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Curriculum e generalizzazione dei test INVALSI/PISA

da | 13 Mag 2021 | Materiali

Curriculum e generalizzazione dei test INVALSI/PISA

di Mauro Boarelli da gliasinirivista.org

Due nuove tegole si stanno per abbattere sul disastrato sistema di istruzione pubblica. La prima è un cascame della riforma renziana nota con il nome di “buona scuola” e si chiama Curriculum dello studente. Si tratta di un documento che dovrà essere compilato attraverso una piattaforma digitale prima dell’esame conclusivo delle scuole superiori. La commissione dovrà tenerne conto nella valutazione, poi il documento verrà allegato al diploma.

È articolato in tre parti. Dopo la sezione dedicata al percorso di istruzione (che prevede anche un campo per segnalare l’eventuale inserimento nell’albo nazionale delle “eccellenze”, una delle parole-chiave della neolingua scolastica), si passa a quella dedicata alle lingue e all’informatica, dove ciò che importa non sono le conoscenze, ma le certificazioni rilasciate da enti autorizzati: una ragazza autodidatta che se la cava a meraviglia con i computer o un ragazzo che conosce perfettamente una lingua straniera perché figlio di immigrati o perché vive in una famiglia bilingue, saranno costretti a lasciare quello spazio in bianco. Infine la sezione per le attività extrascolastiche, dove andranno elencate le attività culturali, artistiche, musicali, sportive, di “cittadinanza attiva” e volontariato, e per ciascuna di esse sarà necessario quantificare la durata. Non manca un’area per segnalare la partecipazione a gare e concorsi (ovviamente vanno specificati i risultati conseguiti: chi mai compilerà questo campo se non è riuscito ad arrivare nella zona alta della classifica?). Bizzarria finale, uno spazio per le pubblicazioni, perché evidentemente nel fantastico mondo ministeriale qualcuno ritiene che diciottenni e diciannovenni ne abbiamo già al loro attivo.

A che serve? Per cercarne il senso dobbiamo pensare al curriculum come a un tassello di un puzzle che si va componendo da diversi anni. Le tessere corrispondono alle voci di un nuovo vocabolario che sta plasmando il sistema educativo: utilitarismo, competizione, individualizzazione, impresa, competenze. L’idea centrale è che l’apprendimento non abbia alcun senso se svincolato dal raggiungimento di un fine materiale e immediato. Il curriculum dello studente sancisce questo mutamento di senso, inserendo nel campo della valutazione tutto ciò che i ragazzi fanno nel loro tempo libero per il proprio piacere, mostrando loro che anche il piacere deve essere convertito in utile, deve essere monetizzato. Nell’immediato, la moneta sarà il riconoscimento formale da parte della commissione d’esame, che lo trasformerà (secondo criteri imponderabili) in un numero da sommare agli altri nella valutazione finale. Un passo ulteriore dopo l’introduzione dei “crediti”, che gli studenti possono ottenere documentando attività extrascolastiche, ad esempio nel campo del volontariato. In alcune scuole si ottengono crediti per la donazione del sangue: anche al dono viene attribuito un prezzo. E se c’è un prezzo ci deve essere anche una concorrenza. Il curriculum (quello che tutti compiliamo e aggiorniamo nella nostra vita professionale) serve a stare nel mercato del lavoro. Anticiparne l’uso alle scuole superiori significa rendere chiaro che la scuola è già un pezzo di questo mercato. Significa formalizzare la connessione tra apprendimento e concorrenza (chi ha più titoli sarà premiato, la competizione per accumularne verrà incoraggiata), spazzando via l’idea che l’educazione debba essere basata sulla cooperazione. Anche le implicazioni sul piano dell’uguaglianza sono evidenti: la partecipazione alle attività extrascolastiche non è uguale per tutti ed è influenzata da molteplici fattori. La situazione economica è solo uno di questi, e di certo riveste una grande importanza: non tutti possono permettersi di pagare corsi di musica o certificazioni linguistiche per i propri figli.

Ciò che la scuola pubblica è in grado di fare per neutralizzare le disuguaglianze sociali nel corso del processo educativo entra in collisione con ciò che alla scuola è richiesto di formalizzare al termine di quel processo. D’altra parte la strada era già stata indicata molto tempo fa. Era il 1989 quando l’European Round Table of Industrialists – forum che riunisce le principali imprese multinazionali europee – scrisse in un rapporto dedicato alla scuola che l’educazione è un bene individuale. Quel rapporto fornì i materiali per la scrittura di atti fondamentali dell’Unione europea, che incorporò nella propria visione politica questo punto di vista insieme al concetto di competenza, chiave di volta del processo di individualizzazione dell’educazione che ha scavato in profondità nel corso degli ultimi trent’anni. Nel libro bianco dell’UE del 1995 intitolato Insegnare e apprendere veniva proposta l’adozione di una “tessera personale” delle competenze che affiancasse il sistema dei diplomi. Il curriculum dello studente è il tassello che mancava per poter agganciare il prossimo pezzo del puzzle.

La seconda tegola proviene dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), confezionato in gran segreto dal Governo e dalle strutture ministeriali e transitato per poche ore in Parlamento, senza alcun dibattito pubblico. Nel capitolo dedicato alla riduzione dei divari territoriali nel sistema di istruzione si delinea un meccanismo che dovrebbe destare molte preoccupazioni. In sostanza, i divari verranno misurati e monitorati “attraverso il consolidamento e la generalizzazione dei test PISA/Invalsi”. Nelle scuole che hanno conseguito “livelli prestazionali critici” i percorsi verranno “personalizzati” (una formulazione generica e ambigua che non promette nulla di buono), i dirigenti scolastici saranno supportati da tutor esterni, i docenti verranno sottoposti a “mentoring” e formazione, mentre per gli studenti verranno predisposti programmi di “mentoring, counseling e orientamento professionale attivo”. Tutto avverrà (manco a dirlo) con il supporto dell’Invalsi.

Lo schema è scarno e avrà bisogno di disposizioni attuative, ma il quadro è chiaro. L’Invalsi assumerà un ruolo ancora più rilevante rispetto a quello attribuito finora, avrà la facoltà di determinare gli standard da raggiungere e gli strumenti correttivi. Di fatto, le scuole verranno dirette da “esperti” esterni che avranno il potere di intervenire sul governo delle istituzioni scolastiche e sugli insegnamenti dei singoli docenti per ricondurli a obiettivi che essi stessi hanno stabilito. Un circuito autoreferenziale potenzialmente distruttivo per ciò che rimane della scuola pubblica (e una pietra tombale sulla libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione).

Curriculum dello studente e previsioni del PNRR sono strettamente connessi, anche se apparentemente non c’è alcun legame diretto. A legarli ci sono i principali filoni di pensiero (un pensiero povero che produce passioni tristi) che da tempo stanno ristrutturando in profondità la cultura pedagogica e che possono essere raggruppati sotto tre titoli: valutazione, efficienza e uniformità. Alla valutazione standardizzata amministrata da agenzie specializzate viene affidata una funzione centrale nel sistema educativo. La valutazione è pervasiva, penetra in ogni articolazione dell’organizzazione scolastica, condiziona i contenuti e i metodi dell’insegnamento, ambisce a costituirne il fine ultimo, e a breve rappresenterà anche il punto di riferimento per la riorganizzazione delle istituzioni scolastiche, che verranno misurate sulla base di un criterio di efficienza mutuato dal mondo imprenditoriale. Un tale criterio non può che favorire una uniformità del sistema educativo che non ha nulla a che vedere con il riequilibrio dei divari territoriali (sui quali – è facile prevedere – questi interventi non avranno alcun impatto), e rappresenta invece una formidabile spinta al conformismo, perché gli spazi di autonomia, giudizio critico, sperimentazione, cooperazione, riconoscimento del valore educativo dell’errore, sono stati progressivamente ridotti e ancora di più lo saranno per l’azione combinata delle ennesime innovazioni che – nell’indifferenza generale, rotta da qualche voce isolata – stanno per piombare sul mondo della scuola, ormai incapace di reagire.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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