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17 miliardi di euro sull’istruzione, nove sull’università e 8 sulla scuola

da | 22 Ott 2021 | Materiali

Pubblichiamo qui di seguito uno stralcio dell’articolo che Francisco Soriano, docente ed ex dirigente scolastico della scuola italiana di Teheran, ha pubblicato sulla rivista on line “Carmilla”. Annotiamo che gli 8 miliardi per la scuola non coprono che in parte i tagli che sono stati effettuati in questi ultimi 15 anni. G.Z.

Niente di nuovo sotto il sole della nuova scuola-impresa del ministro Bianchi

di Francisco Soriano* da carmillaonline.com

Il governo Draghi investirà 17 miliardi di euro sull’istruzione, nove sull’università e 8 sulla scuola. Questi fondi sono contenuti nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnnr) e sono stati “pubblicizzati” al termine di una “cabina di regia”. Questa pianificazione è il frutto della concezione dell’istruzione all’impresa, soprattutto attraverso il finanziamento degli istituti tecnico professionali con 1,5 miliardi di euro, come gradito da Confindustria. Inoltre si prevede la pianificazione di fondi che sono insufficienti per l’edilizia scolastica, fra le più vecchie d’Europa, a eccezione degli asili nido, mense e palestre. Il campanello d’allarme suona alla voce: “ecosistemi dell’innovazione”, che consistono in dodici territori selezionati, con la chiara possibilità di aumentare diseguaglianze territoriali. Si sbandiera la “riforma” dei dottorati (6 mila in più dal 2021), nella cornice del placet delle imprese. Non una parola sull’università gratuita al fine di elevare il numero degli studenti e dei laureati, e di una assunzione concreta di ricercatori in tutte le università, né di un aumento del fondo annuale diretto a tutti gli atenei. L’idea del ministro non sublima la ricerca pubblica ma incrementa quanto di più vecchio è stato fatto nel passato con più fondi. Per questo è necessario il ricordo e la storia delle trasformazioni della nostra scuola e università. Soprattutto della responsabilità di tutti i governi di destra, di sinistra e dei populisti di oggi, nel determinare la gestione della didattica concepita come mero strumento delle imprese.

Questa visione di futuro ha posto in essere un sistema di mistificazioni e retoriche che servono a eludere le critiche e aggirare le distorsioni delle crisi sistemiche, fra cui quella della scuola pubblica italiana. Le contraddizioni vengono provocate dalla inadeguatezza delle scelte strategiche nella didattica e nel governo dei territori: dalla inconciliabilità delle necessità dei cittadini con le politiche scolastiche, dallo smascheramento di un progetto di didattica strumentale alle esigenze delle aziende e del profitto, dalla incapacità di avere una visione di scuola pienamente inclusiva di tutte le complessità sociali, dalla volontà neppure camuffata di strutturare una scuola con obiettivi finali che hanno poco a che fare con una idea di etica sociale diversa dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Attraverso un linguaggio consono a soddisfare questa esigenza si è voluto dare valore pregnante alla “competenza”, alla “gestione delle risorse”, alla “progettazione” delle aspettative, totem del pensiero liberista, fino alla chimera di un futuro più giusto basato sull’”efficienza”, con l’esclusione implicita dei più fragili e con la perseveranza nel perseguire strategie di sviluppo di sistemi capitalistici in modo indiscriminato.

Con parole ben veicolate nella loro significazione si tenta continuamente lo scardinamento di un sistema pedagogico pubblico e popolare che si è andato man mano corrodendo sotto i colpi ineluttabili di una “managerialità” nella scuola con un preciso intento: esclusione, allontanamento delle fragilità, spaesamento dei contenuti didattici. Nel tempo la scuola ha rappresentato sempre di più, nonostante la partecipazione di organi collegiali e rappresentativi, un sistema autoritario e verticistico perché ben impiantato sui valori della competizione simili a quelli che regolano i mercati, le aziende, la funzionalità delle dinamiche sociali. Questa deriva si è verificata anche e nonostante la partecipazione collegiale di famiglie e diversi utenti, spesso sensibili e già conformi alle logiche di sistemi che rispondono alla visione del più bieco sfruttamento. Dagli anni novanta fino ad oggi il percorso di consolidamento delle scelte del pensiero unico liberista è stato inarrestabile.

I capisaldi inoppugnabili della nostra Carta costituzionale sono ancora in vita, nonostante gli assalti e i tentativi di trasformarli alle nuove e ineluttabili regole della modernità, improntata sul principio della competizione e competitività. L’emergenza Covid ha portato ineluttabilmente allo scoperto tutti i problemi sedimentatisi negli anni. Le prime questioni spinose e fondanti una nuova didattica partecipata riguardano un’idea di edilizia scolastica che deve fare i conti con la pregressa carenza di strutture moderne in osmosi con le esigenze didattiche di una scuola innovata e innovativa. Gli spazi scolastici e la loro organizzazione sono un aspetto ineludibile di una didattica moderna che si basa su principi collettivi di partecipazione alle nuove didattiche. La strutturale carenza di insegnanti e dell’uso improprio di tutto il personale precario per le supplenze, in modalità al limite del rispetto della dignità dell’individuo garantita sul lavoro, rappresenta uno dei punti nodali delle crisi del sistema didattico italiano. La forbice delle diseguaglianze, in ogni campo e settore fra Nord e Sud, si è ampiamente divaricata con effetti disastrosi, soprattutto sulla frequenza degli allievi a scuola. In un Paese con un tasso di criminalità organizzata esteso e infiltrante i territori, si è determinata la condizione più proficua di reclutamento e asservimento di manovalanza giovanile, per mancanza di una scuola forte e contrastiva. L’intento di investire tutto all’acquisizione delle competenze con l’apprendimento nozionistico delle discipline è un ulteriore tentativo vuoto e incoerente. La propagazione di fenomeni preoccupanti di analfabetismo cognitivo non si risolve con la strutturazione di test o strumenti di valutazione che rimangono comunque in un ambito statistico senza incidere particolarmente nella soluzione dei problemi. Lo sviluppo delle capacità dei discenti deve invece concentrarsi su attività e strategie ben diverse, investendo finalmente sulla creatività, motore e stimolo degli esseri umani: analisi, critica, sintesi, mediazione, etica e sperimentalismo, poste in una prospettiva di collaborazione e non qualità meramente individualistica.

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Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

Centro studi per la Scuola Pubblica

Via Monsignor Fortin 44 – Padova

Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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