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di LAURENCE DE COCK*

SCUOLA di CLASSE

Il ddl governativo che vorrebbe introdurre nella scuola pubblica delle ‘innovazioni’ atte a disciplinare i comportamenti degli alunni e a ‘tradurli’ in valutazione (numerica) non è una ‘novità’ in assoluto. La valutazione ai fini della media aritmetica da attribuire allo studente a fine anno scolastico – anche ai fini del giudizio di ammissione o della succesiva valutazione (lode) della maturità – è stata una specie di elastico che si è allungato o ristretto nel corso degli ultimi 20 anni rispecchiando e distorcendo i comportamenti sociali del mondo giovanile.
I pallini sparati contro l’insegnante e/o le ‘burle’ ai paruccon* sedut* in cattedra hanno aperto – a ripetizione – la canea massmediatica e il ‘partito dell’ordine e disciplina’ nella scuola, con la compiacenza del governo più reazionario che abbiamo conosciuto, se ne è fatto interprete. Aggiugendovi un tocco di classe. Infilando, appunto nel ddl, una specie di ‘avviamento al lavoro’ pensato per gli Istituti professionali ma che include anche la rinnovata veste preparata per gli Istituti tecnici.
Vi proponiamo qui di seguito alcuni stralci da un ‘ricco’ articolo pubblicato sull’ultimo numero di Le Monde Diplomatique afferente il dibattito e le scelte operate in tal senso anche in Francia. G.Z.

………………………………………………………………………………….L’arrivo al potere di Emmanuel Macron ha ridato impulso a questa fiducia nelle magiche virtù dell’«innovazione». La «scuola del futuro», i cui primi esperi- menti si sono svolti quest’anno a Marsi- glia, è il culmine della strumentalizza- zione dei metodi pedagogici alternativi, poiché si tratta di condizionare l’asse- gnazione di sovvenzioni allo sviluppo di progetti innovativi nelle scuole. «Qui vogliamo creare un’aula f lessibile per la matematica, là un laboratorio per il francese (8)», spiega Macron, che ha appena istituito un fondo di 500 milioni di euro per l’innovazione pedagogica.

Ciò significa che, nello stesso quar- tiere, certe scuole saranno dotate di attrezzature informatiche ad alte pre- stazioni, di sedie e banchi ergonomici di ultima generazione adatti ai proget- ti di «classe puzzle», mentre l’istituto vicino continuerà a vivacchiare tra i muri scrostati e dietro le tapparelle bloccate da anni. I metodi pedagogici alternativi vengono messi al servizio della competizione generalizzata tra scuole e del culto della performan- ce. In questo modo, contribuiscono a rendere obsoleti l’insegnamento e il sistema «tradizionale», legittimando le iniziative private che possono vantarsi di «innovare» al di fuori dei vincoli dell’educazione nazionale. È facile ca- pire come questi tentativi di importare metodi di insegnamento alternativi, privi di qualsiasi idea di democra- tizzazione dell’istruzione, servano soprattutto a distruggere il modello di scuola pubblica. Del resto il Mou- vement des Entreprises de France (Medef, la Confindustria francese, ndT) non si è sbagliato. Nel 2017, in occasione della sua università estiva, ha organizzato una tavola rotonda dal titolo «Freinet, Montessori, Decroly, Steiner… Cosa pensare dei metodi di insegnamento alternativi?», alla pre- senza di Blanquer, diventato poche settimane prima ministro dell’educa- zione nazionale.

La questione dell’efficacia non è semplice. In primo luogo, perché in campo educativo è un criterio difficile da misurare. La sociologia critica, seguendo le orme di Pierre Bourdieu e Jean-Claude Pas- seron, ha mostrato quanto i bambini con un alto livello di capitale culturale siano vici- ni alla cultura scolastica. Pe- dagogia alternativa o meno, se la cavano molto meglio di quelli degli ambienti popo- lari. Il fatto che la borghesia abbia la certezza che i metodi di insegnamento alternativi sono più adatti ai propri figli dipende più da una constata- zione relativa comfort – clas- si poco numerose, accompa- gnamento individuale, gite scolastiche, ecc. – che dalla misura empirica di un’efficacia.
………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..Poiché spesso si dà per scontato che i bambini provenienti da contesti popolari abbiano già bisogno di esse- re «rimotivati» e «riconciliati con la scuola», i dispositivi pedagogici tendono a prevalere sugli obiet- tivi di apprendimento. Peraltro, i metodi alternativi possono ba- sarsi su aspettative troppo impli- cite per alcuni bambini che sono più lontani dalla cultura scolasti- ca e hanno bisogno di istruzioni più chiare. Altrimenti, si rischia di creare malintesi su ciò che gli insegnanti si aspettano e di de- stabilizzare bambini a rischio. E di rafforzare le disuguaglianze a scuola.

Il ministero di Blanquer, insi- nuandosi nella breccia, ha cer- cato di dimostrare l’efficacia di alcuni metodi di insegnamento, utilizzando «dati basati sull’e- videnza», come aveva già fatto con l’esperimento di Alvarez. La «neuropedagogia», ad esem- pio, permetterebbe di distin- guere tra pratiche buone e cat- tive. Alvarez sostiene nei suoi libri che la scienza ha validato il suo metodo, ma il ricercatore universitario incaricato di mo- nitorare l’esperienza, Édouard Gentaz, è molto più cauto; so- stiene che a oggi non esistono studi che dimostrino la supe- riorità del metodo Montessori e che l’esperienza Alvarez non ha mostrato alcun risultato (11). Dovremmo allora tornare ai metodi tradizionali, i cui effetti nefasti sulle disuguaglianze educative sono ben noti? Alcuni studi hanno mostrato i risultati positivi di modelli pedago- gici ispirati all’educazione nuova in ambienti popolari. Nel suo libro So- ciologie des pédagogies alternatives (La Découverte, Parigi, 2022), Ghi- slain Leroy ricorda l’utilità dei metodi ispirati a Freinet nell’aiutare i bambini meno favoriti a progredire. Lo hanno constatato, nel 2007, i ricercatori che hanno trascorso cinque anni in una scuola Freinet nel nord della Francia (12). I metodi cooperativi, insegnan- do come lavorare agli alunni con un capitale scolastico inferiore, elimi- nando le inibizioni, incoraggiandoli a fare domande, discutere e dibattere, sembrano consentire di raggiungere i risultati degli alunni provenienti dalle classi medie.

L’efficacia di qualsiasi pratica di- pende soprattutto dal livello di for- mazione degli insegnanti, dalle loro conoscenze circa la storia e lo stato attuale della pedagogia, circa i lavori di psicologia e di sociologia dell’edu- cazione. Più che da una proliferazione di ingiunzioni ministeriali a innovare, dipende anche dalla libertà degli inse- gnanti di sperimentare in classe e do- tarsi di strumenti di monitoraggio per valutare i risultati. Le recenti riforme dell’istruzione vanno nella direzione esattamente opposta. Da stigmatizza- re, quindi, non sono i metodi di inse- gnamento alternativi, quanto piuttosto la scelta dell’istituzione di favorirne alcuni a scapito di altri; di usarli in modo improprio per nascondere ingiu- stizie educative; di farne uno strumento di richiamo a favore di nuove offerte educative private.

LAURENCE DE COCK

*da pag 17 e 18 de “Le monde Diplomatique” 23/09/2023

(Traduzione di Marianna De Dominicis)

Redazione Cobas e Cesp Veneto

Pubblicato da: Redazione Cobas e Cesp Veneto

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