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Mai più come prima. Il cambiamento è prodotto dalle lotte, come prima.

da | 1 Mag 2020 | Materiali

Mai più come prima.
Il cambiamento è prodotto dalle lotte, come prima.

di Beppi Zambon

Subito la retorica comunicativa ha battuto la grancassa della guerra contro il nemico invisibile, una guerra planetaria, una terza guerra mondiale, probabilmente con ondate lunghe e una forte risacca, capaci di erodere le fondamenta della nostra società. Ecco quindi una chiamata alla mobilitazione generale, con tanto di appello al rientro per i riservisti della sanità, per supportare le prime linee nel combattimento del virus. Una battaglia impari che lascia nelle trincee delle terapie intensive gli eroi del loro quotidiano lavoro da ospedale da campo, sostenuti e coadiuvati nelle retrovie dal profondo riconoscimento sociale dei concittadini, che sono divenuti, istantaneamente, obbedienti, allineati e vigilanti nell’osservazione del coprifuoco per la mobilità, per gli approvvigionamenti, per il lavoro. Un grande lavoro di disciplinamento sociale che è stato incrinato da alcune iniziative di lotta nelle fabbriche e nei magazzini della logistica, da parziali percorsi di solidarietà e mutualismo, da una critica comunicativa di nicchia, però capace di bucare nell’ironia e nel sarcasmo dei social media. Un esperienza pratica di controllo sociale dispiegato a cui è mancata – per ora – la ciliegina dell’applicazione istituzionale di tracciamento per la prevenzione delle future contaminazioni. Niente da invidiare all’immaginaria psicopolizia dell’attualissimo ‘1984’ di G. Orwell.

Ora che la pandemia è ritornata sotto controllo, nel senso che il rapporto tra potenziali futuri gravi infetti e capacità di ricezione nelle terapie intensive e semi intensive è, statisticamente, ritenuto compatibile col presente sistema sanitario, così come lo hanno teorizzato e praticato gli Stati scandinavi e parzialmente la Germania, nei quali non è stato imposta nessuna chiusura totale, è partita la retorica della ripartenza nel tempo più breve possibile per mantenere le quote di mercato, per recuperare il PIL perduto, per la latente richiesta sociale di reddito. Una ripartenza che riguarda circa 5 milioni di lavoratori, gli altri 10 milioni sono stati costretti al ‘lavoro necessario’. Ad un servizio permanente attivo anche durante l’emergenza più acuta, 10 milioni di schiavi, di carne da cannone, altro che eroi. Ora si riparte, chi se ne frega del distanziamento nei mezzi di trasporto, negli uffici, nei magazzini, negli spogliatoi …. i prossimi infettati, i prossimi morti sono solo effetti collaterali della guerra di posizione quotidiana del capitale nostrano ed internazionale. Una ripartenza urgente e con affanno, tanto da sacrificare sul suo altare anche la ricorrenza del 75° della Liberazione: quante volte abbiamo sentito la cantilena della liberazione dal nazi-fascismo come quella dal invisibile virus. Perfino tra le pagine del Manifesto. Dalla retorica del nulla sarà come prima di, quasi, tutti, al, presto, presto, ripartiamo di troppi. La propaganda e la retorica, la fa da padrone, come prima, più di prima.

Purtroppo la realtà materiale è, che non è, e non sarà, così. In questo breve lasco di tempo i poveri sono divenuti più poveri, altre fasce sociali sono scivolate nella classifica standardizzata di povertà, altre ancora si sono impoverite perchè senza reddito, altre, diverse, hanno bruciato risparmi e capitali, e così via. Lo abbiamo constatato e verificato nelle nostre pratiche sociali e sindacali, ce lo hanno confermato le rilevazioni statistiche di Oxfam e dell’Istat.

Mentre ci promettono miliardi, come piovessero, non arrivano i soldi della cassa integrazione, per non parlare di quella in deroga, dei bonus, delle integrazioni. Tutto il sistema di sostegno sociale contro la crisi è come imballato e presto ne emergeranno gli effetti. Se consideriamo che dalla crisi del 2008 l’Italia, in particolare, non è mai uscita dalla stagnazione economica, galleggiando a stento in ambito europeo e perdendo status nel novero dell’apparato produttivo internazionale, ora, vieppiù, il sistema produttivo italiano sarà messo a dura prova. Con esso le condizioni di lavoro, di sicurezza, di retribuzione, di reddito, per tutt*. Il disciplinamento sociale sperimentato, l’accentramento e la verticalizzazione delle decisionalità istituzionali, l’uso della decretazione d’urgenza delegata alla Presidenza del Consiglio, ai Ministri, ai Governatori regionali, a Prefetti e Sindaci rimarranno dei riferimenti, la cui efficacia è stata testata concretamente, rimangono pronti per qualsiasi emergenzialità presente e futura. Come, sempre pronti per l’uso sono la legge Salvini, che è stata da poco riproposta contro l’ong basca Aita Mari, i Daspo sociali, le disposizioni contro gli assembramenti, che da strumento di salubrità sociale sono già stati usati per intimidire picchetti di scioperanti, manifestazioni solidali, momenti di lotta. Lo ha evidenziato la stessa Corte Costituzionale, richiamando al rispetto dell’architettura istituzionale – i decreti ministeriali e della presidenza del consiglio sono atti amministrativi – e delle libertà individuali.

Quello che rimarrà come esperienza reale è la fattibilità di un rimodellamento dell’organizzazione del lavoro per milioni di persone, che hanno sperimentato il lavoro da casa, immanentemente trasformati in smart-worker, senza discussione, trattativa, contrattualizzazione, niente. In virtù di forza maggiore, come in un ‘economia di guerra’, cosi come il linguaggio ufficiale vuole rappresentare l’attuale situazione generale. E la società ha retto, ha continuato a funzionare a scartamento ridotto ma senza particolari intoppi. Una forza lavoro addestratasi, in se e per se, all’uso delle tecnologie informatiche e della comunicazione, si è dimostrata pronta, disponibile, flessibile, capace di rispondere, just-in-time, alle esigenze della produzione e riproduzione sociale. Una enorme valorizzazione capitalistica della propria forza lavoro, senza alcuna mediazione sociale, senza alcun costo aggiuntivo. Un piccolo, grande miracolo italiano, che da un lato ci da conto dell’intrinseco mutamento antropologico intervenuto e dall’altro delle potenzialità disponibili, qui ed ora, di progettazione e di soggettivizzazione sociale.
Già perchè queste masse di improvvisati smart-worker non sono dei tele-lavoratori o lo sono solo in minima parte, così come li ha individuati la contrattualistica del lavoro [il modello è l’ufficio, con orario e strumenti annessi, trasferito a casa]. Sono, invece, dei molecolari imprenditori di se stessi, che organizzano tempi, metodi, obiettivi del lavoro da erogare. Il controllo sul dipendente smart-worker si concretizza sul risultato ottenuto, sulla sua progettualità, dunque, se questo è il lavoratore cognitivo con cui abbiamo a che fare, è un nuovo cottimista, una nuova tipologia di lavoratore a chiamata. Una larga e variegata esperienza di lavoro a distanza è stata realizzata: sicuramente rimarrà la base di riferimento per la conversione di buona parte del lavoro cognitivo, quello che non abbisogna di una fisicità in presenza nel flusso della produzione socializzata. Già la Germania – notizia di ieri – lo propone, volontariamente, per un terzo delle figure che lo hanno sperimentato in questo periodo emergenziale.

In Italia, in questa fase, lo status di smart-worker è stato generosamente volontario per un milione di lavoratori della scuola, dell’università e della ricerca, che così hanno garantito la permanenza di un rapporto sociale, educativo, formativo e professionalizante a milioni di piccoli e adulti cittadini. Anche in questo caso una dimostrazione palese di una eccedenza di competenze educative, professionali, cooperative e tecniche del personale della scuola e università che ha lasciato senza parole anche i Soloni, alla Galli della Loggia, che continuano a sparare infamie contro i ‘fannulloni’. Per il prossimo anno scolastico questa pratica di didattica [lavoro] a distanza diviene coatta, strutturata, disciplinata, parte delle funzioni del insegnante. Con buona pace della libertà di insegnamento. La vorrebbero strutturale, probabilmente normata contrattualmente. Gli insegnanti condotti a diventare smart-worker a tutti gli effetti. Un bel salto di qualità verso una scuola di sistema. Capolinea per la scuola di tutt* e per tutt*, senza colpo ferire, senza sciopero subire!?

Per questo è utile e necessario rompere i criteri dell’isolamento, del distanziamento, dell’azione collettiva, delle manifestazioni, prima che questo impegno civile di autotutela, che abbiamo consapevolmente auto assunto ed imposto nei luoghi di lavoro per la salvaguardia di un bene comune qual’è la salute individuale e collettiva, venga trasformato in una gabbia sociale, in una imposizione di coatta pacificazione per rimuovere e soffocare il conflitto, trasformandolo in psicopatologia individuale. Ci hanno provato, con buoni [ma costosi] risultati con le giornate di mobilitazione e lotta del 30 aprile e 1 maggio, promosse da un cartello di esperienze sindacali e sociali radicate nei territori del Nord Italia. Altre esperienze ci hanno provato, episodicamente, a Napoli, Milano, Torino, Firenze. Non basta, una rete solidale, una coalizione sociale di scopo è importante che si componga per riconquistare l’agibilità politica e sindacale nei luoghi di lavoro, nei territori, nella società tutta.

Certo nelle crisi, come in questa crisi, si alimentano i presupposti sociali del cambiamento, ma senza il conflitto, che si manifesta, che diventa macroscopico, non si produce nessun miglioramento delle reali condizioni di vita, nessun effettivo cambio di orizzonte. Tutto rientra nel novero di quella ‘shock economy’ che ben ci ha descritto Naomi Klein. E questo non ce lo possiamo permettere per il deterioramento arrecato al pianeta Terra, per la privatizzazione dei beni comuni, per le modalità del produrre, per lo sgretolamento delle relazioni sociali, per la limitazione delle libertà individuali e collettive, per la concentrazione di ricchezze e il dilagare delle povertà a cui questo sistema, il sistema capitalistico ci ha condotto.

Se desideriamo cambiare, se siamo macchine desideranti, potremmo concentrarci su alcuni nodi a cui applicarci con metodo, con caparbietà, con forza e ingegno.

La salute pubblica e con essa le sue strutture sono, con evidenza e legittimazione sociale generale, diventate un bene comune da ridefinire e consolidare. Non abbiamo bisogno di eroi, bensì di un servizio sanitario rispondente al fabbisogno sociale. Non eroi ma medici, infermieri e strutture adeguate. Questo nodo ha implicazioni vastissime, anche per l’insieme di interessi che vi insiste. La vita, l’essere vivente è al centro del processo produttivo capitalistico, di valorizzazione, dell’estrazione di plusvalore. È un obiettivo difficile e complesso che ha la sua forza nella legittimazione acclamata socialmente.

Il diritto ad un reddito di base dignitoso è finalmente percepito come materiale espressione del diritto alla vita, non solo da segmenti della produzione socializzata, ma dalla collettività. Ora che la crisi pandemica ha messo in forse le sicurezze economico sociali di molte categorie di lavoratori che fino a ieri si ritenevano esenti da ogni instabilità. Lo stesso pontefice gli ha conferito legittimazione, richiamandolo in due omelie, tra le più significative della liturgia cattolica.

La macchina della produzione socializzata, nella pandemia, non si è mai fermata, i settori e segmenti della produzione definiti ‘necessari’ al paese sono stati oltre il 50% dell’intero complesso produttivo, tra di essi la filiera degli armamenti, dell’acciaio, della chimica. Socialmente nocivi. Ora sono tutti partiti alla gran carica. Noi tutti siamo ‘prosumer’ – produttori e consumatori – come ci ha definiti già negli anni ’80 Toffler – e forti di questa consapevolezza possiamo riscoprire la potenza del boicottaggio, tanto più nell’epoca del capitalismo delle piattaforme e delle ‘big data farm’, contro le merci e le produzioni nocive per noi e l’ambiente. Possiamo lottare efficacemente contro questo sistema di produzione direttamente e indirettamente, da produttori e da consumatori. Abbiamo in noi stessi un potere enorme.

Pensiamoci, pensateci.

Spunti sul piano economico:

EUROGRUPPO: il pasto non è gratis. Ecco cosa sappiamo a oggi. Il commento di Marco Bersani, Attac Italia

Spunti sui smart-worker:

Il lavoro ai domiciliari – di Giorgio Moroni

spunti su economia di guerra:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858113332

spunti su reddito di cittadinanza:

Basic Income Network Italia – Associazione BIN Italia

spunti sulla sanità:
https://www.medicinademocratica.org/wp/

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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