Inizio 5 Discussione 5 bellicismo pedagogico
di Gianluca Gabrielli - CESP-Cobas Scuola di Bologna

………………………. Dal passato possiamo fare tesoro di alcune costanti che agiscono anche nel presente, se pure in modi diversi. La prima è che la crescita di spese in armamenti e forze armate spesso prelude ad un loro impiego nei conflitti, e ciò solitamente nelle scuole si accompagna ad un indebolimento delle istanze pacifiste e antimilitariste. La seconda costante dice che quando le nazioni entrano in guerra, le componenti di propaganda emergono con una forza potente e coinvolgono tutti i settori della società, limitando le libertà di pensiero e caricando sulla scuola pesanti ricadute nazionaliste e belliciste. Al dibattito libero subentrano le ore patriottiche, nei curricoli scolastici entrano in diverse modalità i temi militari, aumentano le pressioni per ridurre al silenzio l’antimilitarismo e per promuovere l’immagine delle forze armate. Lo vediamo bene negli ultimi anni in Russia e in Ucraina, lo vediamo strutturalmente in Israele. E in Italia?

Negli ultimi 35 anni il “ripudio della guerra” della Costituzione è stato aggirato più volte, dalla prima guerra del Golfo nel 1991, ai bombardamenti Nato alla Serbia nel 1998 e ai bombardamenti alla Libia nel 2011, producendo anche nell’opinione pubblica un cambiamento di prospettiva che vede sempre più le guerre come “azioni di polizia internazionale” e che considera le forze armate come principali garanti della pace. La sospensione dalla leva obbligatoria dal 2005 e il potenziamento del servizio militare professionale costituiscono il corollario funzionale a questa fase di proiezione internazionale dell’azione militare caratterizzata da interventi ad alto contenuto tecnologico.

Negli anni più recenti però sembra che i cambiamenti politici e strategici siano continuati facendoci entrare in una nuova fase. Il varo della politica di riarmo massiccio a livello europeo con l’aumento delle spese militari al 5% costituisce un’intensificazione senza precedenti che ha come correlativo emotivo l’invito di Bruxelles ai cittadini europei di dotarsi di un kit di sopravvivenza evocando, a sostegno delle politiche di spesa, scenari di guerra totale.

Nelle scuole la percezione di essere entrati in una nuova fase è evidente. Si è manifestata in una crescita significativa delle attività di promozione da parte sia di settori delle forze armate, sia di aziende produttrici di armi, che entrano nelle aule attraverso i percorsi di educazione civica, di preparazione al lavoro, di contrasto al bullismo, o all’opposto portano le classi nei luoghi pubblici e privati dove promuovere la valorizzazione delle forze armate.

I casi sono numerosi e puntualmente registrati dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università, nato proprio per rispondere a questi episodi sempre più sistematici, monitorandoli e denunciandoli all’opinione pubblica. Si va dalla presenza organizzata delle scolaresche alle celebrazioni patriottiche all’utilizzo dei fondi PNRR per progetti contro la dispersione scolastica (eclatante il caso di Vicenza con esercizi derivati dalle pratiche militari affidati alla società di un ex incursore in congedo), dalle visite alle caserme alle attività sulla “Patria” e sul “sacro dovere di difenderla” inseriti nelle linee guida di Educazione civica, dagli screening medici offerti ai bambini sulle navi da guerra in Sardegna alla promozione del lavoro e delle carriere militari nei Pcto con le forze armate o con aziende come Leonardo.

I collegi dei docenti, che hanno competenza sulla didattica, a volte non fermano queste proposte perché non riescono a leggere sotto il loro confezionamento “pacifista”, altre volte perché in una scuola sempre più definanziata i progetti vengono visti come occasioni a cui non sarebbe conveniente rinunciare.

Questa nuova fase trova una sanzione istituzionale nel riconoscimento della celebrazione del 4 novembre come Festa delle forze armate, legge varata lo scorso anno dal governo in carica su invito esplicito del Presidente della Repubblica. La giornata, istituita fin dal 1919 come celebrazione della vittoria nella Grande guerra e poi divenuta in epoca repubblicana Giornata dell’Unità nazionale, ora aggiunge questo riferimento esplicito alle forze armate in un’ottica esplicitamente educativa. Nell’articolo 2 infatti si invitano “gli istituti scolastici di ogni ordine e grado” a “promuovere e organizzare cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche, mostre fotografiche e testimonianze sui temi dell’Unità nazionale, della difesa della Patria, nonché sul ruolo delle Forze armate nell’ordinamento della Repubblica […] al fine di sensibilizzare gli studenti sul ruolo quotidiano che le Forze armate svolgono per la collettività in favore della realizzazione della pace, della sicurezza nazionale e internazionale”.

Il futuro non è roseo e contrapporsi nelle scuole a queste forti spinte che arrivano dalla politica non è facile, ma gli strumenti per una resistenza consapevole ci sono. Prima di tutto bisogna allenarsi a riconoscere i progetti e gli elementi didattici che promuovono la militarizzazione perché spesso sono ammantati da una retorica pacifista o presentati come neutre opportunità lavorative (in questo senso il lavoro critico dell’Osservatorio è certamente prezioso). Poi è indispensabile argomentare in modo comprensibile a colleghi, genitori e studenti le ragioni per non aderire, consapevoli che motivi che potevano apparire evidenti fino a dieci anni fa adesso non lo sono più per molti colleghi e conoscenti. Infine le decisioni nelle scuole rimangono appannaggio dei Collegi dei docenti che hanno competenza sulla didattica e che possono respingere a maggioranza i progetti e i curricoli militarizzanti. Si tratta quindi di impegnarsi in un lavoro di resistenza complesso, che come sempre in questi casi darà risultati solo se sapremo sostenerlo mettendoci in rete e cercando di comprendere collettivamente le forme inedite che va assumendo la cultura militarista.

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Pubblicato da: Redazione

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