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IDOMENI & DIDATTICA

da | 19 Lug 2016 | Proposte

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Viene da chiedersi, mentre l’estate ci affatica, cosa fare. In questa estate nella quale anche noi insegnanti ci interessiamo ai destini dell’Europa monetaria, alla brexit, ci chiediamo se il futuro ci riserva una nuova stagione di frontiere, confini, conflitti tra nazioni oppure un rinnovato trionfo dello strapotere della finanza. Difficilmente ci viene da sperare in una nuova primavera dei popoli. Come si fa a preparare una primavera dei popoli a scuola? Come si mantiene viva la speranza di un’utopia alla faccia dello strapotere delle finanze e delle derive nazionaliste? O almeno come si mantiene aperta la mente delle future generazioni ad un futuro di speranza? Qual è la didattica che può mettere in scacco i difensori dei confini e delle gerarchie, e aprire corridoi di passaggio per questi bambini e bambine, denunciando lo scandalo della loro privazione dei diritti?

Un compito storico certamente si pone alla nostra generazione di docenti europei: essere all’altezza del periodo che stiamo vivendo, spiegare e far capire ai giovani studenti, sempre più ricchi di radici che si diramano oltre i nostri “sacri confini”, che stiamo vivendo negli anni dell’esplosione delle frontiere, della marginalizzazione dei diritti di chi fugge dalle guerre, dalla povertà, negli anni dell’arroccamento dell’Europa. Saperlo non risolve un bel nulla, ma è una premessa indispensabile per non concedere a noi stessi e alla nostra società di riconciliarsi con questa realtà satura di ingiustizie. Essere in classe facendo finta di nulla sarebbe una vergogna. E insegnare matematica o diritto non può scusare nessuno: l’indecenza peggiore è quella di chi si sente fuori da ogni responsabilità etica perché si considera solamente un tecnico dell’istruzione. Insegnare da non riconciliati significa riportare dentro le scuole la dimensione sociale dell’esistenza, fare irrompere l’attualità, le grandi disuguaglianze, i legami nascosti tra le immense ricchezze dei pochi e le cortesi emarginazioni riservate ai bambini che vengono ricacciati fuori dalle frontiere. E farlo quotidianamente, cambiando il nostro habitus, il nostro stile di docenti, senza aspettare circolari o indicazioni dall’alto, senza bisogno di trasformare il desiderio di giustizia in un progettino. Bisognerebbe entrare in classe ricordando che – se l’Europa fosse stata diversa – in quella classe ci poteva essere una delle bambine di Idomeni, uno dei ragazzi dei campi di Salonicco, e insegnare come se ci fossero realmente quei ragazzi, in attesa del loro arrivo, evocando quell’arrivo che rimane l’unica risposta che da un secolo a questa parte si deve dare a chi scappa dalle guerre e la povertà: l’accoglienza solidale.

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Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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