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Dietro ogni ” scemo” c’è un villaggio

da | 19 Set 2015 | News

Di TSO si muore. Affianco ai casi clamorosi, quelli che hanno bucato l’omertà dei mass media, quali Andrea Soldi ( Torino), Mauro Guerra ( Padova) e Massimiliano Malzone ( Salerno), eiste una realtà di sofferenza e di costrizione che la Legge Basaglia non ha potuto cancellare.

Dietro ogni ” scemo” c’è un villaggio

Intervista ad Anna Grazia
Presidente del Telefono Viola

Nel 1978 la legge Basaglia impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il Trattamento sanitario obbligatorio. Trentacinque anni dopo i passi avanti sono stati pochi, e quei pochi, col tempo, sono divenuti solo una serie di articoli e protocolli. I reparti psichiatrici sono diventati i nuovi manicomi; il Tso viene ancora effettuato senza alcun rispetto della legge, trasformatosi in una mera restrizione coatta della libertà personale, finalizzata non al reintegro del soggetto bensì ad un’arbitraria carcerazione. Viaggio all’interno di una di queste strutture ubicate nel nostro Paese

di Alessandra Micelli

Marta, 40 anni, Lombardia. Un nome di fantasia per un’età di fantasia per un luogo di fantasia. Per proteggerla da chi avrebbe dovuto prendersi cura di lei. Marta è una donna affetta da disagio psicologico non invalidante. Ritenuta invece schizofrenica dai medici, un anno fa è stata ricoverata per un trattamento non esattamente volontario. Come spesso accade, infatti, l’ospedalizzazione di Marta è avvenuto sì volontariamente, ma su “vivo suggerimento” dell’ospedale. L’ennesimo trattamento sanitario obbligatorio mascherato da trattamento volontario. Al termine della degenza, i medici le hanno prescritto – leggasi imposto – una terapia di Haldol, potentissimo neurolettico con pesanti effetti collaterali. Senza sottoporla ad alcun esame per verificare il suo stato di salute. Non un prelievo del sangue. Non un elettrocardiogramma. Niente. Dopo alcuni mesi, quando Marta manifestava evidenti effetti collaterali, ha richiesto la sostituzione dell’Haldol con un farmaco più tollerabile. Tanto è bastato perché gli addetti la minacciassero di procedere con un Tso. Esattamente come quando hanno scoperto che Marta aveva contattato il Telefono Viola, associazione che dal 1991 si occupa di tutelare le vittime di abusi psichici. Di tutelare persone come Marta.

Una volta decretata la malattia mentale, Marta si è trasformata nello scarto del sistema, nella macchia da nascondere sotto il tappeto, nelle viscere purulente di una società che vessa gli indifesi. Marta è in una strada senza uscita. Marta è la strada senza uscita. Marta non ha più voce perché qualunque cosa dirà, sarà dettata dalla follia. Il diniego di un soggetto malato, difatti, è considerato il primo sintomo della malattia cosicché persino un sano sarà sempre considerato malato se definito tale dallo psichiatra. Eppure Marta non è pericolosa. Ha un disagio – più sociale che mentale – ma non può nuocere ad alcuno. A testimoniarlo è proprio il Telefono Viola, supportato da un funzionario autorevole che conosce Marta e continua a sostenerne l’inoffensività. Ciononostante, alle numerose richieste avanzate da Anna Grazia Stammati, Presidente del Telefono Viola, il reparto psichiatrico lombardo ha rammentato – con orrore – come in Italia lo strapotere psichiatrico non tema nessuno. Come un carceriere conscio della propria onnipotenza, un torturatore tronfio, un aguzzino orgoglioso della propria carneficina. Marta, infatti – e purtroppo – non è l’unica a vivere questo dramma. Come lei c’è Aldo, sottoposto a Tso senza la prescrizione di un medico, nonostante la legge ne richieda almeno due. O Maurizio, al quale è stato impedito di vedere i familiari durante il ricovero. O ancora Franca, ricoverata in Tso sebbene non rifiutasse le cure. E Alberta, ripetutamente sottoposta a Tso perché la famiglia non vuole prendersi cura di lei. O ancora Stefania, ricoverata presso una casa famiglia per un anno perché allo scadere del termine di sessanta giorni, nessuno le ha detto che poteva andare via. E Mauro Guerra, Massimiliano Malzone o Andrea Soldi, di cui possiamo scrivere i nomi solo perché già morti. Morti di Tso.

Nel 1978 la legge Basaglia impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il Trattamento sanitario obbligatorio. Trentacinque anni dopo i passi avanti sono stati pochi, e quei pochi, col tempo, sono divenuti solo una serie di articoli e protocolli. I reparti psichiatrici sono diventati i nuovi manicomi; il Tso viene ancora effettuato senza alcun rispetto della legge, trasformatosi in una mera restrizione coatta della libertà personale, finalizzata non al reintegro del soggetto bensì ad un’arbitraria carcerazione; lo psichiatra, che avrebbe il dovere di curare i propri pazienti si è tramutato, in alcuni casi, in una sorta di dio che gioca con le vite degli assistiti come fossero pedine in un macabro gioco di società. Ancora meno, però, sono i passi compiuti dalla società moderna verso lo smantellamento del preconcetto secondo il quale una devianza comporta inevitabilmente una patologia; un ecosistema ancora impregnato di paura verso colui che agisce diversamente non tanto da quanto considerato razionale ma da quanto considerato usuale; un universo avvezzo a considerare le persone affette da disturbi mentali come lo scarto della società, la macchia da nascondere sotto il tappeto, le viscere purulente del sistema. Siamo sicuri che il vero pericolo siano loro? Proviamo a guardarci allo specchio. Chi è che fa così paura?

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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