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SISTEMI PENSIONISTICI

da | 13 Lug 2021 | Autodifesa

Sistemi pensionistici

di Piero Castello

Per decenni e fino alla fine della seconda guerra mondiale, i sistemi pensionistici privati e quelli pubblici hanno funzionato prevalentemente a capitalizzazione.I due predetti professori citano il caso delle due guerre mondiali come esempio limite della perdita pressoché totale del risparmio pensionistico dei lavoratori. In realtà non sono state solo le crisi belliche a far svanire i risparmi pensionistici. C’erano in continuazione fallimenti di banche, crisi economiche, finanziarie e aziendali. Un quadro che può essere tranquillamente usato per rappresentare la situazione attuale: i risparmi dei lavoratori inghiotiti attraverso crisi ricorrenti e anche senza l’alibi di una qualche crisi. Semplicemente “È la finanza, bellezza!”

Il sistema “a ripartizione” è nato come alternativa a quello a capitalizzazione ed è stato adottato nel secondo dopoguerra da tutti gli stati dell’Europa continentale. Nel sistema a ripartizione non c’è nessuna tesaurizzazione delle contribuzioni, non ci sono investimenti, i contributi dei lavoratori nemmeno lo sfiorano, il mercato finanziario. Una limitatissima frazione viene utilizzata come riserva patrimoniale per le vicende estemporanee che si possono verificare nel corso di una generazione: crisi di settore, particolari gruppi di lavoratori come gli apprendisti o i lavoratori agricoli che pagano contributi ridotti per favorire le aziende. In sostanza le contribuzioni pagate dai datori di lavoro (salario differito, sociale, pensionistico o che dir si voglia) direttamente all’INPS vengono immediatamente utilizzate per il pagamento delle pensioni dei lavoratori in quiescenza. Il sistema è, o dovrebbe essere, circolare e trasparente, e dovrebbe seguite un itinerario visibile e documentabile: dal lavoro ai salari, dai salari alle contribuzioni, dalle contribuzioni alle pensioni, dalle pensioni all’economia reale, dalla soddisfazione dei bisogni al nuovo ciclo del lavoro e dei lavoratori.

È intuitiva la capacità e la forza anticiclica dei sistemi previdenziali a ripartizione. Proprio questa funzione previdenziale costituisce un formidabile ostacolo per attenuare l’esito delle crisi finanziarie attraverso la costituzione di una domanda aggregata in grado di realizzare un impulso per la ripresa di un’economia in grado di rispondere alla soddisfazione dei bisogni e al rilancio di un nuovo ciclo economico.

I sistemi a ripartizione hanno quindi la caratteristica fondamentale di garantire e tutelare i lavoratori e i loro risparmi pensionistici, non solo nel loro importo regolamentato e certo, della sua continuità, ma anche della loro rivalutazione annuale a difesa del loro valore reale nei confronti della possibile inflazione.

Questo modello pensionistico nel suo realizzarsi costruisce una condizione di coesione sociale e di solidarietà verticale, intergenerazionale tra lavoratori attivi e pensionati, altrimenti non realizzabile. Esiste anche un livello di solidarietà orizzontale di un sistema pubblico, obbligatorio, regolato, universale, altrimenti inaccessibile, per l’attuazione dei diritti sanciti dalle costituzioni europee del secondo dopoguerra. Si tratta di forme e tipi di solidarietà diverse da Paese a Paese, ma la cui gestione è resa possibile dal modello a ripartizione. Stiamo parlando della pensione ai superstiti dei lavoratori deceduti, sostegno a categorie di lavoratori fragili, apprendisti, settori economici in difficoltà, ridistribuzione tra lavoratori con salari di entità molto diversa.

Le pensioni assistenziali

Prima che arrivassero le manipolazioni decretate da Amato, Dini e Fornero era possibile raccontare il sistema che regolava le pensioni previdenziali in forma semplice ed efficace:

a) Ogni anno di lavoro è un anno di contribuzione pensionistica.

b) Ogni anno di contribuzione da diritto a 2 anni di pensione.

c) Dopo 40 anni di contribuzione si ha diritto a una pensione del valore dell’80% dell’ultimo salario, che corrisponde all’incirca al 100% dell’ultimo salario perché la pensione non è gravata dei contributi pensionistici e sociali a cui è soggetto il salario.

d) Raggiunti i 40 anni di lavoro e contributi il regime delle pensioni pubbliche non prevede aumenti dell’importo della pensione. Chiari gli intenti di proteggere la salute del lavoratore e garantire il ricambio generazionale.

Accanto alle pensioni previdenziali (che attualmente sono 16 milioni) oggi sono presenti anche 4.411.000 pensioni assistenziali per gli invalidi civili o pensioni sociali destinate a cittadini ultra settantenni nullatenenti che non sono riusciti a mettere insieme i contributi sufficienti per la pensione previdenziale minima.

Anche le pensioni assistenziali sono considerate un diritto, secondo l’art. 38 della Costituzione: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”

Resta però fondamentale la distinzione tra le pensioni previdenziali che hanno come finanziamento i contributi salariali dei lavoratori, mentre quelle assistenziali dovrebbero essere finanziate dalla fiscalità generale.

Le pensioni sociali per gli anziani nullatenenti è stata una delle grandi conquiste della formidabile stagione di lotta degli anni ’60-’70 del Novecento e furono istituite con la stessa legge del 1969 che ha trasformato il sistema pensionistico “a capitalizzazione” nel sistema pensionistico “a ripartizione”. Ma perché si arrivasse ad una prima distinzione e separazione si dovette aspettare il 1988/89, tanto che lo Stato rimborsò una minima parte delle spese che l’INPS aveva sostenuto negli anni per le attività assistenziali accollate ai contributi dei lavoratori anziché alla fiscalità generale.

Il percorso della separazione è ben lontano dall’essere compiuto e ancor oggi i contributi dei lavoratori servono a pagare un rilevante spesa assistenziale.

Privatizzazione e finanziarizzazione delle pensioni

Questo il quadro del nostro sistema pensionistico pubblico, sul quale, però, incombono due percorsi convergenti: di privatizzazione e di finanziarizzazione.

Il primo è quello che concerne i fondi pensione privatistici detti anche pensione integrativa o complementare.

Il secondo è quello che investe l’INPS e le sue prestazioni pensionistiche sulle quali gravano le manipolazioni che si sono succedute dal 1992 e che hanno avuto per protagonisti i governi Amanto, Dini, Monti-Fornero, che hanno mantenuto “a ripartizione” il sistema pensionistico pubblico. In Italia questo sistema si giova delle contribuzioni pensionistiche più elevate del mondo. La generalità dei lavoratori (salvo poche eccezioni, apprendisti, lavoratori agricoli…) hanno una aliquota destinata alle pensioni del 33% del loro salario lordo. I paesi più prossimi a tale aliquota sono la Francia e la Germania con aliquote tra il 21 e il 23%, dovute a recenti incrementi.

Non solo aliquote più alte ma, conseguentemente, negli altri Stati, attraverso la fiscalità generale, provvedono al pagamento almeno parziale delle pensioni, anche di quelle previdenziali.

I governi antipopolari che si sono succeduti in Italia, hanno conservato la raccolta finanziaria attraverso la contribuzione salariale di lavoratori. Ma hanno introdotto caratteristiche finanziarie privatistiche ispirate dai sistemi attuariali delle assicurazioni private, nel calcolo delle prestazioni.

Le caratteristiche più pervasive sono:

a) L’innalzamento dell’età pensionabile che ha fatto crescere l’importo dei contributi versati dai lavoratori nel corso della vita lavorativa e contemporaneamente ha ridotto l’importo delle prestazioni pensionistiche di cui si gioveranno i lavoratori pensionati.

b) L’indicizzazione degli importi delle pensioni alle aspettative di vita.

c) L’indicizzazione del calcolo del monte pensioni (i contributi versati) con un coefficiente finanziario assolutamente arbitrario e indebito.

d) Il graduale passaggio del calcolo del monte pensione dal sistema retributivo a quello contributivo, determinando una diminuzione dell’assegno pensionistico.

Questo è potuto avvenire grazie al potere governativo esercitato sui media e sugli accademici e alla complicità dei sindacati di comodo che hanno avallato politiche apertamente antipopolari, le quali hanno determinato lo spostamento di quote sostanziali di ricchezza da salari e pensioni a rendite e profitti.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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