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TRINCEA NO GELMINI

da | 27 Ago 2010 | News

TRINCEA NO GELMINI
di Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi –
24/08/2010 da Il Manifesto

PADOVA LA MOBILITAZIONE DEI RICERCATORI

L’università patavina si prepara a essere la capofila delle proteste contro il ddl di riforma dell’università. Parole d’ordine dei ricercatori «diserzione» e «assedio». Ma dietro le quinte della più grande azienda cittadina si muovono interessi privati e logiche baronali
Un gazebo piazzato strategicamente sul listòn, fra la sede storica dell’Università e palazzo Moroni che ospita il Comune. Giusto a contatto con le goliardate che quasi ogni giorno accompagnano le lauree degli studenti. Il digiuno a staffetta per un paio di settimane (lanciato da Maurizio Casarin e Giorgio Moro di Chimica) ha imposto all’attenzione di tutta Padova la nuova mobilitazione anti-Gelmini. I ricercatori sono tornati in trincea, preannunciando la «diserzione» dalla didattica dei corsi. L’inizio del nuovo anno accademico è, dunque, veramente a rischio. Tant’è che a Ingegneria era già saltata la procedura di iscrizione con i test d’accesso. Con grande imbarazzo del Senato accademico, costretto insieme al magnifico rettore Giuseppe Zaccaria a barcamenarsi fra l’adesione formale alla protesta e la sostanziale difesa dell’istituzione-Università.
A settembre si ricomincia da capo. Sull’onda del flash mob che ha manifestato a favore della libera ricerca, dell’Università pubblica e del sapere senza vincoli. Renato Bozio, preside di Scienze, non ha avuto il minimo dubbio a schierarsi: «È la battaglia della nostra Università per non morire. Sono qui per dimostrare l’unità della facoltà: non ci sono differenze di fascia o area disciplinare». E dopo le ferie, si riparte dal Bo «assediato» dai ricercatori, e non solo. Tutto era cominciato in primavera con la consegna ai vertici dell’Università delle biciclette di chi è stanco di pedalare dentro il sistema baronale. La fine dell’estate prefigura conseguenze clamorose all’interno della «città nella città», separata e ingessata da lustri di paludati giochi di potere.
Padova ha scoperto così la stridente contraddizione che mina le sue ambizioni metropolitane, europee e di «capitale del nuovo Nord Est». Proprio l’Università le ha messe a nudo da tempo: migliaia di studenti fuori sede che dovrebbero nutrire l’economia in nero, ma che invece incarnano l’«emergenza spritz» con il rito dell’aperitivo nelle piazze; la vera eccellenza culturale “di base” che si scontra ogni volta con l’opacità della gestione tutt’altro che impeccabile, come nel caso della mancata integrazione con l’Azienda ospedaliera o nei maxi-appalti business oriented; infine, in tempi di crisi l’aumento delle tasse agli studenti e un paio di assunzioni con il peggior metodo della casta vanificano ogni marketing pubblicitario.
È la pesante eredità di Vincenzo Milanesi, il rettore-camaleonte. Buono per tutte le stagioni, fedelissimo amico della Compagnia delle Opere, capace di “privatizzare” sotto traccia segmenti dell’Ateneo. Impossibilitato a restare al governo del Bo, sbeffeggiato dalla politica (si era autocandidato sindaco e perfino come alternativa a Luca Zaia in Regione), deluso dal ministro Gelmini che non gli ha trovato un reddito aggiuntivo – Milanesi si è consolato pilotando l’elezione del suo eterno vice grazie all’impossibile alleanza che può scattare solo al Bo. Zaccaria è diventato rettore con i voti racimolati dalla coalizione che tiene insieme azzeccagarbugli e «avanzi di galera», amerikani con il bisturi e cricche terminali, manager da Prima Repubblica e pensionati con consulenze su misura.
Zaccaria è filosofo come Milanesi, ma non ha la stessa abilità nel ritagliare potere familiare. Il 10 dicembre 2009, alle ore 9 nel laboratorio Laif di piazza Capitaniato, la commissione presieduta dal professor Stefano Merigliano ha spianato la strada all’assunzione di Federico Milanesi come fonico del Master in giornalismo gestito da Ivano Paccagnella. Il figlio del rettore trova un posto definitivo in Università, grazie al figlio di un ex rettore (e senatore di Forza Italia) e all’amico fidato della Facoltà di Lettere. Un ottimo esempio di filosofia morale applicata alla casta.
In compenso, Zaccaria ha assunto come portavoce Valentino Pesci (ex direttore della Nuova Ferrara in pensione): era uno dei tutor proprio del Master in giornalismo finito sotto i riflettori della Procura della Repubblica per l’incarico di fonico al figlio del rettore, mentre l’Ordine dei Giornalisti contestava la struttura che garantiva il praticantato con 9 mila euro di tasse all’anno. Nel prossimo anno accademico sarà difficile per Pesci e per gli altri giornalisti “amici” ripetere l’esperienza in cattedra anche senza, a volte, la laurea in tasca.
Insomma, un’eredità pesante in punta di diritto e trasparenza. Al Bo si sentono ancora al di là del bene e del male, tutti concentrati solo nel blasone accademico che dovrebbe rappresentare un passaporto per ogni interesse. Del resto, il direttore generale incarna il gattopardismo tipico di Padova: Giuseppe Barbieri è stato presidente dell’Autostrada e della Provincia, city manager della giunta comunale di centrodestra e prezioso referente delle lobby che contano. All’Esu c’è Flavio Rodeghiero, ex deputato leghista, cattolico Doc fin dai tempi della Fuci con Rosy Bindi. Mense, alloggi, formazione e contributi “mirati” sono un altro monopolio che nessuno sembra mai aver voglia di setacciare.
Come per il mega-appalto dell’Orto Botanico: cantiere celebrato solennemente senza ancora essere stato aperto. Un progetto che ha già azzerato la storica presenza dei gesuiti nel Tre Pini, luogo-simbolo di intere generazioni di padovani (non solo per le imprese del Petrarca Rugby o del basket con Doug Moe). Si profilano le ruspe della stessa impresa che ha realizzato il centro culturale San Gaetano, mentre l’ex collegio Antonianum con teatro annesso verrà trasformato in residence di lusso grazie all’operazione immobiliare di Sgr Est Capital (la stessa società che ha “conquistato” il Lido di Venezia).
L’Università è uno dei veri “snodi” della politica immobiliare a Padova. Gli studenti affittano posti-letto allo stesso prezzo di un appartamento di periferia. A Legnaro con il campus di Agripolis sono lievitati tutti i valori di mercato. Sull’altro fronte, ci sono le permute d’oro. Brilla l’ex ospedale geriatrico in centro storico chiuso da Adriano Cestrone, direttore generale dell’Azienda ospedaliera, nel lontano 2000. Sarebbe dovuto diventare il nuovo polo umanistico (anche perché la biblioteca di palazzo Maldura è più che pericolante), ma finora è rimasto desolatamente vuoto.
Eppure, tutto si riduce ogni volta alla “recita” del tavolo istituzionale di concertazione. Sindaco e rettore, presidente della Provincia e della Fondazione Cassa di risparmio, categorie economiche e parlamentari. Anche per la “riforma Gelmini” ci si appella ancora agli eletti con la speranza di disinnescare la protesta avviata dai ricercatori. Questa volta, però, sarà arduo replicare il gioco degli specchi. La dialettica servo-padrone è spietata: ormai si è capito chi tutela, sul serio, la libertà del sapere e chi, invece, bada solo a difendere la toga d’ermellino.
Il rettore Zaccaria, in vacanza, dovrà meditare sui limiti del suo “veltronismo accademico”. Non si può più stare dalla parte della protesta, ma anche nella stanza dei bottoni. E nemmeno criticare Roma, ma anche appellarsi ai poteri territoriali. È davvero finita l’epoca della diplomazia accademica, della magnifica ipocrisia, del cerchiobottismo.
O si dimostra libertà, fino alla disubbidienza civile. Oppure si resta vincolati al mandato, che esige responsabilità impopolari. Dunque, o si sta con il fegato del governo Berlusconi oppure con il cuore dell’Università pubblica. Proprio come i ricercatori del Bo.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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