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Chi conrolla il Passato controlla il Futuro

da | 28 Ago 2025 | Cesp, Discussione

di Luca Celada (ilmanifesto.it) + red

Più volte abbiamo denunciato, riportato, chiosato sul retroprogetto di Valditara (buon epigono) e della furiosa rompighiaccio (ex assessora veneta) Donazzan insito nel revisionismo storico relativo a una molteplicità di eventi storici afferenti non solo alla Resistenza, ma anche alla denuncia esplicita del laicismo nella scuola, della introduzione di una cultura di ‘genere’, figlia, questa degenere, della generazione di insegnant* postsessantottini. Di qui il ritiro da biblioteche scolastiche e pubbliche di una selezione di pubblicazioni ‘dissacranti, fuorvianti e obnubilanti’.
La conquista di una egemonia culturale asservita alla “normalità del vivere comune” e la riproposizione in chiave contemporanea del concetto di “dio, patria, famiglia” è l’obiettivo dichiarato senza più ritegno alcuno.

Proponiamo – a tal proposito- questo reportage su quanto si sta realizzando – ora -nell’amministrazione pubblica degli USA. (GZ)

A fronte della decostruzione dell’ordine geopolitico costituito e la parallela demolizione dell’ordinamento costituzionale degli Stati uniti, l’affondo di Trump contro il museo Smithsonian potrà sembrare poco più di una megalomania accessoria. Ma l’egemonismo “culturale” è parte integrante di quella che Kevin Roberts, direttore della Heritage Society (editrice del Project 2025) definisce la “seconda rivoluzione americana,” (“che rimarrà incruenta,” ha precisato “…sempre che la sinistra non ci costringa.” – a usare violenza, ndr).

Il regno di Trump somiglia ogni giorno di più a quello di un sovrano sociopatico e mitomane ma poggia sul progetto metodicamente dettagliato nel dossier pubblicato da Roberts. Gli integralisti impegnati nella rivoluzione “originalista” non hanno intenzione di negoziare o patteggiare ma solo, come ripete instancabilmente Steve Bannon, vincere ed annientare una volta per tutto l’opposizione. L’obbiettivo è creare una nuova nazione egemone, teocratica, suprematista, isolazionista, sovrana e sovranista (oltre che, apparentemente, sprigionare un capitalismo corrotto, oligarchico e dinastico).

La concezione implica una trasformazione profonda, in grado di azzerare un secolo di politiche sociali e progressismo razziale, il new deal rooseveltiano e le riforme strappate da Martin Luther King, oltre che le premesse culturali su cui sono state predicate. Quindi scuola, scienza, etica e storia sono il terreno su cui il paese deve essere trascinato indietro verso una immaginata grandezza.

Dietro alle scenate e le pantomime quotidiane nello studio ovale, gli ideologi sono al lavoro per raggiungere le tappe del programma. I canali social ufficiali della Casa bianca o del ministero per la difesa della patria (DHS) postano meme allegorici sul manifest destiny, famiglie in preghiera nei carri dei coloni in cammino verso la predestinata conquista del continente sotto lo sguardo benevolo del creatore.

Il misticismo eccezionalista come mito fondativo è intrecciato nella storia del paese sin dai tempi delle sette puritane, dal sermone della “città splendente sulla collina” di John Winthrop, governatore seicentesco del Massachussetts, resuscitato da Ronald Reagan 40 anni fa.  Ovviamente anche l’attuale presidente mitomane ha ambizioni mitopoietiche.

Dietro al kitsch indorato della Casa bianchissima, l’eccezionalismo è apertamente invocato come valore da recuperare e celebrare, come il nazionalismo bianco e le tradizioni giudeo-cristiane. L’invocazione rituale dei “valori occidentali” è la catena che lega la seconda rivoluzione americana al rigurgito nazional populista europeo. E dal vecchio continente sono state assorbite alcune lezioni fondamentali sulla necessaria soppressione di ideologie controproducenti.

La Reichskulturkammer era stata istituita da Joseph Goebbels per promuovere la cultura tedesca e sopprimere le forme di produzione artistica “degenere” e “purificare” la Germania. Come dimostra l’arredamento dello studio ovale, Trump ha opinioni altrettanto precise sull’importanza di un’estetica di regime e anche queste esprimono una forte ostilità verso il moderno. Lo afferma ad esempio, la direttiva sulla “beautiful federal architetcure,” uno degli editti firmati da Trump il primo giorno in carica, che impone che gli edifici pubblici vengano d’ora in poi costruiti unicamente nello stile “classico” che onori il governo degli Stati uniti.

Quello fu un sintomo precoce, oscurato da dozzine di altri proclami quel giorno, del nazismo casual che avrebbe di lì a poco caratterizzato il governo della massima superpotenza. Lo stesso spirito è espresso dalla lettera inviata un paio di settimane fa alla direzione del museo storico nazionale a Washington e in cui si legge: “(Lo Smithsonian) dovrà modificare entro 120 giorni i contenuti che l’amministrazione ritiene problematici, sostituendo terminologie divisive o ideologiche con descrizioni unificanti, storicamente accurate e costruttive.”

Donald Trump ha affidato la “correzione” dei contenuti dello Smithsonian a Lindsey Halligan, avvocata del suo staff personale, già semifinalista nel concorso di bellezza Miss Colorado USA (2009 e 2010). Halligan ha entusiasticamente accettato, dichiarando, con consueta proiezione: “L’ideologia impropria è quella che distorce (“weaponizes”) la storia. Non c’è bisogno di calcare sul negativo per insegnare al pubblico che nella nostra storia vi sono anche aspetti spiacevoli. Personalmente (nel museo) ho rilevato una enfasi eccessiva sui mali della schiavitù.” “Secondo me,” ha concluso, “dovremmo enfatizzare i progressi fatti da allora.”

Fra i contenuti già segnalati come “scorretti” vi sono opere e documentazione sull’esperienza di immigranti e quadri raffiguranti latinos e Americani trans.

Evidenza incontrovertibile che, come ha detto Donald Trump, “i musei sono l’ultimo bastione del woke.” A scanso di equivoci, il presidente ha affermato : “Lo Smithsonian è fuori controllo. Con ogni argomento raccontano quanto è orribile il nostro paese, quanto era brutta la schiavitù (…) mai una volta che dicano una cosa sul successo e sul nostro radioso futuro.”

Lo Smithsonian è un ente federale creato nel 1846 per preservare l’identità storica e culturale della nazione. Gestisce 20 musei di arte storia e cultura, oltre allo zoo di Washington. Parallelamente all’evoluzione sociale degli Stati uniti, il museo nel dopoguerra ha espanso le proprie collezioni per riflettere un carattere nazionale più inclusivo delle esperienze di immigrati minoranze etniche. Nel 2004 è stato quindi aggiunto il Museo nazionale degli indiani americani. Nel 2003  ha aperto il National museum of African American History and Culture. Ora il museo sull’ “esperienza afroamericana” è fra quelli che dovrebbero smettere di lagnarsi tanto della schiavitù.

Ma ora basta col disfattismo, ha decretato il presidentissimo la cui effige è appesa ora in gigantografia da diversi edifici molto neoclassici della capitale pattugliata da soldati. “Ho dato istruzioni ai miei avvocati affinché procedano in modo identico a quello hanno che abbiamo usato con college e università dove abbiano fatto grandi progressi.” La rettifica delle università è iniziata alla Columbia, che per riavere i fondi federali sottratti ha accettato il commissariamento della facoltà di studi mediorientali.

Le querele sotto minaccia di bancarotta, una lezione bene assorbita dall’antico mentore maccartista, Roy Cohn, stanno effettivamente dando frutti intimidatori simili a quelli ottenuti con i roghi dei libri negli anni ’30 del secolo scorso.

Come sapeva bene Goebbels, una vera egemonia implica innanzitutto il controllo della storia per ricalibrare l’universo morale del presente. Le direttive museali di Trump sono quindi propedeutiche ad una nuova concezione di cittadinanza e americanità – della trasformazione della cultura in strumento “costruttivo.”

La pratica è già da tempo rodata in alcuni stati “rossi” come la Florida dove il governo Maga ha imposto a scuole ed università programmi di studio mirati all’insegnamento “classico” con enfasi sull’americanità come apice della cultura occidentale. Un decreto approvato nel 2021 dal dipartimento dell’istruzione per volontà del governatore Ron De Santis, specifica che i valori patriottici debbano formare parte integrante del curriculum scolastico. La regola impone che l’insegnamento debba favorire la formazione di un cittadino “desiderabile” ovvero che abbia “rispetto per l’esercito, i rappresentanti eletti, leader civici, amministratori pubblici e tutti coloro che difendono i valori della libertà.”

I programmi sono quindi stati appaltati a fondazioni conservatrici e teocratiche come Hillsdale College e Prager U, che fanno parte di un complesso orwelliano-industriale per la reinterpretazione della storia in chiave “anti-woke.” (Anche qui, guarda caso, una direttiva primaria è minimizzare i mali della schiavitù, come fa un cartoon per le elementari in cui un Cristoforo Colombo dal vistoso accento italiano, spiega ai bimbi che in fondo all’epoca “lo facevano tutti.”) Poi è stato un attimo, e sulle liste di proscrizione distribuite alle biblioteche delle scuole pubbliche è finito anche “Il diario di Anna Frank.”

Per quanto riguarda gli ideologi Maga, le guerre culturali fomentate strategicamente dalle destre, con intensità sempre più accanita a partire dalla Reagan revolution, si sono concluse con la sconfitta incondizionata della sinistra. E non si può dire che siano mancate le conferme a ripetizione. L’oligopolio di Silicon Valley si è inginocchiato letteralmente dal giorno dell’insediamento, le università hanno capitolato con poche eccezioni alla prima avvisaglia di fondi federali sottratti, i conglomerati mediatici hanno firmato gli assegni e licenziato chi di dovere.

Ogni resa rafforza per Trump la modalità “sovrano del Turkmenistan,” dopo gli edifici pubblici, ad esempio, il presidente ha decretato la creazione di un parco monumentale a Washington con 250 statue di “eroi americani.” Le regolari invocazioni da parte di suoi sottoposti e tirapiedi sull’aggiunta a Mount Rushmore dell’effige del capo vanno quindi perse sul serio come, nella sua mente, le farneticazioni sul Nobel per la pace che amerebbe sistemare nella bacheca dello studio ovale, accanto alla coppa FIFA che crede di potersi tenere.

In realtà il premio che ha dichiarato di agognare forse più di ogni altro è un Emmy, l’Oscar televisivo. Il presidentissimo si considera showman a tutti gli effetti e ritiene che il giusto riconoscimento al suo reality TV (The Apprentice) sia sempre stato negato dalle élites invidiose.

In quest’ottica va letta la sua appropriazione del centro nazionale per la arti dello spettacolo istituito da John Kennedy. A marzo non solo ne ha sostituto l’intero consiglio d’amministrazione ma si è auto nominato presidente. “Forse me lo do io un bel premio,” ha detto alla presentazione dei Kennedy Center Honors, assegnati quest’anno ai Kiss, Gloria Gaynor, Sylvester Stallone ed altri artisti appropriatamente “non-woke” che ha specificato di aver scelto di persona.

Già annunciato anche il progetto di cambiare il nome in “Trump Center for The Arts,” compresa la “Melania Trump Opera House.” E visto che comanda lui, anche gli stanziamenti del Congresso per il centro sono stati quintuplicati.

La modalità “caro leader,” (gli arredi imperiali dello studio ovale, la sala dei ricevimenti in stile Mar a Lago, il Rose Garden trasformato in veranda da Country Club) rappresenta da un lato l’aspetto più caricaturale del regime ma anche quello che dà il senso, di quanto sia normalizzata la paradossale metamorfosi di una società diventata irriconoscibile e pericolosamente imbizzarrita in appena sette mesi.

Il tentato assoggettamento della cultura dà la misura della rapidità con cui si è sgretolato il simulacro democratico americano e la stessa identità della nazione. Ed è un presagio nefasto per tutti i regimi liberal-democratici occidentali alle prese con le stesse forze retrograde e intolleranti, che col pretesto della sicurezza e dei valori  sono pronte a riattivare antiche pulsioni illiberali.

Pubblicato da: Redazione
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Questo che riportiamo è un articolo del sole24 che riassume lo stato delle cose con una quid di benevolenza nei confronti del MIM. La verità, aldilà del balletto dei numeri (che sono persone), sta nel fatto che anche in quest'anno...

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