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COME METTERE A PROFITTO LA SCUOLA

da | 18 Mag 2021 | Materiali

COME METTERE A PROFITTO LA SCUOLA

di Carmelo Lucchesi*

> Tra il 1989 e il 2000, vengono poste le basi teoriche e normative all’interno dell’UE che spiegano i frequenti mutamenti che, subito dopo, investono l’istruzione italiana . In quella dozzina di anni, su sollecitazione dell’ERT (European Round Table of Industrialist, potente lobby di imprenditori europei), l’UE produce vari documenti (Libri Bianchi UE del 1993, 1995 e 1996, Documento conclusivo del Consiglio Europeo riunitosi a Lisbona nel 2000) in cui viene delineato il nuovo profilo dell’istruzione fondato sui seguenti ingredienti.

> Formazione permanente

> È la capacità di imparare durante tutta la vita per “promuovere occupabilità e inclusione sociale”, afferma l’UE. Le frequenti trasformazioni tecnologiche, che investono repentinamente conoscenze e comportamenti, impongono all’istruzione di adeguarsi opportunamente alle innovazioni. Ad esse, deve adeguarsi anche tutta la popolazione, pena l’esclusione sociale. Questo il presupposto teorico di tutto il processo. A ben vedere, però, si intravede il tentativo di suscitare un bisogno fittizio al fine di vendere la “merce” istruzione per un periodo molto più lungo dell’attuale durata degli studi.

> Le cosiddette “competenze”

> Nel Summit di Lisbona si indicano le “nuove competenze di base” da acquisire: quelle relative alle tecnologie dell’informazione, a una cultura tecnologica, allo spirito d’impresa (“capacità dell’individuo a superarsi nel campo professionale”) e alle attitudini sociali (“fiducia in se stessi, indipendenza, attitudine ad assumersi rischi”). Il vero fine di ciò è dichiarato dal Consiglio Europeo riunito ad Amsterdam nel 1997, migliorare “l’adattamento dei lavoratori alle evoluzioni del mercato del lavoro”. Le conseguenza dell’apprendimento per competenze sono svariate.

> • Si crea un sistema europeo omogeneo nella valutazione sul modello dei Crediti Formativi già in vigore nelle Università italiane. Il che necessita di strumenti di verifica basati sugli indovinelli modello Invalsi e rende la valutazione una mera operazione computistica che può svolgere un software qualsiasi.

> • Comporta l’introduzione di una Certificazione delle competenze valida in tutta l’UE. Ancora non ci siamo arrivati ma manca poco, visto che da anni le scuole italiane già lo fanno ed è da poco sopraggiunto il Curriculum dello studente che si muove in questa direzione.

> • Occorre armonizzare a livello UE la durata dei corsi scolastici e universitari e proprio a ciò puntano le continue sparate di politici e ministri per ridurre di un anno la durata delle scuole superiori. Sottolineiamo lo stretto legame che si genera esplicitamente tra istruzione e aziende con l’introduzione delle competenze imprenditoriali.

> Sviluppo delle TIC (Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione)

> Le conclusioni del summit di Lisbona rivendicano “uno sforzo nella fornitura alle scuole di computer multimediali, uno sforzo per la formazione degli insegnanti europei alle tecniche informatiche, lo sviluppo di servizi e software educativi europei nonché l’accelerazione della messa in rete di scuole e enti di formazione”. Anche questo è stato ampiamente fatto ed è addirittura nel Recovery plan presentato all’UE dal governo Draghi: gran parte dei finanziamenti per l’istruzione è destinato all’incremento dell’e-learning, già copiosamente praticato con Dad e DDI durante la pandemia.

> Autonomia scolastica

> L’UE promuove le iniziative nazionali volte a sostituire la gestione centralizzata della scuola pubblica con livelli di gestione autonomi e in situazione di forte concorrenza. Ed è a questa sfera che afferisce l’utilizzo dei risultati dei quiz Invalsi per stilare graduatorie delle migliori scuole e università. Questo aspetto in parte è stato realizzato con l’introduzione dell’autonomia scolastica. Manca un ulteriore tassello costituito dall’Autonomia differenziata regionale, la cui effettiva attuazione stenta a partire.

> Gli obiettivi reali del piano europeo

> Gli scopi veri di quanto abbiamo brevemente descritto sono essenzialmente tre:

> 1. trasferire alle imprese una notevole mole di denaro pubblico attraverso l’acquisto di prodotti tecnologici (pc, lavagne interattive, software, piattaforme ecc,);

> 2. allargare la presenza di scuole e università private;

> 3. rendere l’istruzione il luogo dell’addestramento di manodopera duttile, docile, poco acculturata (formata a colpi di coding e protocolli), pronta a cambiare repentinamente mansioni e luogo di lavoro, al servizio del Moloch imprenditoriale.

> Appare evidente che il processo di cambiamento – ancora in corso – ha celebrato le esequie dell’istruzione come l’abbiamo conosciuta nella seconda metà del ‘900: un percorso relazionale mirato all’acquisizione di conoscenze e comportamenti critici, supportati da una certa consapevolezza sia sul piano sociale che individuale. In tutto questo, resta un convitato di pietra: l’insegnante. Nei documenti dell’UE si parla poco di questa figura; per fortuna ci pensa l’OCSE a colmare la lacuna: “l’apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da ‘prestatori di servizi educativi’ “. Evviva la sincerità!

* coordinatore della rivista COBAS

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Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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