Sono passati dodici anni dalla legge 62/2000, voluta dall’allora premier Massimo D’Alema e dal ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer. Con quel provvedimento clericale, le scuole private – a maggioranza cattoliche – ottennero la parità scolastica ed entrarono a far parte di un unico sistema di “scuola pubblica”. E cominciarono immediatamente a spacciarsi per “scuola pubblica”, minimizzando il fatto che chi si iscrive deve aderire al loro “progetto educativo” (quasi sempre cattolicista) e occultando pressoché completamente la propria natura privata.
I costi pubblici della scuola di tutti e quelli della scuola privata
Sono passati dodici anni dalla
Di pubblico, nella loro attività, ci sono quasi soltanto i cospicui contributi che ricevono. Contributi che gravano su tutta la comunità, ma che sono destinati a finanziare progetti di parte. Ciononostante, con sempre maggior frequenza i sostenitori delle scuole private si lamentano che tali fondi non bastano, e che bisogna aumentarli. L’aumento che chiedono deve per di più essere consistente, perché l’amministrazione pubblica “ha tanto da risparmiare, finanziando le scuole cattoliche”. E diffondono inchieste che sosterrebbero tale tesi.
Ma è tutto oro quello che luccica?
Finanziare la scuola privata è un risparmio per l’amministrazione pubblica?
In prima fila a sostenere la tesi del risparmio c’è il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione. In Lombardia, dove negli ultimi vent’anni si è fatto regime, in nome della sussidiarietà ha applicato estesamente il “dogma” del sostegno economico alle scuole private. E proprio
Tale stima saltava fuori proprio nel momento in cui il governo cominciava a minacciare (assai blandamente,
A maggio era stato presentato
Un ragionamento sbagliato
In realtà Colosio, nominato direttore dell’ufficio scolastico dall’allora ministro dell’istruzione, la clericale Mariastella Gelmini, è tutto fuorché un uomo imparziale: insegna all’Università Cattolica e
E tuttavia non è il fatto che le argomentazioni provengano soltanto da uomini di parte a inficiare la tesi del risparmio. Innanzitutto, la cifre presentate dal mondo cattolico sono incomplete, perché si limitano al solo contributo annuo statale, dimenticando quelli provenienti da altre amministrazioni pubbliche. Che, come ha mostrato l’Uaar nell’inchiesta
Il vizio nel ragionamento cattolico sta tuttavia ancora più a monte. Perché se, per ipotesi, il contributo pubblico alle scuole paritarie cattoliche si riducesse a zero, il risparmio per lo Stato – calcolato come lo calcola il mondo cattolico – aumenterebbe ancor di più: di circa un miliardo e mezzo.
Non è infatti dimostrato che, qualora le amministrazioni pubbliche cessassero i loro munifici versamenti alle scuole paritarie cattoliche, i loro studenti tornerebbero in massa alle vere scuole pubbliche. In fin dei conti, quando alle scuole private non finiva un solo euro, tali scuole esistevano e sopravvivevano ugualmente grazie alla rette e agli sponsor privati, e da quando ci sono i contributi pubblici l’aumento degli studenti privati c’è sì stato, ma in misura limitata (+10% spalmato su sei anni) e
Non solo: ammesso e non concesso che tali studenti tornino in massa alle vere scuole pubbliche, l’impatto sarebbe minimo. Perché gran parte dei costi pubblici sono fissi (stipendi degli insegnanti e mantenimento degli edifici) e non variabili. Qualche studente in più ripartito razionalmente non farebbe aumentare in maniera significativa i costi. Si tratta di semplici economie di scala, e la “scala” adeguata per ottenere tali economie ce l’ha soltanto la scuola statale.
Come si vede, la tesi cattolica si riduce a un concetto molto semplice: se lo Stato non investe nella scuola, risparmia. Elementare, Watson. Otterrebbe lo stesso esternalizzando tutti gli uffici pubblici in Albania, o eliminando del tutto i trasporti pubblici: tanto esistono le auto private, no? Soltanto cancellando la scuola pubblica il ragionamento tutto economicista del mondo cattolico fila. E sarebbe perfettamente coerente dal punto di vista dottrinale: era esattamente quanto voleva anche il beato Pio IX, contrario a ciò che definiva “il flagello dell’istruzione obbligatoria”.
Sostenere tesi del genere è ovviamente lecito, e i cattolici non sono gli unici a farlo: in prima fila vi sono infatti gli ultra-liberisti. I cattolici sono ultra-liberisti?
Contro la scuola privata anche molte ragioni non economiche
Curioso che ad argomentare in modo così “materiale” siano proprio i sostenitori del primato “spirituale”. Se non esistessero gli ospedali pubblici, non tutti potrebbero accedere ai servizi sanitari (come per esempio le interruzioni volontarie di gravidanza). Le discriminazioni aumenterebbero, anziché ridursi. Se ciò non accade, è proprio perché la nostra è (ancora) una democrazia. Un sistema che in Europa solo lo Stato della Città del Vaticano, che concentra tutto il potere nelle mani di una sola persona, rifiuta esplicitamente di applicare.
Lo strano argomentare cattolico non finisce qui. La Chiesa rivendica il valore coesivo della religione, ma non si premura di spiegare quale coesione vi sarebbe in un sistema scolastico diviso in tante comunità quante sono le confessioni religiose. Si avrebbe sicuramente una coesione (forzosa) all’interno di tali ghetti identitari, ma la società esterna, più che un gruppo coeso, ricorderebbe il Libano.
La Chiesa rivendica peraltro anche il diritto alla libertà religiosa. Lo fa senza sosta, ma viene spesso il sospetto che pensi esclusivamente alla propria, di libertà. Cosa fare in quei Comuni dove, “grazie” all’applicazione del principio di sussidiarietà, l’unica scuola disponibile è una paritaria caratterizzata da un progetto educativo esplicitamente cattolico? Dove finisce, in questi casi — che, in piccoli paesi, sono già adesso realtà — la libertà di coscienza e il tanto sbandierato diritto dei genitori all’educazione dei propri figli?
Non sono, queste, le uniche sostanziali assenze nel discorso cattolico. Un silenzio tombale è per esempio riservato alla qualità dell’insegnamento. Eppure tutti gli studi effettuati, siano essi opera di organismi internazionali (
Le cause di questo spread qualitativo sono del resto note. Gli insegnanti delle scuole private sono sottopagati: anche perché viene fatta loro tintinnare, in contropartita, l’acquisizione di un punteggio utile a scalare le graduatorie pubbliche.
È noto inoltre come le scuole private siano spesso la soluzione di ripiego per gli studenti bocciati in quelle statali, e le classifiche dei “diplomifici” (cfr.
La mancanza di inclusività della scuola privata è infine confermata anche dai numerosi esempi di diniego di accesso ai disabili, come hanno mostrato
La scuola di tutti ha molti limiti, ma continua a essere la scelta migliore
Sia chiaro: non stiamo difendendo gli sprechi presenti nel sistema statale. Che persistono nonostante gli interventi degli ultimi anni, forse perché si è preferito tagliare con l’accetta la didattica, anziché eliminare burocrazie e inefficienze. Tuttavia, come abbiamo mostrato, spostare fondi dalla scuola di tutti a quella privata costituisce uno spreco assai maggiore. Nonostante decenni di ministri clericali abbiano fatto di tutto per picconare l’istruzione pubblica, e nonostante i partiti (
Le scuole private non potranno mai, per definizione, essere la scuola di tutti. Rappresenteranno invece sempre progetti educativi di parte: la cui esistenza è garantita dalla Costituzione, purché “senza oneri per lo Stato”. I cittadini che lo vogliono sono liberi di destinare soldi a istituti meno competitivi di quelli statali. Ma non chiedano soldi alle tasche, sempre più vuote, di tutti gli altri.
UAAR
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