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RELIGIONE: L’ORA DI FINIRLA.

da | 31 Dic 2014 | Materiali

Religione, l’ora di finirla

In Italia ci sono più di 16 mila docenti scelti arbitrariamente dalle Curie e che insegnano solo dottrina cattolica, ma che vengono pagati da tutti i contribuenti. Non sarebbe tempo che la politica se ne occupasse?

di Michele Sasso

La frase a inizio dell’anno scolastico del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha sollevato un vespaio: «Credo che il Paese sia cambiato, nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, confessioni e paesi diversi. Bisogna rivedere l’ora di religione». Apriti cielo: tifosi pro e contro l’insegnamento cattolico nelle scuole si sono scatenati, commentando un cambiamento di fatto della società italiana. Dietro all’ora facoltativa si nascondono, però, anomalie e storture che vengono da lontano e si sono consolidate nel tempo: privilegi, corsie preferenziali per il contratto a tempo indeterminato e scatti di anzianità migliori per chi sceglie la religione cattolica. Una carriera tutta in discesa, a partire dal reclutamento: mentre migliaia di aspiranti insegnanti di ruolo hanno una trafila da precari che dura anni, per quelli con la Bibbia in mano c’è una scorciatoia che sa di beffa.

A partire dalla loro nomina: è la Curia locale che organizza i corsi per l’insegnamento, li sceglie anche in base alla condotta morale coerente con l’insegnamento (impossibile per i divorziati e i conviventi senza il matrimonio) e decide in quali scuole mandarli. Queste regole valgono per tutti i 16.426 insegnanti che lavorano nelle scuole del Paese. Perché oltre all’assunzione, in base a concorsi e titoli, occorre l’insindacabile giudizio della Curia locale, che fornisce e toglie il “placet” in base alla sua dottrina e a criteri discrezionali. In altri termini i docenti di religione sottostanno agli ordini della gerarchia cattolica ma vengono pagati dallo Stato italiano.

«La stortura è il grande potere della Curia nella definizione della graduatorie – dice Mimmo Pantaleo del sindacato scuola della Cgil -. Di fatto l’Italia delega ad uno stato estero l’insegnamento e il reclutamento. Bisognerebbe rivedere il concordato». È infatti nel 1929 che si introduce l’obbligo della “fede in aula” anche nelle scuole medie e superiori, quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica». Anche se l’articolo del concordato è in palese conflitto con la laicità della Repubblica Italiana, è solo nel 1984 che si decide di togliere l’obbligatorietà dell’insegnamento. Anche per gli anni a seguire non cambia il criterio di selezione e per molti docenti l’opportunità della vita è arrivata nel 2003: in quell’anno l’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti decide, con il primo concorso “riservato” della storia repubblicana, di assumere definitivamente 15.383 mila professori.

Il problema principale resta il “placet” delle autorità ecclesiastiche. Per partecipare al concorso, oltre ad avere insegnato per almeno quattro anni consecutivi nell’ultimo decennio (in una scuola statale o paritaria), occorreva la certificazione di idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano. E in quasi tutte le Regioni i concorsi hanno avuto un numero di partecipanti di poco superiore ai posti disponibili. Con delle palesi storture: in Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Umbria, Veneto e Lombardia per l’elementare e la materna i posti a disposizione hanno superato gli idonei. Il concorso che tutti sognano: più posti che candidati. Tutt’altra musica per per le centinaia di migliaia di docenti precari, alcuni iscritti da decenni nelle graduatorie permanenti.

Ma non é l’unico occhio di riguardo del Governo Berlusconi per la Santa Sede: due mesi prima di passare la mano a Prodi, il consiglio dei ministri stabilì che gli incrementi stipendiali di cui avevano goduto i precari di religione prima di entrare di ruolo venivano conservati anche una volta stabilizzati.

Così quello che per i prof di religione era un handicap (il precariato a tempo indeterminato stabilito dal Concordato Stato-Chiesa) si trasformò in un vantaggio. Perché fin dal 1980 erano stati concessi scatti di stipendio maggiori, considerando la loro condizione di “precari sine die”, pagati dallo Stato italiano ma senza poter godere dei meccanismi riguardanti i colleghi di ruolo. Una volta di ruolo il privilegio rispetto agli insegnanti di altre materie é però rimasto. Due pesi e due misure ancora oggi in vigore: lo scorso luglio una sentenza della Corte di Appello di Perugia ha stabilito che gli scatti biennali spettano solo ai docenti precari di religione. Un meccanismo retributivo che consiste in aumenti del 2,5 per cento dello stipendio dopo 24 mesi.

Per tutti gli altri docenti precari nessun aumento legato all’anzianità. Così la “ricostruzione” della carriera per maturare la pensione, una volta di ruolo, avviene con un calcolo diverso: per i prof di religione tutti gli anni di precariato vengono calcolati al 100 per cento (anziché al 66 per cento come avviene per gli insegnanti delle altre materie), con un indubbio vantaggio.

Ma non é tutto. L’insegnante delle medie viene retribuito di più del collega di matematica o inglese perché considerato sullo stesso livello di un professore delle superiori: in busta paga significa 200 euro in più. «Questo diverso trattamento economico é dovuto al fatto che gli insegnanti sono spesso distribuiti su più scuole», spiega Orazio Ruscica del sindacato degli insegnanti di religione.

In più il corpo docente viene calcolato in base ad una legge che vieta l’accorpamento delle classi, anche se vi è un solo alunno che decide di seguire l’insegnamento facoltativo della religione cattolica. In tutt’altra direzione con quanto avviene, ad esempio, con i docenti di terza lingua (materia opzionale) che invece vengono calcolato in base all’accorpamento-classi. Di fatto, la religione é l’unica materia scolastica che ha l’organico di insegnanti sganciato dal numero di alunni. E le proposte di accorpamento avanzate dai sindacati per evitare gli ennesimi tagli alla scuola sono finite su un binario morto. Anche nella preparazione per andare in aula le regole sono diverse. Per le scuole primarie e secondarie già da anni maestri e insegnati devono essere laureati, mentre per quell’unica ora a settimana lo stesso principio non vale. Solo dal 2017 avranno l’obbligo dell’Università in base all’accordo sottoscritto dal ministro Profumo e il presidente della Cei (la Conferenza episcopale italiana), il cardinale Angelo Bagnasco. Per i sacerdoti, invece, rimane sempre in vigore la possibilità che sia valido il percorso di studi svolto nel seminario. Rimane un problema: quanti sono gli studenti che scelgono altre attività al posto dell’ora a settimana? Il trend di chi sceglie “di fare religione” è in diminuzione e non sembra che per il futuro siano necessari altri insegnanti. Ma lo Snadir spinge per trasformare il rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato per i quasi 3 mila docenti precari, e coprire così tutte le cattedre necessarie. Per ora con l’ultimo concorso il Governo ha dato il via libera per l’assunzione di 21 mila docenti, ma non c’è la quota per i docenti di religione.

«La legge prevede un concorso ad hoc ogni tre anni – conclude Ruscica – ma é dal 2007 che non viene bandito: chiediamo che anche i nostri contratti a tempo determinato possano passare di ruolo». Mentre gli altri 200 mila precari della scuola possono anche aspettare.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

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I comitati di base della scuola sono un sindacato di base nato negli anni ’80 e che da allora opera nel nostro territorio e nel territorio nazionale, con docenti e A.T.A. volontari – precari e non – disposti a mettersi in gioco.

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