Il lunedì pomeriggio, in sede Cobas a Bologna, il telefono squilla spesso e spesso, all’altro capo del filo, c’è una persona che, con la voce alterata, lamenta che il suo dirigente non le ha concesso un permesso per motivi personali perché aveva da ridire sulla motivazione, che la Dsga l’ha trattata malamente perché ha chiesto notizie su un pagamento non ancora evaso, che tal collega della dirigenza le ha mangiato la faccia perché un genitore si era lamentato di un voto basso dato al figlio. Quando, cercando di aiutare chi ha chiamato, rispondo di non preoccuparsi, che può contattare la RSU o venire in sede per far valere i propri diritti, che possiamo fare una messa in mora o che a scuola vale solo quello che è scritto, di solito la concitazione della voce lascia spazio all’esitazione e la rabbia viene inghiottita dalla paura.
Forse è per questo che, passeggiando tra gli scaffali di una libreria, mi è caduto l’occhio su questo titolo di cui, confesso, non avevo mai sentito parlare. Pur trovando la copertina, con l’immagine rielaborata di Guy Fawkes, un po’ troppo ammiccante, quel binomio di servitù e di volontarietà mi risuonava. In effetti chi cerca di fare sentire la propria voce nelle piazze e nei Collegi Docenti spesso, e non senza frustrazione, si chiede: perché siamo così pochɘ? perché dicono sempre sì anche quando non va a loro vantaggio? perché non si ribellano invece di lamentarsi e basta? E così, invogliata anche dall’edizione economica, ho acquistato questo piccolo tascabile di una quarantina di pagine (escluse prefazione e postazioni) e ho iniziato a leggerlo. La prima cosa che mi ha stupito è stata scoprire che l’autore è dell’inizio del XVI secolo e che, quando l’ha scritto, aveva una ventina d’anni; ho avuto la medesima reazione delle mie classi quando racconto loro che qualche letterato del passato faceva uso di droghe: ma come, esistevano già? Allo stesso modo mi è sembrato incredibile che allora, in un’epoca in cui ci si iniziava a interrogare sulle varie forme di dominio (Il Principe di Machiavelli) e su altre forme di convivenza possibile (L’Utopia di More) ci sia stato qualcuno che abbia posto l’accento su chi è assoggettato considerandolo non come essere passivo che va liberato, bensì come agente della propria libertà.
* CESP- Cobas Scuola di Bologna