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L’albero rovesciato della scuola primaria.

da | 30 Nov 2021 | Materiali

Proponiamo uno stralcio dell’ampio contributo alla discussione attorno alle metodologie di approccio didattico nella scuola primaria che si sono argomento di approfondimento tra il personale della scuola attento e sensibile. L’intero documento è consultabile qui, ringraziamo Davide Viero per il suo lavoro.
Questo documento è stato condiviso anche nel Tavolo per la scuola primaria del gruppo La nostra scuola.
G.Z

L’albero rovesciato della scuola primaria. Proposte di cambiamento a partire dall’analisi della realtà

di Davide Viero

Che cos’è la Scuola primaria? Oggi è molto diversa da quella chiamata un tempo Scuola elementare. Infatti questa si chiamava così perché dava gli elementi di base sui quali innestare le future conoscenze; degli elementi che, una volta assodati, costituivano la radice e davano contemporaneamente una certa libertà al soggetto che li aveva acquisiti, dal momento che poteva muoversi utilizzandoli nelle più svariate situazioni che la vita e i successivi gradi di scuola gli presentavano.

A seguito della gerarchizzazione del percorso di studi, ora la scuola è diventata Primaria, perché è ciò che viene prima della Secondaria. È quest’ultimo il vero fulcro della primaria: non più il radicarsi nelle basi dei saperi in relazione all’età, ma anticipare temi ed argomenti che verranno affrontati poi. Ciò significa allontanarsi dallo sviluppo psicologico dell’alunno, con i suoi ritmi e specificità, e ricercare una nuova identità di scuola e di insegnante, che derivano dall’apparente facilitazione deresponsabilizzante verso la scuola successiva. Se la Scuola elementare era un albero radicato a terra (ovvero alle basi dei saperi e allo sviluppo infantile) e poi esso cresceva in alto libero e forte, ora quest’albero è rovesciato e sventola le radici per aria. Nella Primaria non si preparano davvero gli studenti alla Secondaria: nelle ultime classi della Primaria, infatti, si anticipano semplicemente gli argomenti della Secondaria (potenze, espressioni, analisi logica etc.) ma tutto questo senza approfondire e rendere sicuri il calcolo, la conoscenza del sistema metrico-decimale, i problemi, la lettura, la scrittura libera, il riassunto. Che cosa produce tutto questo? L’apparenza di essere preparati, quando in realtà ci si accontenta dei titoli dei capitoli che verranno affrontati, senza sapere cosa c’è scritto all’interno; anzi, precludendo il successivo sviluppo, perché senza la capacità di fare calcoli, senza la capacità di scrivere, di confrontarsi con un testo scritto, senza la capacità di ragionare e di dire con parole proprie diventa impossibile fare le espressioni, capire la geometria, riassumere; insomma, essere introdotti al programma necessariamente più astratto della Scuola media.

E tutti gli argomenti affrontati oggi alla Primaria vengono consumati in fretta, oseremmo dire accennati o affrontati attraverso una tecnica uguale per tutti, ma senza la comprensione vera e profonda che dà solo il sostare su di essi, quando li si affronta liberamente e da più punti di vista. Questa fretta di passare all’argomento successivo determina una scuola iper-selettiva proprio quando si pontifica sull’inclusione. Cosa c’è sotto la patina delle competenze e dei bei voti, se non l’ignoranza dei molti e la preparazione dei pochi? Perché lo vediamo: in una classe solo uno o due alunni hanno la capacità, unita alla maturità, per stare al passo e assimilare a fondo ciò che si fa in questo modo. Una gran massa, quella che Levi chiamerebbe la “zona grigia”, fa quel che deve fare grazie a tecniche semplificate (perché è comunque ‘sveglia’, anche se priva di quella maturità e prontezza che potrebbero emergere poi, in altre età), ma senza capire fino in fondo ciò che fa; e infatti le difficoltà emergono attraverso una semplice prova: basta riprendere un argomento dopo 2-3 mesi e questa ampia “zona grigia” risulterà completamente ignorante su tale argomento. È questa la preparazione con cui mandiamo gli studenti alla Scuola media? È questa la scuola che deve prepararli alla vita, come affermano frotte di pedagogisti e variopinti formatori (significativo però che essi non parlino mai di vita autonoma, legata perciò alla sfera intima di ognuno, quanto piuttosto di adattamento alla vita sociale nelle forme date)?

La Scuola primaria offre quindi l’apparenza di una preparazione al futuro (in questo caso, alla Scuola media), ma è invece fondata su un’autoreferenzialità che persegue le forme e l’apparire e preclude anche la possibilità di assimilare contenuti necessari in chi maturerà più avanti, possibilità che significherebbe davvero seminare per il futuro.

Oltre a ciò, risulta oggi necessaria un’attenta riconsiderazione delle oramai innumerevoli certificazioni, che si radicano nelle richieste di performatività sui soggetti in crescita e sono spesso il frutto di una protensione al risultato da raggiungere in modo immediato, rapido e univoco. Tutto questo produce un modello selettivo che premia chi possiede già le caratteristiche per riuscire e riserva agli altri un modello patologico di risulta che, attraverso la certificazione dello status quo, neutralizza il disallineamento verso quanto richiesto. La certificazione, fondata sull’allineamento, produce perciò una frantumazione del gruppo classe, con la sua intrinseca capacità di far tendere ognuno verso l’alto e ipostatizza una lacuna rispetto al risultato atteso, senza incaricarsi di sanarla con un lavoro volto all’apprendimento. Il tutto mentre ci si accontenta, mediante la certificazione, di compensare e dispensare l’alunno invece che lavorare al suo compimento. Il vero insegnante non dovrebbe semplicemente certificare, ma compiere ciò che vede possibile, ampliando di volta in volta, col suo agire, la sfera del possibile stesso.

Purtroppo la certificazione, gran parte delle volte, dimostra una distorsione educativa fondata sul piano giuridico-burocratico, e perciò indifferente alla relazione umana nella sua mediazione attraverso i contenuti; relazione nella quale si mostrano capacità, potenzialità e ricchezza affettiva. Significativo che nei cassetti delle cattedre non ci siano quasi più sacchetti di caramelle o che il racconto dei bambini prima di iniziare la lezione sia diventato evento raro; tutte cose che facevano capire come la “severità” del tempo restante fosse un elemento necessario al bene dello stesso studente in una relazione densa di senso. Oggi la “furia del fare” è impersonale ed autoreferenziale, non radicandosi più in una relazione dove anche la stessa severità era la cifra della rilevanza dell’allievo.

Cosa fare per invertire questa rotta che è epocale e non solo relativa alla scuola?

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Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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