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PECORE NERE e libertà d’insegnamento.

da | 21 Set 2018 | Materiali

PECORE NERE

Opzioni di minoranza per difendere la scuola della Costituzione

di Serena Tusini

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Quando i Padri Costituenti scrissero l’Art. 33 (L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento), avevano chiarissimo il ruolo decisivo che la scuola aveva avuto nella fascistizzazione della società italiana; con questo articolo non consegnavano un’individuale libertà al singolo docente come lavoratore, ma ponevano il pluralismo e la libertà di insegnamento a garanzia della democrazia di un’intera società.
Che fine ha fatto oggi la libertà di insegnamento? Certo non è stata abolita per legge (né sarebbe possibile, visto che è inscritta nella Costituzione) e nemmeno si sta tornando al libro unico di era fascista, ma è indubbio che da diversi anni stiamo assistendo ad un’omologazione decisa e voluta dall’alto che è calata sul mondo della scuola sotto la spinta del pensiero unico neoliberista; essa non è stata sostenuta da provvedimenti normativi stringenti, ma è stata implementata da pressioni costanti e fortissime che hanno trasformato giorno dopo giorno l’azione didattica e le finalità della scuola pubblica.

Ecco alcune direttrici di tali stravolgimenti “a bassa intensità”.


1. il caso più eclatante sono i quiz Invalsi, i cui effetti sulla standardizzazione della didattica sono ormai patrimonio critico comune tra la maggioranza dei docenti e non solo;

2. i libri di testo sono ormai praticamente tutti sovrapponibili: che distanza dalla libertà di insegnamento che il singolo docente 15-20 anni fa esprimeva scegliendo il manuale da adottare, quando i testi erano diversificati per metodi e contenuti della materia di insegnamento; questo ha avuto come logica conseguenza che i presidi hanno ottenuto in molte scuole con estrema facilità che i testi fossero uguali per tutte le sezioni;

3. le prove per classi parallele sono state inserite in moltissimi PTOF, con un effetto deleterio molto simile ai quiz Invalsi, spingendo cioè verso una competizione sterile tra docenti che non tiene conto delle effettive differenze presenti tra le singole classi e tra i diversi approcci didattici;

4. libri di testo, presidi, indicazioni ministeriali spingono sempre più verso una didattica delle competenze che stravolge senso, direzione e finalità dell’atto educativo, tanto che chi continua a fare scuola concentrandosi sulla trasmissione profonda dei saperi viene giudicato un passatista;

5. programmazioni di dipartimento che pretenderebbero di sostituirsi alle programmazioni delle singole classi, come se queste non fossero composte da individui singoli portatori di singole potenzialità e/o difficoltà che dovrebbero essere al centro dell’attività di programmazione del singolo docente (anch’esso un individuo con le sue peculiarità pedagogiche);

5. ossessive griglie di valutazione standardizzate per materie, come se l’atto valutativo fosse un semplice atto meccanico, nel quale il percoso soggettivo dello studente e del docente scompaiono completamente;

6. corsi di formazione, spesso uguali ogni anno, che spingono i docenti ad allontanarsi sempre più dai contenuti delle loro discipline a favore di una didattica incentrata esclusivamente sulle metodologie, come se la conoscenza profonda degli argomenti fosse diventata secondaria e quasi facoltativa;

7. burocratizzazione delle difficoltà degli alunni attraverso sterili e spesso dannose certificazioni BES, che mettono da parte la questione centrale (le risorse economiche necessarie per aiutare fattivamente questi alunni) e che pretendono di considerare le difficoltà come patologie;

8. percorsi di alternanza scuola-lavoro che stanno imponendo alla scuola italiana il paradigma del “capitale umano”, trasformando gli alunni da cittadini in formazione a lavoratori (precari) in addestramento;

9. un’ossessiva spinta verso l’utilizzo didattico delle nuove tecnologie, quando ormai molti studi stanno rilevando come esso abbia abbassato i livelli e la qualità dell’apprendimento.

Tutto questo, dicevo, è avanzato nelle singole scuole senza imposizioni forzate (ad esclusione forse dei quiz Invalsi, che infatti hanno trovato una resistenza culturale molto forte a livello dei singoli docenti), come se fosse una libera scelta della scuola stessa; i presidi, mano longa del “cambiamento”, anch’essi sottoposti a sistematici condizionamenti ideologici da parte dei loro superiori, hanno portato queste questioni nei Collegi Docenti nei quali, complice la passività di tanti insegnanti, si è votato a maggioranza o all’unanimità determinando così un progressivo stravolgimento dell’attività didattica quotidiana, stravolgimento spesso accompagnato da una serie infinita di incombenze burocratiche che tali pratiche portano con sé.
Paradossalmente la scuola italiana, dopo il periodo fascista, non era stata mai così uniformata e centralizzata se non all’apparire dell’autonomia: non sarebbe stato il Ministero ad imporre il “cambiamento”, ma le scuole stesse avrebbero sposato le linee centralizzanti che i presidi erano incaricati di far passare nelle scuole. E così oggi le scuole “autonome” sono praticamente tutte uguali, i PTOF sono di fatto sovrapponibili e le “mission” della scuola rispondono sempre più chiaramente ai desiderata di Confindustria.
Ma la libertà di insegnamento non si può abolire, perché è inscritta appunto nella Costituzione. E infatti tutti i governi in ogni riforma della scuola sono stati costretti ad inserire un breve comma, che lascia aperta la possibilità per il singolo docente o per gruppi di docenti di dissentire rispetto a quanto deciso dalla maggioranza dei colleghi e inserito nel PTOF. Si tratta della cosiddetta “opzione di minoranza” o “opzione di gruppi minoritari” che fu introdotta in seguito a un ricorso avviato contro l’antenato del PTOF che allora si chiamava PEI (Piano Educativo d’Istituto): il giudice riconobbe, proprio in virtù dell’articolo 33, che nessuna decisione maggioritaria di un Collegio Docenti poteva sopprimere la libertà di insegnamento del singolo e dunque, da allora, fino all’odierna e famigerata legge 107, i legislatori “riformatori” della scuola sono stati costretti ad inserire una clausola che salvaguardasse la libertà d’insegnamento. Infatti attualmente il comma 14 della legge 107 a proposito del PTOF, recita: “Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari”.
Dunque ogniqualvolta si presenteranno in Collegio delle proposte che non condividiamo nel merito e/o nel metodo, possiamo/dobbiamo utilizzare questa clausola, facendo mettere a verbale la nostra contrarietà sui singoli punti e facendo valere questo comma 14 che altro non è che l’eredità lasciata dai nostri Costituenti al libero lavoro dei docenti italiani nella libera scuola della nostra Repubblica.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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I comitati di base della scuola sono un sindacato di base nato negli anni ’80 e che da allora opera nel nostro territorio e nel territorio nazionale, con docenti e A.T.A. volontari – precari e non – disposti a mettersi in gioco.

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