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Come il sistema fiscale italiano ha abbandonato la Costituzione premiando i ricchi

da | 18 Gen 2024 | Discussione, Webpress

Da "L'Indipendente" del 18 Gennaio 2024

Interessante articolo pubblicato dalla testata online L’indipendente.


Questa settimana, in una ricerca svolta in ambito Bce, Bankitalia ha attestato che, nel nostro Paese, il 5% delle famiglie più ricche possiede circa il 46% della ricchezza netta totale. Ma come è stato possibile? Per comprendere il motivo per cui, in Italia, le disuguaglianze economiche stanno aumentando in maniera vertiginosa, creando una piccolissima classe di ultra-ricchi che controlla porzioni enormi di ricchezza, ci viene in aiuto il nuovo studio congiunto della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sul Journal of the European Economic Association. Il report svela come, nell’arco degli anni, il sistema fiscale italiano sia profondamente cambiato, diventando non solo scarsamente progressivo, ma addirittura “regressivo” per i contribuenti più abbienti. Con la paradossale conseguenza che oggi, i più ricchi, si trovano proporzionalmente a pagare meno tasse della gran parte della popolazione. Un sistema fiscale che si pone, dunque, in aperta contraddizione con la Carta costituzionale, che all’art. 53 prescrive che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” secondo “criteri di progressività”. Crescendo, dunque, con l’aumentare del reddito.

Un sistema “regressivo”

Combinando diverse fonti di dati e statistiche, tra cui dichiarazioni dei redditi, stime sulla distribuzione del patrimonio netto e ricerche campionarie svolte da Istat e Banca d’Italia, lo studio effettuato dalla scuola Sant’Anna e dall’Università Bicocca arriva alla conclusione che l’1% più ricco della popolazione italiana paga, in proporzione, meno tasse rispetto al restante 99% dei contribuenti. I redattori del report hanno infatti appurato come il sistema fiscale del nostro Paese appaia “blandamente progressivo” per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%, diventando poi “addirittura regressivo” se si parla del 5% dei contribuenti più ricchi. Per chi guadagna oltre 500mila euro all’anno, infatti, l’aliquota effettiva scende addirittura fino al 36%. E il meccanismo risulta ancora regressivo se, al posto della distribuzione del reddito, si prende in considerazione quella del patrimonio. Nello specifico, la ricerca individua una serie di cause che spiegano questa contraddittoria discrepanza: l’effettiva regressività dell’Iva, che grava meno sui cittadini ricchi che risparmiano di più, la minore incidenza dei contributi per i titolari di redditi sopra i 100mila euro, il maggior peso di rendite finanziarie e redditi da locazioni immobiliari – che vengono tassati con un’aliquota del 12% o del 26% – per i più abbienti. Fatto sta che i cittadini che rappresentano lo 0,1% più ricco del Paese – che sono circa 50 mila – controllano il 4.5% del reddito nazionale, contando su entrate medie superiori al milione di euro all’anno.

Le discrepanze

Secondo i risultati della ricerca, svolta distribuendo a livello individuale il reddito nazionale netto (corretto per l’evasione), la metà meno abbiente della popolazione italiana controlla, nello specifico, meno del 17% del reddito nazionale, campando mediamente con meno di 13 mila euro all’anno; grazie in particolare ai redditi finanziari, da lavorato autonomo o da profitti societari, l’1% più ricco – che paga proporzionalmente meno tasse del restante 99% dei cittadini – può contare sul 12% circa del reddito nazionale, con la succulenta media di 310 mila euro all’anno. Il rapporto sottolinea come sussistano significative disparità rispetto a quello che è il reddito prevalente. Infatti, a pagare più imposte sono i lavoratori dipendenti, cui seguono i lavoratori autonomi e i pensionati. Dietro ci sono coloro che percepiscono soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari. Secondo i dati pubblicati dagli autori della ricerca, nella fase compresa tra il 2004 e il 2015 il reddito nazionale effettivo subiva una riduzione del 15%, mentre la metà meno abbiente della popolazione perdeva complessivamente il 30% dei suoi guadagni. A subire i maggiori svantaggi è stata la fascia di popolazione compresa tra i 18 e i 35 anni di età, i cui appartenenti hanno perso il 42% del loro reddito.

Una forbice sempre più larga

Nel suo Rapporto annuale 2022, l’Istat ha dimostrato che, dal 2005 al 2021, nel nostro Paese il numero di individui in povertà assoluta è aumentato di quasi tre volte, passando da 1,9 milioni di persone a ben 5,6 milioni. In Italia il 9,5% dei cittadini vive, insomma, con un livello di spesa per consumi così basso da non garantire l’acquisizione dei beni e servizi essenziali per uno standard di vita accettabile. Basti pensare che il 29,5% dei dipendenti percepisce, in un anno, meno di 12mila euro lordi, mentre 1,3 milioni i lavoratori ottengono meno di 8,41 euro all’ora. I trent’anni di spietate politiche liberiste che hanno conquistato tutto il continente europeo hanno prodotto effetti molto significativi anche sull’Italia. A fotografarli nitidamente sono le statistiche del World Inequality Database: se nel 1981, nel nostro Paese, il 10% della popolazione più ricca deteneva il 26,9% del reddito totale, mentre il 50% del ceto meno abbiente si collocava al di poco sotto, con il 22,6%, nel 2018 la situazione è completamente cambiata, con il 10% più ricco che controlla il 37,5% del reddito e il 50% più povero sceso al 16,4%. Nell’arco di trent’anni, dal 1981 al 2021, l’1% della popolazione più ricca ha inoltre raddoppiato la quota di reddito prodotto a livello nazionale, passando dal 5,6% al 12,2%. La medesima tendenza è visibile prendendo in considerazione l’altra variabile della ricchezza, ovvero il patrimonio. Nel nostro Paese, infatti, la distanza patrimoniale tra il 10% della popolazione più ricca e il 50% di quella meno abbiente, negli ultimi decenni, è aumentata in maniera cospicua. Nel 1995, metà degli italiani possedeva il 10,2% del patrimonio totale nazionale, mentre nel 2021 il dato è sprofondato al 2,5%: un quarto rispetto a 26 anni prima. Nel 2021, gli ultra-ricchi sono arrivati invece a controllare il 56,2% del patrimonio totale. Nel 1995 la percentuale era del 44,7%.

L’appiattimento dell’Irpef

Ad avere un grande peso nella distribuzione della ricchezza è, ovviamente, il fattore imposte. Ciò che subito balza all’occhio analizzando il sistema fiscale italiano è che, nel corso degli ultimi decenni, le aliquote Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) si sono sempre più assottigliate, tendendo in maniera sempre più esplicita a quella “flat tax” che rappresenta il sogno delle forze neoliberiste. Nel corso degli anni, riforma dopo riforma, i ceti meno abbienti si sono fatti carico di pagare molti più contributi, mentre a essere favorite sono state le categorie più ricche. Si è infatti passati dai 34 scaglioni, ciascuno riferito a una precisa aliquota, del 1974, ai 4 delineati dalla riforma del governo guidato da Mario Draghi nel 2022 e agli ultimi 3 appena stabiliti dal governo Meloni. Se nel 1974 su un lavoratore con uno stipendio da operaio gravava un’aliquota Irpef media del 13%, i più abbienti, cioè i cittadini che realizzavano introiti per oltre 50 milioni di lire annui, erano sottoposti ad una aliquota del 72%. Oggi ci troviamo di fronte a un quadro basato su logiche completamente difformi. Infatti, l’aliquota minima, cui sono sottoposti i cittadini che guadagnano fino a 28mila euro annui (con la riforma dell’esecutivo Draghi essa coinvolgeva invece i redditi fino a 15mila euro), è stata innalzata al 23%, mentre la più alta – che grava su tutti coloro che guadagnano più di 50mila euro –, è scesa del 30% rispetto a cinquant’anni fa, assestandosi al 43%. Tale appiattimento, sia alla base che al vertice della piramide, apre allo scenario, tutt’altro che “progressivo”, che vede redditi molto distanti tra loro contribuire in egual misura alla spesa pubblica. Il primo indicatore di un sistema sempre più lontano da quanto prescritto dalla Costituzione.

[di Stefano Baudino]


Redazione Cobas e Cesp Veneto

Pubblicato da: Redazione Cobas e Cesp Veneto

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