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Le disuguaglianze non sono una legge di natura

da | 23 Gen 2024 | Cobas Scuola, Discussione, Materiali, Webpress

di Mattia Marasti*

Lo stralcio di articolo che vi proponiamo è tratto dal commento al rapporto di OXFAM di Mattia Marasti sul sito la Valigia Blù. Abbiamo estrapolato la parte in cui ci si riferisce al precariato e ai suoi effetti sullo stipendio dei lavoratori in generale. A nostro avviso bene si evidenzia, basti toccare con mano al portafogli, quello che è successo nella scuola in termini di potere d’acquisto negli ultimi 20 anni. Più volte abbiamo commentato questo tema anche di recente – vedi nel sito – a conclusione  con la firma definitiva del CCNL da parte di tutti i sindacati maggiormente rappresentativi ad esclusione della UILscuola. G.Z.

Nota però l’Oxfam che è necessario tenere conto dell’eterogeneità anche all’interno dei lavoratori: genere ed etnia impattano infatti sulla disuguaglianza e sulla povertà. I lavoratori immigrati sono spesso sfruttati, mentre le donne sono marcatamente più presenti in occupazioni a bassa retribuzioni. Una buona parte delle nostre economie – non a livello monetario, ma a livello di tempo e di relazioni – si basa infatti sul lavoro che, per via di norme sociali vetuste, viene attribuito alle donne. Pensiamo ai lavori domestici o a quelli di cura, che pur incidendo sul fisico e sulle prospettive di carriera non vengono retribuiti. La pandemia, come mostra uno studio, ha fatto emergere con chiarezza le asimmetrie tra generi su questi aspetti. 

Ma come avviene questa compressione salariale?  Da una parte c’è il tema del monopsonio, ovvero il monopolio sul lato della domanda, visto che nei modelli economici sono le imprese a domandare lavoro e i lavoratori a offrirlo, che fa sì che il salario non equivalga più al contributo che il lavoratore dà all’azienda. Dall’altra c’è l’influenza che il potere economico esercita sulla politica. 

Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un aumento della precarietà che ha fatto in modo che la competizione tra imprese avvenisse non più sull’innovazione o sul capitale umano, proprio grazie a una legislazione compiacente. Anche in Italia ne abbiamo avuto esempio, con il Pacchetto Treu del centro-sinistra e la Riforma Maroni del centro-destra. Secondo uno studio recente, queste riforme non hanno avuto l’effetto di migliorare la situazione lavorativa, ma hanno in realtà frenato gli investimenti in capitale umano delle imprese. 

In secondo luogo, le multinazionali alimentano le disuguaglianze grazie a normative favorevoli sugli obblighi fiscali, elusione ed evasione fiscale. Un esempio è l’imposta sul reddito delle società, la corporate tax: i tagli effettuati nel corso degli anni nei paesi OECD, che hanno fatto passare l’aliquota media dal 23 per cento al 17 per cento, non hanno avuto effetti importanti sull’economia nel suo complesso. Nel mentre sono calata l’aliquota marginale più alta sui dividendi, passando dal 61 per cento del 1980 al 42 percento di oggi. 

Inoltre secondo le stime nel 2022 circa 1,000 miliardi di profitti di grandi multinazionali sono stati trasferiti in paradisi fiscali. Per compensare il mancato gettito, sottolinea Oxfam, i governi hanno fatto sempre più affidamento su imposte regressive, come l’IVA, che colpiscono i percettori più bassi. 

Che cosa vuol dire? Una persona abbiente destina una parte minore del suo reddito al consumo, avendo appunto un reddito elevato. Poiché l’IVA si applica indistintamente a tutti i consumatori, andrà quindi a incidere maggiormente su coloro che spendono di più, in proporzione al loro reddito, sul consumo, quindi le persone meno abbienti e del ceto medio. 

Questo mancato gettito poi ricade su tutta la società in quanto vengono a mancare le risorse per finanziare la scuola pubblica, la sanità, le infrastrutture. Anche in questo caso, vi sono delle differenze di genere: sono le donne a essere più colpite da queste pratiche. Secondo Oxfam, infatti, le donne sono le principali utenti dei servizi pubblici, e la forza lavoro femminile è prevalentemente occupata nel settore pubblico. Non nei posti dirigenziali, però, dove invece prevalgono ancora gli uomini. 

Su questo fronte vi sono però anche delle notizie positive. L’Oxfam ricorda infatti che nel 2021 più di 140 paesi hanno concordato una serie di misure tra cui la tassazione minima effettiva al 15 percento. Nonostante le problematiche dell’accordo iniziale, nel mese di novembre del 2023 la maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per avviare i negoziati per migliorare la cooperazione fiscale internazionale: un’opportunità, scrive Oxfam, per stabilire regole fiscali globali più eque e condivise. 

Il terzo legame tra l’aumento delle disuguaglianze e l’emergere di monopoli passa attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici: acqua, servizi sanitari, istruzione. L’idea è che lo Stato non sia in grado di allocare efficientemente le risorse e debba quindi ricorrere al privato che, mosso dal profitto, garantirebbe invece un’erogazione del servizio più redditizia e puntuale. 

Nella realtà dei fatti questo dogma, molto in voga di questi tempi, è smentito dalla ricerca empirica. Uno dei maggiori esperti sul tema, lo studioso della Cranfield School of Management David Parker, ha indagato gli effetti delle privatizzazioni avvenute nel Regno Unito avvenute sotto la spinta della rivoluzione neoliberista di Margaret Thatcher. Nel suo studio mostra come lo slogan “più privato è, meglio è” sia, per l’appunto, uno slogan: non c’è una legge di natura che stabilisce che le aziende private abbiano performance migliori rispetto a quelle pubbliche. A venire a mancare, secondo Parker, è l’assunto secondo cui l’influenza del potere politico sarebbe minore nelle imprese private. 

Un caso ancora più emblematico è quanto succede con la sanità, dove la partecipazione dei privati non ha portato a particolari benefici. L’approccio privatistico alla sanità, sottolinea l’esperta di settore pubblico Rosie Collington, è indirizzato verso i profitti di breve periodo, ma sul lungo periodo tende invece a sottovalutare gli effetti della ricerca e depauperare le qualifiche del settore pubblico. Sotto questo aspetto, Collington sottolinea ad esempio quanto la ricerca informatica fosse, in un primo momento, monopolio dello Stato che ha contribuito a sviluppare tecnologie essenziali per lo sviluppo di strumenti necessari per il mondo di oggi. Ma questa ricerca ha altresì formato persone con determinate capacità e qualifiche all’interno del settore pubblico, che si sono poi andate perse quando il settore è stato affidato alle aziende private all’inizio del millennio. 

* Mattia Marasti su LA VALIGIA BLU

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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