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NAZIONALISMI e CITTADINANZA

da | 28 Mar 2024 | Discussione, Osservatorio contro la guerra, Webpress

di AA.VV.
Quello che si esprime in questa intervista a Shlomo Sand è quanto di più vicino ad un nostro (mio) punto di vista sulla questione palestinese. Oggi tutti si riempiono la bocca con l’invocazione dei due Stati (israeliano+palestinese) richiamando gli accordi di Oslo, sapendo che è un esercizio di pura retorica (le istituzioni nazionali e internazionali) o un imperativo ideologico (partiti e gruppuscoli vari), che hanno senso solo perchè declamati come un rosario, in sè irrealizzabili. Fuori tempo massimo, se mai c’è stato un tempo.
Così come è stato per il SudAfrica dove un percorso di convivenza conflittuale ma pacifica si è potuto dare sul riconoscimento di pari dignità per i cittadini di ogni colore o di appartenenza etnica, così – apparentementemente – banalmente si dovrà aprire un itinerario per le comunità israelitiche e palestinese che vivono nei territori denominati Palestine e Israele. Gli Stati nazione sono il nemico da abbattere politicamente e culturalmente altrimenti nessun possibità di convivenza pacifica sarà data in quei territori, così come ben detto da Shiomo Sand: nessun paese è democratico finchè ci sono cittadini con diritti differenziati, Isreale non lo è. E’ una condizione che deve essere conquistata e certamente non possiamo pensare di decidere per conto di israeliani e palestinesi, ma crediamo sia utile per tutti chiamare la reltà sociale con il nome che gli compete.

Ciò vale per i palestinesi cittadini di Israele e tanto più per quelli dei territori, ma anche in casa nostra e per i migranti in giro per l’Europa. (G.Z.)
 

«Per mezzo secolo, da quando tornai a casa dopo avere combattuto nella guerra del 1967, ho creduto nella soluzione dei ‘due popoli due Stati’, oggi quella prospettiva semplicemente non esiste più». Shlomo Sand, professore emerito all’Università di Tel Aviv, è uno dei più reputati storici israeliani.

Nel 2008 scrisse L’invenzione del popolo ebraico, testo che suscitò reazioni contrastanti in cui contrapponeva al “mito” ufficiale che racconta la vicenda millenaria degli ebrei come il cammino ininterrotto di una comunità progressivamente dispersa ma legata da comuni origini etniche, religiose, culturali, la realtà storica che mostra il mondo ebraico come risultato di una molteplicità di incroci e contaminazioni.

Oggi ha pubblicato un nuovo saggio, anche questo “scandaloso”, che fino dal titolo – Deux peuples pour un État nell’edizione appena uscita in Francia – mette in archivio il “totem” progressista dei due Stati – israeliano e palestinese – come via d’uscita obbligata da ottant’anni di conflitti.

«Vedendo sulla carta geografica dove vivono gli arabi tra il fiume e il mare e dove vivono gli ebrei israeliani tra il fiume e il mare, si capisce che i due popoli sono oggi inseparabili. Ci sono più di due milioni di arabi cittadini israeliani, ce ne sono altri cinque milioni a Gaza e in Cisgiordania, più o meno c’è uno stesso numero di ebrei che vivono su questa terra. Non ho nulla contro l’idea di uno Stato palestinese, però è irrealizzabile. Lo è da tempo, lo è ancora di più dopo il 7 ottobre. Ma il 7 ottobre ha mostrato che anche uno Stato ebraico non ha futuro: serve uno Stato israeliano, in cui i palestinesi siano cittadini a pieno titolo e riconoscano, pure condannando il sionismo, che il sionismo è riuscito a creare il popolo d’Israele».

Lei si considera sionista?

No, non sono sionista perché non credo che Israele debba appartenere agli ebrei del mondo. Ho desiderato per tutta la vita che Israele fosse lo Stato dei suoi cittadini e non lo Stato degli ebrei nel mondo. Uno Stato come l’attuale Israele che dichiara di appartenere non ai suoi cittadini ma agli ebrei di tutto il mondo, per esempio anche agli ebrei italiani, non è uno Stato democratico.

Dopo di che il sionismo è figlio della storia, nasce come messaggio agli ebrei d’Europa: per sfuggire all’antisemitismo andate in Medio Oriente. Si presentava come un’idea di liberazione nazionale degli ebrei, ma era altro: era la proposta di una via di scampo dalle sofferenze patite dagli ebrei per l’antisemitismo.

La maggioranza degli ebrei in Europa non era sionista e non voleva andare in Palestina. Nei primi anni del Novecento fino a quando nel 1924 gli Stati Uniti chiusero le frontiere all’emigrazione ebraica e in generale non protestante, due milioni di ebrei in fuga dalla Russia zarista dei pogrom antisemiti erano emigrati in America e molti di meno avevano scelto la Palestina. Dunque il sionismo non è stato un movimento di liberazione nazionale, ha avuto successo perché ha offerto un approdo di salvezza agli ebrei perseguitati in Europa.

In Israele dopo il 7 ottobre anche tanti che detestano Netanyahu dicono che oggi la priorità è farla finita a ogni costo con Hamas…

È una reazione insensata, significa non capire cosa è davvero Hamas. Hamas non è come Daesh, assomiglia molto di più ai talebani: è un movimento nazionale popolare ed è un movimento islamista. È l’espressione di quella saldatura tra nazionalismo e religione che sta avanzando non solo tra i palestinesi ma in molte parti del mondo, dall’India all’Iran, e che riguarda anche Israele: una deriva catastrofica perché pregiudica la possibilità stessa di uscire dai conflitti attraverso compromessi.

Ma ripeto, l’idea di ‘farla finita’ con Hamas è un’idea sciocca, come si è dimostrata una sciocchezza l’idea degli americani e prima dei russi di farla finita con i talebani. In futuro sarà inevitabile trovare qualche forma di compromesso con Hamas, a meno che quando si dice di volere ‘liquidare’ Hamas non si pensi di eliminare buona parte della popolazione di Gaza.

Eliminare i palestinesi che vivono a Gaza: è l’accusa di genocidio rivolta a Israele…

Le parole vanno usate con attenzione. Genocidio è quello avvenuto in Ruanda… Da israeliano io non dormo la notte per i bambini uccisi a Gaza, non è ancora genocidio ma può diventarlo se continua questa guerra.

Serve un compromesso con Hamas, occorre imparare dagli errori del passato: gli americani con i talebani, lo stesso Israele con Hezbollah….

In parte ha già risposto ma glielo chiedo di nuovo: Israele è uno Stato democratico?

No, non lo è. Non lo è nei territori occupati e non lo è neanche dentro le sue frontiere legittime. È uno Stato liberale. Il fatto che io possa insegnare liberamente dimostra che siamo uno Stato liberale. Ma uno Stato democratico è un’altra cosa: è uno Stato che appartiene a tutti i suoi cittadini.

Israele dichiara di appartenere a tutti gli ebrei del mondo e molto meno agli arabi suoi cittadini. Ecco: uno Stato così non è democratico. Io mi batto per l’uguaglianza tra tutti i cittadini israeliani. E so che gli ebrei israeliani potranno continuare a vivere in Medio Oriente solo insieme ai palestinesi.

Lo racconto nel mio ultimo libro: grandi intellettuali ebrei del passato avevano già chiaro che uno Stato esclusivamente ebraico in Palestina sarebbe stato condannato a una guerra perpetua. Tra questi Hannah Arendt, contraria ai due Stati e favorevole a una federazione arabo-ebraica: per lei la nascita di uno Stato esclusivamente ebraico era la premessa inevitabile di guerre continue.

Un’ultima domanda: cosa pensa della scelta di alcune università italiane di interrompere accordi e progetti con università israeliane in segno di condanna per quanto avviene a Gaza?

Ne penso male. È da stupidi pensare che boicottando le università israeliane si aiuti chi in Israele si batte per la pace.

(ha collaborato Daniele Sivori)

Redazione

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