il presidente George W. Bush firmò la sua entrata in vigore.
Oggi, osservando gli effetti concreti di queste politiche, ho cambiato opinione: penso infatti che la qualità dell’insegnamento che ricevono gli allievi prevalga sui problemi di gestione, organizzazione e di valutazione degli istituti.
La legge Nclb esige che ogni stato valuti le capacità di lettura e di calcolo dei suoi allievi, dagli 8-9 anni ai 13 anni. I risultati di ogni istituto sono successivamente analizzati in funzione dell’origine etnica, del livello di conoscenza della lingua inglese, dell’eventuale presenza di handicap e del reddito dei genitori. Ognuno dei gruppi così formati deve conseguire un risultato del 100% di riuscita entro il 2014. Se in una scuola uno solo di questi gruppi non dimostra progressi costanti, l’istituto è sottoposto a sanzioni di severità crescente. Il primo anno la scuola riceve un avviso. Dopodiché a tutti gli allievi (compresi quelli che hanno buoni risultati) viene offerta la possibilità di cambiare scuola. Durante il terzo anno, gli studenti più poveri possono accedere a corsi supplementari gratuiti.
Se la scuola non riesce a conseguire gli obiettivi richiesti in un periodo di cinque anni, si espone al rischio di privatizzazione, di conversione in charter school (si veda più avanti), di ristrutturazione completa o, più semplicemente, a quello di chiusura. I lavoratori potrebbero quindi essere licenziati. Attualmente, circa un terzo delle scuole pubbliche del paese (ovvero oltre trentamila) sono state classificate come inadempienti rispetto ai parametri relativi ai “progressi annuali soddisfacenti”.
Un punto cruciale della legge consiste nell’avere lasciato a ciascuno stato la libertà di definire i propri metodi di valutazione. Il che induce alcuni di essi ad abbassare il livello di richieste per consentire agli allievi di conseguire più facilmente gli obiettivi. Di conseguenza, i miglioramenti manifestati a livello locale non si riscontrano sempre nei test federali.
Il Congresso obbliga le scuole a sottoporre in modo aleatorio alcuni allievi a una valutazione nazionale, il National assessment of educational progress (Naep), in modo tale da poter confrontare i risultati ottenuti con quelli forniti dagli stati. Così, in Texas, dove ci si rallegra per quello che appare come un autentico miracolo pedagogico, i livelli di lettura ristagnano da dieci anni. Allo stesso modo, mentre il Tennessee quota al 90% la percentuale di allievi che hanno raggiunto gli obiettivi fissati per il 2007, la stima del Naep è 26 % si rivela meno lusinghiera.
Diversi miliardi di dollari sono stati spesi per mettere a punto “e poi fare passare” le batterie di test necessarie a questi differenti sistemi di valutazione. In numerose scuole, gli insegnamenti ordinari si interrompono diversi mesi prima degli esami per lasciare spazio alla preparazione intensiva di questi. Numerosi specialisti hanno stabilito che gli allievi non imparano niente dato che gli si insegnano i test e non le materie scolastiche.
Malgrado il tempo e il denaro investiti, i risultati del Naep non sono migliorati. Talvolta, essi si sono semplicemente bloccati. In matematica, i livelli erano addirittura migliori prima della applicazione della legge Nclb. Per la lettura, il livello sarebbe aumentato per l’equivalente del Cm1 (alunni di 10 anni ndt). Per gli alunni al termine del quarto anno di scuola secondaria (di 14 anni ndt) i risultati sono gli stessi di quelli del 1998.
Tuttavia, il problema principale non sono i risultati in quanto tali, né i modi in cui gli stati e le città manipolano i test. La vera vittima di questo accanimento è la qualità dell’insegnamento. Dal momento che la lettura ed il calcolo sono diventati prioritari, i docenti, consapevoli che queste due materie decideranno dell’avvenire della loro scuole e del loro lavoro, trascurano le altre discipline.
La storia, la letteratura, la geografia, le scienze, l’arte, le lingue straniere e l’educazione civica sono relegate al rango di materie secondarie.
Da una quindicina di anni, un’altra tesi ha pungolato l’immaginazione delle potenti fondazioni e degli opulenti rappresentanti del padronato: la cosiddetta “libera scelta”, che si concretizza in particolare nelle charter schools la cui idea ha preso piede alla fine degli anni ’80. Da allora, questi istituti hanno formato un vasto movimento che raccoglie un milione e mezzo di allievi e cinquemila scuole.
Scuole finanziate con il denaro pubblico ma gestite come istituzioni private, che si possono sottrarre alla maggior parte delle regole in vigore nel sistema pubblico. Così, più del 95% di esse si rifiuta di assumere insegnanti sindacalizzati. E, nel momento in cui lo stato di New York ha voluto sottoporre a un esame le charter schools che aveva autorizzato, queste si sono rivolte alla giustizia per impedirlo: lo stato doveva dare loro fiducia e lasciare che fossero loro stesse a svolgere questo esame.
Il livello di questi istituti è decisamente diseguale. Alcuni sono eccellenti, altri catastrofici. La maggior parte si colloca nel mezzo.
Ne è stata fatta una sola valutazione su scala nazionale, condotta da Margaret Reymond, economista all’università di Stanford (1). Tale inchiesta, benché finanziata dalla Walton family foundation (accesa sostenitrice delle charter schools), rivela che solo il 17% di tali istituti presenta un livello superiore a quello delle scuole pubbliche di pari grado. Il restante 83% ottiene risultati simili o inferiori.
Secondo gli esami della Naep in lettura e matematica, gli allievi delle charter schools ottengono gli stessi risultati degli altri, sia che ci si interessi agli afroamericani, agli ispanici, ai poveri o agli alunni residenti in grandi città. Ciò nonostante, il modello viene presentato come il rimedio miracoloso per tutti i problemi del sistema educativo statunitense. Non solo, ovviamente, per la destra, ma anche per un buon numero di democratici. Questi ultimi hanno addirittura creato un gruppo di pressione, i “Democratici per la riforma dell’educazione”.
Alcune di queste charter schools sono dirette da soggetti con interessi privati, altre da associazioni non a fine di lucro. Il loro modello di funzionamento si fonda su un forte tasso di rinnovamento del personale, poiché gli insegnanti devono svolgere un lavoro enorme (talvolta sessanta o settanta ore alla settimana) e tenere sempre il cellulare acceso, così che i loro allievi possano raggiungerli in qualsiasi momento. L’assenza di sindacato facilita il mantenimento di tali condizioni di lavoro.
Quando i media si interessano al tema, si focalizzano spesso sugli istituti di eccellenza. Essi, intenzionalmente o meno, danno alle charter schools l’immagine di veri e propri ?paradisi” popolati da insegnanti giovani e dinamici e da allievi in uniforme, dalle maniere impeccabili e tutti in grado di accedere all’università. Ma questi reportages dimenticano alcuni elementi determinanti. Innanzitutto, gli istituti di buon livello reclutano i loro allievi nelle famiglie in grado di mobilitare maggiori risorse dal punto di vista scolastico.
Inoltre, essi accettano un numero minore di alunni di madrelingua straniera, handicappati o senza domicilio fisso, fattore che d? loro un certo vantaggio sulle scuole pubbliche. Infine le charter schools hanno il diritto di rinviare negli istituti pubblici gli elementi che ?stonano?.
Quando il movimento in favore delle charter schools ha preso avvio, esso si fondava sulla certezza che questi istituti sarebbero stati ideati ed animati da insegnanti coraggiosi e disinteressati, che sarebbero andati incontro agli allievi con maggiori difficoltà. Essi, liberi di innovare, avrebbero appreso i metodi per aiutare efficacemente questi alunni e la comunità avrebbe beneficiato delle conoscenze acquisite nel momento in cui essi li avrebbero reintegrati nel sistema pubblico. Ma attualmente le charter schools si pongono in concorrenza aperta con le scuole pubbliche. A Harlem, gli istituti pubblici devono lanciare campagne di comunicazione verso le famiglie. I bilanci di 500 dollari (o meno) che essi spendono per opuscoli e brochure impallidiscono di fronte ai 325.000 dollari stanziati dal potente gruppo che cerca di cacciarli dal settore educativo.
Nel gennaio 2009, quando l’amministrazione Obama salì al potere, ero convinta che essa avrebbe annullato la legge Nclb per ripartire su basi sane. Si è verificato il contrario: il nuovo governo ha abbracciato le idee e le scelte più pericolose dell’era di George W. Bush. Il programma dell’amministrazione Obama, battezzato “Race to the top”
(Corsa verso la vetta), offre a Stati presi per la gola dalla crisi economica sovvenzioni di 4,3 miliardi di dollari. Per beneficiare di questa manna, essi devono sopprimere tutte le limitazioni legali esistenti alla installazione di charter schools. Così, la loro espansione va a realizzare quello che è sempre stato il sogno dei businessmen dell’educazione e dei partigiani del libero mercato, vale a dire lo smantellamento del sistema pubblico. È assurdo valutare gli insegnanti in funzione dei risultati dei loro allievi, perché questi dipendono oltre che, ovviamente, da quello che succede in classe, anche da fattori esterni quali le risorse, la motivazione degli allievi e il supporto che possono dare loro i genitori. Tuttavia, gli insegnanti sembrano essere i soli responsabili.
Quanto alla “trasformazione” delle scuole in difficoltà, si tratta di un eufemismo destinato a mascherare lo stesso tipo di misure di quelle imposte attraverso la legge Nclb. Se i risultati non progrediscono rapidamente, le scuole pubbliche saranno chiuse, privatizzate o trasformate in charter schools. Quando le autorità dello Stato di Rhode Island hanno annunciato l’intenzione di licenziare tutto il corpo docente dell’unico liceo della città di Central Falls, la loro decisione è stata applaudita da Arne Duncan (segretario di stato all’educazione) e dallo stesso presidente democratico. Recentemente, il personale è stato reintegrato, a condizione di accettare giornate lavorative più lunghe e di fornire maggiori aiuti personalizzati agli allievi.
L’accento posto dall’amministrazione Obama sulla valutazione ha spinto gli stati a modificare la loro legislazione nella speranza di ottenere i fondi federali di cui hanno impellente bisogno. La Florida ha appena votato una legge che proibisce l’assunzione di insegnanti principianti, vincola la metà del loro salario ai risultati ottenuti dagli allievi, sopprime i finanziamenti stanziati per la formazione permanente e sovvenziona la valutazione degli studenti prelevando il 5% dal bilancio scolastico di ogni circoscrizione. Genitori e docenti hanno unito le loro forze e sono riusciti a convincere il governatore Charlie Crist a non firmare la legge, cosa che probabilmente ha messo fine alla sua carriera all’interno del Partito repubblicano. Ma ovunque nel paese vengono assunte misure simili.

note:

* Ricercatrice in scienze dell’educazione all’università di New York.
Ha pubblicato “The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Are Undermining Education”, Basic Books, New York, 2010. Questo articolo è stato inizialmente pubblicato su The Nation (New York) del 14 giugno 2010, con il titolo “Why I changed my mind?.”

(1) “Multiple choice: Charter school performance in 16 states”, Center for research on education outcomes (Credo), Stanford University, giugno 2009.
(Traduzione di Al. Ma.)

http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Ottobre-2010/pagina.php?cosa=1010lm15.01.html

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Pubblicato da: Cobas Veneto

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