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La scuola del merito e della ricattabilità

da | 29 Dic 2022 | Materiali, Primo piano

La scuola del merito e della ricattabilità

di Cattive Maestre da dinamopress.it

Il dispositivo del merito, politiche neo-conservative e “anti-gender, precarietà e ricattabilità del personale docente e ATA. Quali prospettive e rivendicazioni nella scuola pubblica italiana? Un intervento delle Cattive Maestre dall’assemblea nazionale di Non Una di Meno

La nuova definizione data al Ministero dell’istruzione ha fatto molto discutere perché per la prima volta inserisce direttamente nel suo nome uno dei riferimenti cardine della pedagogia neoliberale ovvero il merito. Il merito è stato il dogma dei governi degli ultimi venti anni, un vero dispositivo ideologico, usato per nascondere la volontà di costruire istituzioni formative segnate da un profondo disegno classista.

Cosa intendono per merito? L’impressione che si ha è che in questa fase di forte torsione autoritaria, è che il merito, ovvero quel dispositivo retorico che è servito a far competere i soggetti nella società e nei percorsi dell’apprendimento, viene rifunzionalizzato nel quadro del conservatorismo e della reazione, per diventare ancora di più un criterio di discriminazione, che esclude quei corpi non conformi e quelle soggettività critiche e precarie. E’ anche in questa ri-significazione del lessico che si intravedono le mire di questo governo post-fascista.

Cosa significa allora merito? Possibilità di recupero e consolidamento attraverso lezioni private, condizioni materiali sicure che garantiscono lo studio a casa in un ambiente protetto o che deve passare per l’umiliazione secondo l’ultima uscita del ministro? Il dispositivo del merito si intreccia anche con le dichiarazioni sull’orientamento delle/degli studenti in uscita dai vari cicli dell’istruzione, che esprime l’idea secondo cui l’addestramento al lavoro, cioè accettare qualsiasi condizioni di lavoro, dovrebbe partire sin dalla scuola primaria. Secondo la sua interpretazione la disoccupazione in Italia avrebbe origine dalla scelta dei licei, che non sarebbe funzionale all’occupazione.

Nella sua logica non c’è solo l’idea abusata che la scuola debba fornire competenze necessarie richieste dalle imprese, ma c’è ancora una volta un’idea autoritaria, secondo cui le/gli studenti devono essere adattabili ad un mercato del lavoro fondato su bassi salari, precarietà e lavoro gratuito già rese effettive dal PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), oppure gli attacchi al RdC, dove il ministro arriva a dire che i percettori di questa misura in alcuni casi sono ex-studenti per i quali la scuola non è stato un canale efficace per l’occupazione.

Nella scuola del merito, non c’è alcuno spazio per l’autoformazione, che, come abbiamo scritto nel Piano femminista, è per noi un importante strumento di confronto e di elaborazione collettivo dentro e fuori le scuole. Presentazioni di testi come quelli di bell hooks, che abbiamo spesso presentato in varie iniziative, in alcune delle nostre scuole sono state vietate dai consigli di istituto, osteggiati dalle componenti ultra cattoliche.

Questa nuova morale post-fascista, ovviamente prova a farsi strada come può anche sul terreno dei saperi, così come sul terreno del revisionismo storico e della libertà di insegnamento. Addirittura con una circolare il ministro si arroga persino il diritto di dare indicazioni didattiche, rinominando l’evento della caduta del muro come “giornata internazionale della libertà”.

Così come è importante non sottovalutare l’endorsement delle varie associazioni fondamentaliste cattoliche al governo Meloni, come quelle pro life o neocatecumenali, che immediatamente dopo il risultato delle elezioni hanno riacceso la loro vecchia campagna anti-gender, scagliandosi contro la carriera Alias. Nello specifico a Roma, questi soggetti si inseriscono molto spesso all’interno delle funzioni strumentali o di governance degli istituti, determinando i piani dell’offerta formativa, solo per provare a controllare ciò che viene detto in classe dalle docenti.

È assolutamente necessario tornare a parlare di precariato nella scuola, alla luce delle riforme di reclutamento degli ultimi anni. Le docenti vittime dell’algoritmo sono continuamente in balia di un sistema che le rende ostaggio di mobilità forzata, dove si è costrette a scegliere conciliazione tra lavoro, vita e affetti.

Così come, non possiamo fare a meno di constatare che l’ultimo accordo raggiunto sul rinnovo contrattuale, presenta notevoli limiti sugli aumenti salariali, che neppure riescono a recuperare la perdita del potere di acquisto che abbiamo subito nell’ultimo anno dovuta all’inflazione, senza nessuna capacità di introdurre nel nuovo accordo un avanzamento su alcuni nuovi diritti. Nel contesto della pandemia, abbiamo sperimentato un utilizzo sempre più incontrollato delle chat e di tanti altri dispositivi di comunicazione. Strumenti che hanno contribuito a far esplodere le ore di lavoro non retribuito, che non trovano nessuna soluzione nel nuovo contratto anzi, non è si è stati neppure capaci di normare l’uso del lavoro da remoto utilizzato per le riunioni e altri adempimenti scolastici, che ha avuto anche a funzione di liberare parte del nostro tempo di vita, riducendo gli spostamenti in città ed eliminando il tempo di viaggio. Spesso la possibilità di uso di questa modalità di lavoro è stata sottratta dalla libera decisione degli organi collegiali, diventando una decisione unilaterale dei presidi.

Infine, che tipo di scuola si immagina a partire da ora, in assenza di potere degli organi collegiali, quali spazi immaginare nella costruzione politica della scuola alla luce degli attacchi alla libertà di insegnamento, cosa ci aspettiamo? Una società basata sull’istruzione di qualità a pagamento ma che addestri al lavoro gratuito? Dobbiamo lavorare per costruire una scuola democratica e per ridare spazio agli organi collegiali, discutere, prendere posizione all’interno dei luoghi decisionali delle scuole, partecipare in maniera attiva alle mobilitazioni, augurandoci che anche quest’anno l’otto marzo sia una giornata di sciopero potentissima e che venga declinato in tutte le sue forme così come abbiamo fatto finora.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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