Colonizzati da tech Usa: l’illusione di autonomia di Italia ed Ue
L’Europa continua a confondere addestramento con cultura digitale. La colonizzazione tecnologica americana prosegue indisturbata, mentre di sovranità non resta che qualche slogan buono per i convegni
Data Protection Officer autore del podcast DataKnightmare – L’algoritmico è politico (https://www.spreaker.com/show/dataknightmare)

Ci stiamo avvicinando a passi da gigante a quella che Gibson chiama “la singolarità dell’idiozia“, in inglese Singularity of Stupid. Da una parte ci sono quelli che vogliono menare i russi trent’anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e dall’altra ci sono gli Stati Uniti che non sanno decidere se preferiscono una dittatura o una guerra civile, con una crescente possibilità di ottenere entrambe.
In mezzo, c’è una dozzina di tipi oscenamente ricchi e fantasticamente stupidi, che si diverte a bruciare centinaia di miliardi in un culto millenaristico chiamato Intelligenza Artificiale.
E poi ci siamo noi delle colonie, sempre pronti a correre dietro all’ultima moda che viene da oltreoceano.
Ma se per una volta facessimo gli europei, per vedere l’effetto che fa?
Indice degli argomenti
Firefox e i motori di ricerca: una correzione necessaria
Innanzitutto, momento rettifica: ho detto qui che Firefox usa lo stesso motore di Chrome. Non è vero, mi sono confuso. Chrome, Edge, Opera, Brave, Vivaldi e molti altri usano Chromium, un motore open source mantenuto principalmente da Google, mentre Firefox, Safari e una manciata di altri perlopiù in ambiente Linux usano altri motori.
Quello che invece non cambia è che Google è fra i primi sostenitori finanziari della Mozilla Foundation che invece mantiene Firefox. Fine del momento rettifica.
ChatControl: quando la sicurezza minaccia la privacy
Una cosa buona in settimana è successa: per la terza o quarta volta è svanita al Parlamento Europeo la possibilità di passare a maggioranza la legge chiamata ChatControl, il cui scopo è di proibire la cifratura end-to-end delle comunicazioni.
La scusa è sempre la solita: siccome al terrorismo non ci crede più nessuno, il problema da risolvere è la pedofilia, secondo i proponenti dobbiamo tutti assolutamente rinunciare alla segretezza delle nostre telecomunicazioni perché la segretezza abilita reti internazionali di pedofili, e dove andremo a finire signora mia.
L’illusione della sicurezza senza privacy
L’attuale alfiere e stesore della più recente versione di questa idea che possiamo chiamare con il termine tecnico appropriato, cioè idiota, è nientepopodimeno che il ministro della giustizia danese, Peter Hummelgaard.
Agli atti va la sua dichiarazione del 21 agosto al canale danese TV2:
Dobbiamo rompere con la percezione totalmente errata che sia una libertà civile di tutti comunicare tramite servizi di messaggistica crittografata.
Il punto non è che Hummelgaard sembra di quelli che credono che se non hai niente da nascondere non hai niente da temere. Il punto è che Hummelgaard non capisce che il reato è nell’occhio di chi guarda. Come ebbe a dire il cardinale Richelieu,
Datemi sei righe scritte di suo pugno dall’uomo più probo di Francia, e io vi troverò abbastanza da farlo impiccare.
Allora, ci siamo raccontati la volta scorsa di come il rappresentante di Microsoft abbia candidamente ammesso di fronte a una commissione del governo francese, di non poter garantire la sicurezza dei dati conservati da Microsoft in server europei contro la rapacità delle agenzie di intelligence statunitensi.
E prima che qualcuno arrivi con l’importanza dell’intelligence mi permetto di ricordare due cose:
- uno, tutti gli attentati di matrice islamica degli ultimi vent’anni sono stati commessi da gente schedata e sotto “attenzione” dei servizi, tutti;
- e due, gli Stati Uniti (non San Marino, gli Stati Uniti) ci hanno messo dieci anni e la distruzione dell’Afghanistan a scoprire dove stava Bin Laden, uno che poteva nascondersi in qualsiasi grotta sperduta nelle terga dei lupi, salvo andare a fare la dialisi una volta la settimana.
Scusate l’inciso.
Sette anni di occasioni perdute
Ora, non è che il rappresentante di Microsoft abbia detto qualcosa di nuovo. Nel mio archivio, la prima volta che ho parlato di Cloud Act è l’episodio 27 della seconda stagione, 2018. Sette anni fa.
Vi ricordate, sette anni fa? Il grande problema del tech era, quando si dice il caso, un altro con l’aria da fulminato, Mark Zuckerberg, che era partito dalla sua stanzetta nel campus con un’app rivoluzionaria per votare se una studentessa era figa o cozza e quindi sembrava essere destinato a diventare il padrone dell’universo.
Storia vecchia, ma di questo vi dovete ricordare quando si parla di quel personaggio.
Il grande errore del cloud computing
Ecco. Sette anni fa il GDPR era già in vigore, il CLOUD Act era già un problema, e l’intera europa ha deciso di stracatafottersene, per dirla con Montalbano.
Nel frattempo, siccome in Europa non vogliamo farci mancare niente, i nostri CIO hanno smantellato ogni infrastruttura IT in-house, hanno dissipato ogni competenza aziendale in merito, e hanno portato a casa bonus fenomenali vendendo l’idea di quanto è bello conservare i propri dati segretissimi-strategici-preziosissimi-firmami la non disclosure, sul computer di qualcun altro, magari con libero accesso da parte dell’intelligence statunitense.
Perché gli americani hanno le loro colpe, sia chiaro. Ma ogni CIO che ha spinto per passare da infrastrutture in-house a Azure e AWS dovrà andare a Canossa indossando un saio di iuta, con l’intero consiglio di amministrazione in catene e a piedi scalzi.
Questo, se ci fosse un minimo di decenza nel mondo. Che non c’è, quindi quest’inverno li trovate tutti a Cortina accompagnati dall’amante di turno.
Non divaghiamo.
Cloud e AI di Stato nelle mani delle big tech
L’Italia e l’Europa continua a cedere sull’uso di tecnologie USA anche per servizi e infrastrutture strategiche. L’autarchia digitale che vorrebbero è infatti impossibile; troppo forte la dipendenza da tech americana.
DL AI Italia
Il disegno di legge sull’AI che l’Italia approva oggi prevede che, ove possibile, le tecnologie adottate da pubbliche amministrazioni e professionisti debbano essere italiane o europee, ma è stata confermata la possibilità di conservare dati pubblici anche su server extra-UE; in una versione precedente era stata limitata molto.
Poli strategici cloud
Persino il Polo Strategico Nazionale (PSN) in Italia e iniziative analoghe in Francia, Germania e altri Paesi europei che nascono per garantire che i dati più sensibili della Pubblica Amministrazione restino sotto controllo nazionale, sono presi da questo dilemma.
Nonostante gli obiettivi, quasi sempre questi poli si basano su tecnologie statunitensi:
Italia – Polo Strategico Nazionale (PSN)
Il consorzio guidato da TIM, Leonardo, Sogei e CDP Equity ha vinto la gara per il PSN.
TIM, tramite Noovle, è partner privilegiato di Google Cloud, e parte delle soluzioni si basano proprio su queste tecnologie.
Lo stesso vale per le opzioni multi-cloud previste, che includono Microsoft Azure.
• Francia – Bleu (Orange + Capgemini)
Partnership con Microsoft, che fornisce l’infrastruttura tecnologica Azure, adattata per soddisfare i requisiti di sovranità francese.
• Germania – T-Systems Sovereign Cloud
Partnership con Google Cloud, che fornisce la tecnologia alla base.
• Altri casi europei
Anche le iniziative “sovrane” (es. Gaia-X) prevedono forti integrazioni con hyperscaler USA, perché i player europei non dispongono ancora di un portafoglio di servizi cloud paragonabile per ampiezza e maturità.
L’America di Trump: una nuova realtà geopolitica
Improvvisamente, l’Europa si sta accorgendo che per quanto riguarda il digitale siamo, per tutti gli effetti pratici, completamente colonizzati. Nel 2018 lo eravamo un po’ di meno, ma volevi mica perderti l’idea meravigliosa del cloud, no?
Sette anni fa il problema era sostanzialmente di principio, perché gli USA erano il fratello grosso, magari un po’ prepotente, ma pur sempre fratello, insomma. Sì, bombardava di qua e interferiva nelle elezioni di là, ma lo faceva agli altri, non a noi.
Con Trump le cose sono cambiate: oggi gli Stati Uniti sono un Paese all’estremo limite inferiore dello stato di diritto.
Tutti noi che speriamo che Trump sia una ubriacatura passeggera ci rifiutiamo di vedere tre cose:
- primo, che i plutocrati statunitensi sono più trumpiani di Trump, e felicissimi di usare il peso economico e militare degli USA per ridurre la concorrenza estera, in primis quella europea; ricordiamoci che tutti i CEO del tech sono andati da Trump con il cappello in mano a pietire assistenza contro le leggi digitali dell’Unione, colpevoli a loro dire di penalizzare e discriminare le aziende statunitensi;
- secondo, l’America profonda è a ranghi serrati al fianco di Trump, pronta a tutto per risolvere finalmente i problemi del Paese facendola finita con nemici come la sinistra e gli immigrati che esistono solo nella fantasia e nella propaganda;
- terzo, Trump è vecchio e tende a prendersi molto sul serio, il che lo rende a volte di difficile gestione; ma JD Vance è il perfetto candidato per il passaggio del testimone. E Vance è una creatura di Peter Thiel, il più defilato fra i miliardari noto per avere detto che secondo lui il capitalismo e la democrazia non sono più compatibili (e lasciando capire chiaramente quale dei due secondo lui andrebbe scartato).
Occorre aprire gli occhi e capire che l’America con cui siamo cresciuti, oggi, non esiste già più oggi, e che nel migliore dei mondi possibili non tornerà per almeno una generazione.
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