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Voti a perdere

da | 15 Gen 2021 | Materiali

SCUOLA PRIMARIA: IL MINISTERO ABOLISCE I VOTI E REINTRODUCE I GIUDIZI. UN CAMBIAMENTO POSITIVO MA CHE POTREBBE ESSERE MAL DECLINATO

Voti a perdere

di Gianluca Gabrielli dal giornale Cobas n°10

In questi giorni nelle scuole primarie è arrivata l’O. M. n. 172 con le Linee guida per l’applicazione delle novità sulla valutazione introdotte dalla legge n. 22/2020 (art. 1 comma 2bis) che abolisce il voto numerico.
La storia della valutazione nella scuola elementare (ora primaria) negli ultimi cinquant’anni è stata intensa ed emblematica di grandi trasformazioni. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso fu proprio prendendo di mira il voto numerico che si organizzarono le lotte di maestre e maestri contro la selezione scolastica, prevedendo anche forme di disobbedienza come assegnazione di voti “politici” o produzione di documenti di valutazione discorsivi da affiancare alle “pagelle” numeriche. L’esito di queste lotte (nel contesto di grandi trasformazioni) produsse l’abolizione dei voti numerici e l’introduzione di giudizi che nel tempo furono più volte mutati nella forma.
Dopo oltre trent’anni fu il ministero Gelmini a imporre una sterzata conservatrice nella scuola primaria e a reintrodurre i voti come emblemi di una volontà selettiva che nei fatti era fuori dal tempo ma che incontrava il plauso di un’opinione pubblica nostalgica e l’acquiescenza di una categoria insegnante sfiduciata dall’esito negativo di un decennio di lotte.
Oggi quella forzatura anacronistica viene eliminata ma la scelta non nasce da una mobilitazione capillare dal basso, bensì da una decisione proveniente dal ministero. Negli ultimi anni infatti l’unica azione in direzione dell’abolizione del voto è stata la meritoria raccolta di firme Voti a perdere promossa dal Movimento di Cooperazione Educativa che però non ha superato le 2.000 adesioni.

Cosa potrebbe accadere

Rispetto ad una norma sicuramente positiva ma che viene elargita ad una categoria poco attiva e per lo più in un periodo di pandemia occorre riflettere sulle possibili declinazioni che potrà assumere nella fase applicativa.
La nuova norma prevede una valutazione formativa, cioè intesa al servizio del processo di apprendimento, articolata rispetto agli obiettivi formulati dagli insegnanti nelle programmazioni di classe. I livelli in cui si sintetizza la comunicazione relativa al rag- giungimento di quegli obiettivi sono quattro (“avanzato”, “intermedio”, “base” e “in via di prima acquisizione”) e sono costruiti sulla combinazione di altrettanti elementi valutativi dell’azione delle bambine e dei bambini: autonomia del lavoro, continuità dei risultati, capacità di individuare e utilizzare gli strumenti e capacità di muoversi in situazioni conosciute o nuove.
Come si scriveva, la nuova indicazione è sicuramente positiva rispetto all’esistente e sulla carta la sua applicazione può innestare un utile processo di cambiamento nelle scuole. Ma tutto dipenderà da come verrà declinata.
Infatti il cambiamento suggerito poggia le sue basi sul documento di programmazione, cioè sulla determinazione degli obiettivi predisposta ad inizio anno da ogni team di classe come sintesi che combina gli elementi delle Indicazioni nazionali e le concrete situazioni e caratteristiche del gruppo classe. Però la programmazione – ormai da parecchi anni – non è più un’attività vitale ma si riduce alla riproposizione burocratica di elenchi di obiettivi astratti, un assolvimento di obblighi senza anima. Fondare la nuova valutazione su una scelta di obiettivi tratti dalle programmazioni significa scommettere su un’autoriforma di questa pratica spenta, che dovrebbe ritornare ad essere un vero progetto programmatico del percorso scolastico annuale modellato sulle caratteristiche di ogni singola classe. Perché si attui questa autoriforma però servirebbe qualcosa di più di qualche webinar ministeriale, soprattutto dopo il deserto seminato dagli ultimi quindici anni di esautoramento della creatività delle mae- stre e dei maestri indotto dai test Invalsi e dall’idea – inculcata a forza proprio da alcuni dei componenti del “gruppo di lavoro sulla valutazione” – che valutare equivalga a misurare e che ogni raccolta di informazioni sul processo di apprendimento non possa che scaturire da standardizzazioni nazionali prive di qual- sivoglia adattamento ai contesti (della scuola, della classe, delle bambine e dei bambini, dei percorsi di apprendimento).
Inoltre il rischio forte di una semplificazione e burocratizzazione del cambiamento emerge dalle prime avvisaglie che giungono dalle riviste on line: a dicembre viene segnalato il lavoro dei tecnici informatici sui software dei diversi registri elettronici per preparare semplici maschere di corrispondenza tra voti e giudizi ad esempio: 10 e 9 corrisponderebbero al livello avanzato, 8 e 7 a quello intermedio…). Un’altra possibile deriva del cambiamento potrebbe prevedere una soluzione delegata: l’assegnazione della preparazione delle nuove griglie (scelta degli obiettivi da valutare e sintesi dei giu- dizio) ad un unico docente della scuola. Tra i favoriti certamente ci saranno quei docenti che si sono contraddistinti negli ultimi anni (come estensori solitari o in gruppi ridottissimi) di quelle inutili e remunerate liste di obiettivi del curricolo verticale (mai lette da alcun insegnante) e quindi capaci di rimettersi al lavoro per fornire nuove burocratiche liste di obiettivi a tutti i colleghi e le colleghe senza che si attivi la minima discussione sui muta- menti da introdurre nel nuovo processo di valutazione. Solo la discussione comune – in commissioni ampie e nei team durante le programmazioni – può attivare una riflessione all’altezza del compito e tenerla viva dopo le prime prove di quest’anno (la nuova valutazione rimane sperimentale per un triennio).

La comunicazione con i genitori
Infine, poiché la valutazione è finalizzata a comunicare in modo comprensibile ai genitori la situazione per quanto riguarda i pro- cessi di apprendimento e lo sviluppo dell’identità personale delle bambine e dei bambini, sarebbe auspicabile che la riflessione collettiva che si aprirà nei prossimi due anni nelle scuole puntas- se a produrre linguaggi che traducano il “pedagogese” di ultima generazione per renderlo almeno comprensibile. Anche questa speranza si scontra con un altro pessimo cambiamento che ormai si è affermato nella scuola: il registro elettronico. Sono purtroppo sempre più numerose le scuole che anche prima del Covid avevano adottato la disastrosa scelta di eliminare i colloqui per la comunicazione delle valutazioni ai genitori sostituendoli con l’accesso diretto al registro elettronico. La rinuncia a parlare faccia a faccia, a formulare i pensieri e i racconti dell’esperienza scolastica con parole vive, a rispondere alle domande e alle richieste di chiarimenti dei genitori è stata una sciagura alla quale occorre porre rimedio al più presto. In caso contrario si sostituirebbe la semplificazione falsamente oggettiva dei voti con la alienante informatizzazione di giudizi sintetici su lunghi elenchi di obiettivi scritti in pedagogese.
Insomma: una utile cancellazione dall’alto dei voti numerici che solo con l’impegno collegiale delle docenti e dei docenti può trasformarsi in una inversione di tendenza profonda rispetto alle burocratizzazioni e standardizzazioni valutative degli ultimi vent’anni.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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