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SENZA TETTO NE’ LEGGE

da | 19 Mag 2023 | Discussione, Webpress

SENZA TETTO NE’ LEGGE

I proprietari immobiliari, com’è noto, pagano le imposte su valori catastali fermi a molti decenni fa, ma vendono e affittano in base ai prezzi di mercato. Realizzano un grande guadagno con il minimo sforzo, e con una contropartita per lo Stato, in termini di entrate tributarie, del tutto insignificante. A loro il Catasto va bene così, non vogliono cambiarlo.

Per calmierare i prezzi, a questo punto, occorre fissare un tetto, stabilire che i canoni di locazione non superino le rendite catastali oltre un certo limite (il 20-25 per cento). Una proposta semplice e concreta, da attuare con un decreto-legge, la cui urgenza sarebbe del tutto giustificata. E non si potrebbe neanche gridare all’esproprio proletario perché tutto avviene nell’osservanza della legge e di valori immobiliari certificati dall’ente preposto allo scopo. Per una volta la mancata riforma del Catasto, tornerebbe utile, paradossalmente, alle fasce deboli in affitto, non solo agli studenti.

Ancora, i sindaci delle città universitarie potrebbero predisporre una manifestazione d’interesse verso anziani/e (soli o in coppia), che spesso abitano in case grandi, disponibili a ospitare studentesse e studenti universitari. Esperienze di questo tipo esistono già, ma con apposite garanzie degli enti locali potrebbero estendersi, aumentando così i posti letto a basso costo e relazioni solidali e reciprocamente vantaggiose tra giovani e anziani.

In un’emergenza il tempo conta, è un elemento decisivo. Per gli investimenti di cui si parla (residenze universitarie, ristrutturazione di caserme, ecc.) i primi risultati si vedrebbero nel 2026, se tutto va bene, e gli studenti che vivono oggi il costo insopportabile degli affitti non sono interessati a parole e cose che vanno alle calende greche. Nell’immediato, dunque, l’unica soluzione sembra essere la leva fiscale con un uso accorto di incentivi e disincentivi in grado di regolamentare il mercato. Di certo le case in Italia non mancano, ma milioni sono utilizzate nel circuito delle piattaforme digitali del turismo oppure restano vuote, sfitte. Vi sono proprietari che preferiscono aspettare e sfruttare l’aumento del capital gain dell’immobile (per poi vendere) piuttosto che gestirlo per la locazione. Molti di loro cambierebbero registro se il governo intervenisse con un adeguato aumento delle imposte sulle case inutilizzate o utilizzate male, in maniera socialmente impropria (a danno cioè di famiglie e giovani in difficoltà economica).

Nessuno chiede di requisire la seconda o terza casa con cui i piccoli proprietari integrano il loro reddito. Altra cosa però sono le società immobiliari (con centinaia e migliaia di edifici di pregio nel loro portafoglio).
I poteri forti non sono qualcosa di indeterminato e inafferrabile. I grandi proprietari e l’industria dell’edilizia al seguito condizionano le politiche urbanistiche e ambientali e godono di un’immeritata fiscalità di vantaggio. La lobby immobiliare è vigile custode e potente agente di affari miliardari sul territorio ed ora, con la destra al governo, si sente oltremodo garantita e protetta. Non è certo un caso che il tema del Catasto e quello dello stop al consumo di suolo non compaiano nel programma di legislatura del governo Meloni.

Il movimento studentesco, con la lotta per il diritto allo studio e contro il caro-affitti, è entrato in oggettiva collisione con la finanza immobiliare che aveva già annusato l’affare delle residenze universitarie. Nel report “Lo student housing tra Pnrr e mercato”, presentato da Scenari immobiliari e Camplus, è delineato a chiare lettere il passaggio dalle vecchie case dello studente agli student housing. Il privato si candida a gestire i fondi del Pnrr per il diritto allo studio universitario, sbloccati con perfetto tempismo dal governo. La destra al potere ha colto la palla al balzo per finanziare il business e, contemporaneamente, dire ai giovani di aver accolto le loro richieste. Praticamente un imbroglio, che i giovani universitari giustamente respingono.

Un inganno, del tutto simile a quello del social housing, sperimentato qualche anno fa a danno delle famiglie a basso reddito.I privati investono soldi pubblici e poi applicano canoni di mercato, realizzando così un doppio ritorno economico. Risultato: l’housing sociale, parola magica che avrebbe dovuto sostituire le case popolari, è risultato inaccessibile a famiglie non in grado di reggere canoni di 700-800 euro. La finalità “social” è venuta meno. L’housing universitario, a gestione privata, segue uno schema praticamente identico, accelerando il processo di trasformazione del Welfare in servizi a pagamento.

Lo stato sociale non è compatibile con taglio delle tasse ai più ricchi e con una politica che mette al centro il profitto e non il lavoro. Ecco perché la protesta delle tende riguarda tutti.

Redazione

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