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Gridare il dissenso e pensare – e fare – un’altra scuola

da | 17 Set 2012 | News

Gridare il dissenso e pensare – e fare – un’altra scuola

di Marina Boscaino da vivalascuola

Da quanti anni la scuola non trova pace? Considerando il tempo della mia vita professionale, siamo passati – dal concorsone di Berlinguer – attraverso le 3i di Moratti, il “cacciavite” di Fioroni, la “semplificazione e razionalizzazione” di Gelmini; attraverso, cioè, aberranti stravolgimenti volontari della funzione della scuola nel nostro Paese, che hanno fatto proprie una serie di “parole d’ordine”, etichette funzionali al traghettamento verso un sistema formativo che non fosse, come non è, strumento dell’interesse generale: autonomia, personalizzazione, dirigenza, merito, valutazione, competenze, accountability, Europa, modernità.

Il neoliberismo al potere, senza se e senza ma. Non si tratta di parole negative di per sé. Anzi. Alcune di esse, se usate correttamente e concretizzate con buona fede intellettuale, restituirebbero alla nostra scuola ruolo, funzione, centralità. Tuttavia, un uso improprio e spesso manipolatorio ne ha alterato significato, intenzionalità, producendo rifiuto e negatività tra chi dalla scuola è più direttamente coinvolto: insegnanti e altri operatori; studenti; genitori. E obbligando una parte del mondo della scuola a mobilitazioni che durano ormai da quasi 15 anni, senza soluzione di continuità. Certo, si dirà, altro è parlare di portfolio di Moratti, di diminuzione del tempo pieno, di rottura del team alle primarie, altro sono stati i tentativi rabberciati di Fioroni. Quello che però ha offeso una parte di noi è che, anche quando il governo era (sulla carta) “amico”, non si è stati capaci di rendere il tema della scuola dei diritti centrale nell’interesse e nell’investimento, sia economico sia culturale, di chi aveva la responsabilità di assumere scelte e decisioni.

Oggi dobbiamo fare i conti con la sobrietà (così dicono; ma sarà poi vero?) del ministro Profumo e del governo cui appartiene. Vi sembra sobrio – leggo da Repubblica, mentre scrivo – Un computer per classe entro giugno, mentre il 30% degli edifici scolastici non ha la certificazione di agibilità statica ed è pertanto a rischio di crollo? Mentre, addirittura, il sindaco di Campobasso, constatate le disastrose condizioni di alcuni istituti, rinvia l’avvio dell’anno scolastico? Una trasmissione di qualche anno fa, La scuola fallita di Riccardo Iacona, ci diede conto visivamente dello stato di degrado inaccettabile in cui versano molti edifici. Da allora le cose non sono cambiate: si è spostata l’attenzione su altro – meno impegnativo e di maggiore impatto mediatico – in attesa della prossima (macabra) documentazione dell’incuria nei confronti di chi deve crescere. Alla prossima ondata di indignazione collettiva e passeggera, dunque.

È davvero sobria l’eugenetica pedagogica da cui siamo sommersi noi docenti, selezionati in base non al merito, alle capacità, ai titoli, ma al certificato di nascita, in nome di uno strumentale quanto ambiguo inno alla giovinezza? È veramente sobrio il fatto di somministrare a persone con curricula e titoli culturali quiz demenziali (senza il contorno di ricchi premi e cotillons)? Infine, non è privo di qualsiasi sobrietà continuare a fare annunci vuoti, senza relazione con le necessità più concrete ed immediate, promettendo una scuola “più europea”, senza mettere minimamente mano ai gravissimi problemi che assillano il nostro sistema di istruzione?

Abbiamo pensato tutto questo e molto altro. Ci siamo interrogati e ci siamo confrontati: noi, movimenti, comitati, associazioni della scuola democratica, laica e pluralista, la Scuola della Repubblica.

Abbiamo invitato all’interlocuzione forze politiche e sindacati; alcuni hanno risposto, altri si sono sottratti. L’idea di creare un coordinamento nazionale, in un momento come questo, è nata dal bisogno di non rinunciare, in una fase di annacquamento delle coscienze e di annebbiamento degli obiettivi, ad esercitare il nostro diritto alla cittadinanza attiva, la nostra funzione di insegnanti, la nostra capacità critica e propositiva in un confronto necessario e diretto e in una volontà di tentare di portare avanti insieme la mobilitazione su finalità comuni. In un desiderio di distanziarsi da chi dice no, a prescindere; dal tentativo di vendere dissenso a basso costo, senza alimentare coscienza critica.

Tutto è iniziato a Firenze, in primavera, quando un gruppo di associazioni e tavoli regionali (quelli di Toscana e Lazio) per la difesa della scuola statale si sono incontrati per la prima volta dando vita a un documento che individuava 10 sì e 10 no per la scuola statale, di cui alcuni membri del coordinamento forniscono in questa puntata un’analisi e un’interpretazione.

Ci siamo dati poi appuntamento a Bologna, il 2 settembre. Dall’incontro e dal confronto è nata la necessità di concentrare la nostra attenzione e la mobilitazione su 4 punti che riteniamo prioritari per contrastare il declino della scuola pubblica, dando vita ad un coordinamento nazionale.

L’anno scolastico è iniziato all’insegna di due istanze completamente contrapposte: gli annunci del Miur – un Pc per ogni aula, il tablet per gli insegnanti del Sud, un concorso che inciderebbe in maniera sensibile e definitiva sull’efficacia dell’azione formativa, una scuola “europea” – e la triste e tristemente concreta realtà fotografata per l’ennesimo anno dalle meste cifre di Education at a Glance: penultimi nella classifica Ocse per la spesa pubblica nell’istruzione (il 4,7 per cento del Pil, contro una media del 5,8); i docenti della scuola (età media 50 anni) che percepiscono un reddito decisamente più basso rispetto a molti altri lavoratori con un’istruzione universitaria. E così via.

Una serie di indicazioni allarmanti, che sottolineano che una parte del declino italiano nasce a scuola: una triste rivalsa per chi ha parlato – per anni – di miopia e disinvestimento culturale ed economico. Una sconfessione esplicita di quanti si sono fatti carico della politica di “semplificazione e razionalizzazione”, che si è concretizzata in una razzia ai danni del sistema di istruzione statale, delle vite di molti lavoratori, del diritto allo studio degli studenti. Di questi giorni le notizie più varie e sconfortanti: il crollo notturno del tetto di una scuola a Pordenone, nella scuola dei tablet (solo promessi) e della carta igienica (effettivamente mancante). I collegi docenti si trovano a discutere di uno dei grandi proclami estivi: il registro (e la pagella) elettronici, annunciati nella spending review e irrealizzabili nelle scuole dell’amianto e della mancanza di prese nelle aule.

L’Europa ci chiede la generalizzazione della scuola dell’infanzia; e da noi l’istruzione dai 3 ai 6 anni non è nemmeno riconosciuta come scuola a tutti gli effetti. E, come dimostra la raccolta di firma per il referendum di Bologna, è ancora fortemente sottoposta alla gestione non pubblica. Profumo parla di “autonomia responsabile”; ed ecco il silenzio-assenso sull’avanzata antidemocratica del progetto di legge 953, ex Aprea, che spiana la strada – sottraendo una materia delicatissima al dibattito parlamentare – ad una soppressione degli organi collegiali, ad un potenziamento delle prerogative dei dirigenti scolastici, a un sistema di valutazione ridotto a variabile dipendente direttamente dall’Esecutivo, ad un’autonomia statutaria, che insidierà l’unitarietà del sistema scolastico nazionale, con prepotente ingresso dei privati negli istituti scolastici e potenziale attacco alla libertà di insegnamento: dalla scuola della Costituzione alla scuola aziendale e autoritaria. Intanto, imprevisto coniglio tratto da un imprevedibile cappello, Profumo e Rossi Doria ritirano fuori la possibilità di accorciare di un anno il percorso formativo degli studenti: ce lo chiede, ovviamente, l’Europa.

Sappiamo, per una consuetudine ormai decennale e per alcuni pluridecennale con il disinteresse della politica, dell’amministrazione e di molti cittadini rispetto alla scuola, che non possiamo contare su un consenso diffuso e su una partecipazione condivisa. Ma sappiamo, noi che insegniamo e che viviamo la scuola, della scuola e nella scuola da anni, che la necessità principale, oggi, è quella di svincolarci da qualsiasi sloganismo di maniera, dai no privi di capacità propositiva alternativa, per abbracciare una dinamica costruttiva, di edificazione concreta di alternative possibili. Di un’operatività che gridi il dissenso e, al contempo, funga da spinta di propulsione per pensare un’altra scuola. O, meglio, per cercare di riportare la nostra a quel modello di strumento emancipante per tutti i cittadini che la Costituzione ha previsto.

A Roma, domenica prossima, il giorno dopo la manifestazione nazionale dei precari, cui parteciperemo e che saranno con noi, ci riuniremo ancora, per proporre le azioni di mobilitazione sui punti che abbiamo individuati come fondamentali. Ma sappiamo anche, noi che abbiamo come fine la costruzione di identità culturali che convergano in un esercizio consapevole della cittadinanza, che senza studio non si progredisce; è per questo che affronteremo questa battaglia affilando le nostre armi attraverso l’approfondimento delle nostre competenze e conoscenze: attrezzatura imprescindibile per ribadire le nostre ragioni con dignità e consapevolezza, senza velleitarismi e frasi vuote.

Due giornate di studio, sulla riforma del Titolo V della Costituzione, l’autonomia e la valutazione concluderanno infatti in ottobre il ciclo dei nostri incontri e apriranno – dopo lo studio e la riflessione – la strada alla mobilitazione concreta. Per ribadire ancora una volta il nostro no all’incuria, al dileggio, al tentativo di manipolazione, al pensiero unico, all’attacco alla laicità e ai diritti inalienabili che – attraverso facce differenti – hanno inquinato, qualcuno pensa irreversibilmente, la scuola della Repubblica. Nostro scopo e nostra volontà sarà smentire questa opinione.

Cobas Veneto

Pubblicato da: Cobas Veneto

Co.bas. Scuola

Via Monsignor Fortin 44 – Padova

Email: [email protected]

Per urgenze chiamare il 347 9901965 (Carlo)

I comitati di base della scuola sono un sindacato di base nato negli anni ’80 e che da allora opera nel nostro territorio e nel territorio nazionale, con docenti e A.T.A. volontari – precari e non – disposti a mettersi in gioco.

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