Inizio 5 Cobas scuola di Padova 5 Competizione individuale, gerarchia e didattica di regime.

Competizione individuale, gerarchia e didattica di regime.

da | 31 Ago 2022 | Cobas scuola di Padova

Competizione individuale, gerarchia e didattica di regime.


Gli effetti sulla scuola del nuovo reclutamento, della formazione incentivata e del “docente esperto”.

di Rino Capasso – Esecutivo nazionale dei Cobas SCUOLA

Il Governo Draghi e il Ministro Bianchi hanno ipotecato pesantemente il futuro della scuola pubblica sia con la conversione in Legge n. 79 del Decreto 36 (tramite il solito ricorso alla fiducia su un maxiemendamento riguardante una miriade di questioni disparate e relativo esautoramento del Parlamento), sia con l’art. 38 del Decreto Aiuti, deliberato incredibilmente nell’ambito della gestione degli “affari correnti”. La Legge 79 prevede un vero e proprio percorso ad ostacoli per la formazione ai fini dell’immissione in ruolo e la formazione incentivata per i docenti di ruolo; l’art. 38 completa l’opera con la previsione del docente esperto.
La formazione per il reclutamento prevede tre step, ognuno con valutazione finale. Il primo è il percorso abilitante universitario in cui, a proprie spese, i corsisti devono conseguire 60 crediti formativi universitari o accademici (CFU/CFA) anche tramite tirocini con tutor di scuola. Possono accedervi studenti universitari, che devono però conseguire la laurea (o altro titolo idoneo) per accedere alla prova finale e, per i primi 3 cicli, docenti precari non abilitati con contratti a tempo determinato in scuole statali o paritarie. Le prove finali saranno scritte e orali, tramite una lezione simulata. L’abilitazione non dà diritto al ruolo, né all’idoneità, ma solo ad accedere insieme alla laurea magistrale o altro titolo idoneo al secondo step, il concorso con lo scritto con domande a risposta aperta e lezione simulata all’orale. Dopo gli esiti disastrosi degli ultimi concorsi, il MI ha finalmente riconosciuto che i quiz a crocette sono inefficaci per valutare la preparazione dei docenti, ma li ritiene paradossalmente ancora validi per valutare la preparazione degli studenti con le prove Invalsi. Comunque, si riserva di decidere, in caso di numerosi partecipanti, la possibilità di preselezioni, di nuovo con quiz a crocette! Il terzo step è l’anno di prova con almeno 180 giorni di servizio (di cui 120 in attività didattica) e test finale, sul cui esito deciderà il dirigente scolastico, previa acquisizione del parere obbligatorio, ma non vincolante del Comitato di valutazione e della relazione del tutor. Al concorso possono partecipare anche i precari non abilitati con 3 anni di servizio anche non continuativo, ma se risultano vincitori stipuleranno un contratto di supplenza annuale, in cui dovranno acquisire 30 CFU/CFA e l’abilitazione e solo allora saranno assunti a tempo indeterminato, ma dovranno naturalmente superare l’anno di prova con relativo test finale. Un bel modo di rispettare la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per abuso di ricorso a contratto a tempo determinato per docenti con 3 anni di servizio! Alla fine di questa gimcana finalmente abbiamo l’immissione in ruolo con stipendi tra i più bassi in Europa, ma con il vincolo della permanenza triennale, salvo assegnazione provvisoria in ambito provinciale.
Tutta questa attività di formazione per il reclutamento sarà coordinata dal 2023- 24 con la formazione in servizio incentivata di durata triennale, che riguarderà sia le “figure di sistema” con compiti organizzativi o di coordinamento didattico che i docenti operai. Sarà su base volontaria per i docenti già in servizio e obbligatoria per i neo immessi, secondo modalità che saranno decise dalla contrattazione collettiva, che dovrà definire anche le modalità di partecipazione, la durata e le ore aggiuntive, retribuite in modo forfettario. Nelle more dell’aggiornamento contrattuale e del regolamento ministeriale di attuazione, l’allegato B prevede in prima applicazione 15 ore per la scuola dell’infanzia e primaria e 30 ore per la scuola secondaria, al di fuori dell’orario di insegnamento. “Sono previste, con particolare riferimento alla capacità di incrementare il rendimento degli alunni, alla condotta professionale, alla promozione dell’inclusione e delle esperienze extra scolastiche, verifiche intermedie annuali, svolte sulla base di una relazione presentata dal docente sull’insieme delle attività realizzate nel corso del periodo oggetto di valutazione, nonché una verifica finale nella quale il docente dà dimostrazione di avere raggiunto un adeguato livello di formazione rispetto agli obiettivi” Le verifiche saranno effettuate dal Comitato di valutazione, formato dal Dirigente, da tre docenti e integrato nella verifica finale da un dirigente tecnico o da un dirigente scolastico esterno. Il Comitato potrà prevedere anche un colloquio. La valutazione avverrà secondo un modello approvato con decreto ministeriale, su cui la Scuola di Alta formazione (un nuovo carrozzone di nomina governativa che, in stretta collaborazione con Indire e Invalsi, gestirà tutte le attività formative per il personale scolastico) avvierà un monitoraggio, che dovrà prevedere anche degli indicatori di perfomance, in parte declinati dalle singole scuole. Sulla base di tale valutazione sarà assegnato a coloro che hanno superato la prova finale una retribuzione accessoria una tantum definita dalla contrattazione nell’ambito di un range che va dal 10% minimo al 20% massimo del trattamento stipendiale in godimento. Non vi è più il riferimento al 40% massimo dei partecipanti previsto nel decreto originario, ma si precisa che l’assegnazione sarà selettiva, non generalizzata o a rotazione e soprattutto che il numero dei vincitori sarà vincolato dalle risorse disponibili. Non vi sono naturalmente risorse aggiuntive, ma si utilizzeranno i risparmi previsti dal 2025- 26 al 2031-32 dalla riduzione dell’organico dell’autonomia dovuto al decremento demografico, al netto dei flussi migratori. Nella scheda tecnica di accompagnamento del maxi emendamento il MI prevede, sulla base di una serie di proiezioni statistiche, un taglio di 11.300 posti per cui i 770 mila docenti dell’organico 2022-23 diventeranno 758.700.

Con i risparmi stimati il MI calcola di poter retribuire al 15% del trattamento stipendiale (media tra il 10% e il 20%) nel 2026 6.537 docenti, nel 2027 13.934, nel 2028 26.230, nel 2029 36.689. Prendendo come riferimento il dato più alto, quello del 2029, e rapportandolo ai docenti previsti in servizio nel 28-29 (763.950) si tratta nientepopodimenochè del 5% della categoria! Quindi, con un gioco delle tre carte il governo ha tolto il vincolo del 40 % dei “bravi” per sostituirlo surrettiziamente con un dato reale molto più basso, per effetto del vincolo delle risorse.
Anche per i costi delle attività di formazione e per quelli della Scuola di alta formazione non vi sono risorse aggiuntive: per i primi anni si useranno risorse del PNRR e dal 2027 risorse stornate dal fondo per la Carta docenti.
Ma la competizione individuale, a cui punta la formazione incentivata, non è sufficiente: vi è bisogno di un’ulteriore scalino gerarchico per i docenti esperti! Per cui, il decreto Aiuti (!) ha previsto che coloro che supereranno per 3 percorsi formativi triennali le prove finali concorreranno per diventare docenti esperti, senza nessun compito aggiuntivo, ma con l’unico obbligo di restare nella scuola per almeno un triennio dopo il conseguimento della qualifica. Il super-premio è un assegno annuale di 5.650 euro lordi aggiuntivi allo stipendio (circa 400 euro al mese). Naturalmente, i bravi dovranno gareggiare per diventare super-bravi, per cui dal 2032-33 per 4 anni gli esperti potranno essere solo 8mila all’anno (in media 1 per scuola) e i criteri di selezione saranno definiti dalla contrattazione collettiva e dal regolamento ministeriale. In sede di prima applicazione, nelle more del contratto, si seleziona in base alla media del punteggio ottenuto nei tre cicli formativi superati positivamente; in caso di parità di punteggio prevale la permanenza come docente di ruolo nella istituzione scolastica presso la quale si è svolta la valutazione e, in subordine, l’esperienza professionale maturata nel corso dell’intera carriera, i titoli di studio posseduti ecc.

Dal 2036-37 il limite massimo sarà calcolato in base alle cessazioni dal servizio degli esperti, quindi al massimo 32mila unità. Non si prevedono stanziamenti aggiuntivi ma le risorse saranno ricavate di bel nuovo dalla riduzione dell’organico docenti e dalle risorse del Mof già a disposizione delle scuole.
La prima osservazione è che incredibilmente il governo pensa alle retribuzioni di una piccola parte della categoria mentre tutto il personale è in attesa del rinnovo del contratto scaduto da 3 anni, con una perdita del potere d’acquisto dei salari che a giugno 22 (rispetto al maggio 1990) è del 28,7% per i docenti delle superiori con 20 anni di servizio, del 30% per i collaboratori scolastici e del 31,5% per gli assistenti amministrativi e tecnici! Con l’inflazione all’8-9% tale perdita aumenterà ulteriormente.
Non vi sono risorse aggiuntive, ma tagli ai fondi della Carta docenti (che, invece, andrebbe estesa anche ai precari come prevede una recente sentenza della Corte di giustizia europea), al MOF e soprattutto all’organico con il taglio di 11.300 posti per il calo demografico; risorse che, invece, andrebbero destinate alla riduzione del numero di alunni per classe, all’ampliamento degli organici, con l’assunzione di tutti i docenti con 3 anni di servizio e degli ATA con 2, e per la sicurezza delle scuole.

Viene riproposto il modello della cd Buona scuola di Renzi, dopo lo smantellamento del bonus docenti e a 20 anni di distanza dallo sciopero Cobas che affossò il concorsaccio di Berlinguer! Un modello basato sulla competizione individuale, la gerarchizzazione dei docenti e lo strapotere dei presidi-manager. Come hanno dimostrato le esperienze all’estero e 20 anni di scuola dell’autonomia, la competizione individuale e la gerarchia creano solo un clima di ansietà e di sospetto, che peggiora la qualità della scuola, che ha bisogno, invece, di cooperazione e di collegialità effettiva. Inoltre, il potere di valutazione dato ai dirigenti e al comitato di valutazione (in cui i dirigenti cercheranno sempre di più di far inserire i membri dello staff) induce al servilismo e alla limitazione dell’effettiva libertà di insegnamento, mentre la scuola pubblica prevista dalla Costituzione è basata sul pluralismo didattico- culturale e sulla democrazia collegiale.
Ma ancora più preoccupanti sono il contenuto e gli obiettivi della formazione per il reclutamento e di quella incentivata, che prefigurano un indottrinamento mirato a creare una sorta di didattica di regime. Vi è un solo passaggio marginale nella Legge 79 in cui si accenna all’autonomia didattica e alla libertà di insegnamento. Ma per il resto si punta alla digitalizzazione, intesa come subordinazione alla macchina informatica, mentre l’informatica dovrebbe essere uno strumento didattico per una relazione cognitiva e interpersonale dove i soggetti attivi sono il docente e gli studenti; “in Internet si trova tutto, meno la mente per capire tutto” diceva con un efficace sintesi il presidente della Fondazione Zeri, per cui la scuola pubblica dovrebbe avere il ruolo prioritario di fornire gli strumenti cognitivi per usare consapevolmente le grandi opportunità, ma anche per schivare le grandi minacce della rete. Un secondo obiettivo è l’inclusione, di per sé giustissima, ma che viene declinata (con una tipica e ricorrente distorsione del linguaggio) in termini di medicalizzazione pervasiva di qualsiasi dato caratteriale. Un terzo obiettivo è l’ulteriore rafforzamento della didattica delle competenze che, di bel nuovo, si scrive “competenze”, ma si legge “addestramento” a saper fare mutevoli e decontestualizzati, in linea con la precarizzazione del mercato del lavoro. Lo studente deve imparare a svolgere segmenti lavorativi sempre diversi e nuovi senza porsi il problema del contesto in cui opera, del perché o per chi si produce e delle relative conseguenze sociali o ambientali. La scuola dell’autonomia ha già prodotto tantissimo analfabetismo cognitivo di ritorno con studenti incapaci di svolgere autonomamente le operazioni logiche più elementari. L’ autonomia ha messo in competizione tra di loro le scuole per accaparrarsi iscritti-clienti, perché chi ha più iscritti ha più risorse sia economiche che di personale da gestire e, quindi, più potere. Ciò ha innescato anche nella scuola pubblica (effetto perverso della concorrenza con le paritarie) una tendenza verso lo scambio di mercato tra iscrizioni e promozioni con conseguente pesantissime sulla valutazione, per cui abbiamo ormai non più il 6 politico, di cui qualche ripetitore meccanico continua a parlare, ma il 6 di mercato! Anche l’orientamento è inteso ormai come marketing e pubblicità anche ingannevole e i contenuti e i metodi dell’insegnamento vengono sempre più semplificati e impoveriti. Dico spesso ai miei colleghi, con intenti provocatori, che abbiamo bisogno di “complessità” e non di ulteriori semplificazioni. A furia di semplificare abbiamo prodotto studenti incapaci di mettere insieme anche solo due o tre variabili!

La scuola ha bisogno di puntare allo sviluppo di strumenti cognitivi: capacita di analisi, intesa come capacità di cogliere i nessi, di saper distinguere tesi e argomentazioni, di mettere a confronto tesi diverse sullo stesso argomento..; capacità di sintesi, intesa come sviluppo di una visione di insieme dei fenomeni, di saper contestualizzare, di ragionare per modelli; anche di competenze, ma intese come capacità di applicare le proprie conoscenze a situazioni concrete, di utilizzare i linguaggi disciplinari… E per fare tutto ciò non vanno più svalutati i saperi disciplinari e interdisciplinari. Ma soprattutto la scuola deve puntare a sviluppare negli studenti capacità di elaborazione autonoma e spirito critico, in linea con il ruolo assegnatole dalla Costituzione di formare cittadini consapevoli, indispensabili soggetti attivi per l’uguaglianza e la democrazia sostanziale!

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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