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DOVE VA LA SCUOLA DEL MINISTRO BIANCHI

da | 11 Mar 2021 | Materiali

DOVE VA LA SCUOLA DEL MINISTRO BIANCHI

di Serena Tusini

Il Ministro Bianchi (ministro tecnico targato PD) come coordinatore del Comitato di esperti il 20 luglio 2020 presentò all’allora Ministra Azzolina un rapporto per la ripartenza della scuola; il rapporto, mai divulgato, è stato prontamente pubblicato dal nuovo ministro e va oggi letto come un vero e proprio documento programmatico del nuovo corso di viale Trastevere.
Gli elementi di preoccupazione sono molteplici, perché questo economista posto a capo della scuola pubblica pare avere idee molto precise sulla direzione che la scuola dovrà intraprendere durante e soprattutto oltre la pandemia.
Il “Rapporto Bianchi è pieno di quella retorica economicista che conosciamo bene da anni: competenze, implementazione dell’Invalsi, compimento dell’autonomia scolastica, scuola digitale, ecc.
Ma alcuni aspetti, pur situandosi nel solco degli ultimi vent’anni di attacco alla scuola, rappresentano un’implementazione del processo iniziato con l’autonomia scolastica. Anche la stessa idea di autonomia, il cui fallimento è ormai sotto gli occhi di tutti, viene propagandisticamente corretta proponendo una contrapposizione tra un’autonomia cattiva (quella competitiva di stampo anglossassone) e un’autonomia buona che viene definita “autonomia solidaristica” e presentata come ideologicamente più coerente con la nostra tradizione scolastica.
Ma dietro a questa autonomia solidale sta un’idea-forza che attraversa insistentemente tutto il documento: i patti di comunità. Si tratta di accordi stretti tra scuole e realtà del territorio (“enti territoriali, terzo settore, imprese, mondo dell’associazionismo e delle professioni”), il tutto sostenuto “dalle risorse dei nuovi Fondi comunitari di cui potrà godere l’Italia nei prossimi anni”. Soldi pubblici dunque immessi nel sistema pubblico per favorire la sua privatizzazione attraverso un’integrazione profonda tra scuola e privato di cooperativa (così caro al modello emiliano da cui proviene Bianchi , ex assessore regionale all’Istruzione). Ma l’idea non è un semplice affiancamento al tempo scuola; si dice infatti che le scuole dovranno “predisporre le attività congiunte come parte organica della propria offerta didattica […] In tal modo attività formali, informali e non formali, possono essere egualmente riunite in un progetto didattico organico proposto dalla scuola […]. Sarà compito della scuola dare senso ed unitarietà ad un progetto organizzativo, pedagogico e didattico ancorato al territorio ”. Insomma la scuola dovrebbe diventare garante della “qualità” dei prodotti privati che si affacceranno, dovrà farli entrare strutturalmente nella propria offerta formativa e tenerne conto nella valutazione degli studenti: “Agli insegnanti resta la responsabilità di una adeguata rilevazione delle esperienze e dei saperi acquisiti”.
Gli Organi Collegiali saranno chiamati ad avvallare la privatizzazione della scuola, quegli organi collegiali ai quali il Ministro riserva parole di disprezzo: “È necessario eliminare la collegialità ritualistica, burocratica e standardizzata chiamando in causa lo scopo morale ed etico della professione”. Noi invece useremo gli spazi di democrazia degli Organi Collegiali per batterci contro i patti di comunità perché essi rappresentano un potente volano per la privatizzazione massiccia di interi settori dell’istruzione attraverso il sistema delle cooperative in cui lo sfruttamento della forza lavoro è enorme, oltre a rappresentare uno dei pilastri del potere clientelare. Perché continuare a pagare docenti se è possibile sfruttare a basso costo la manodopera delle cooperative? Così ore di didattica a scuola saranno sostituite con corsi tenuti dalle cooperative: perché pagare i docenti di musica, di arte, di educazione motoria se gli studenti possono usufruire di corsi forniti dal “territorio solidale”? Non vi è dubbio che l’economista Bianchi porrà al centro del suo lavoro questo obiettivo: ridimensionare la parte pubblica dell’istruzione e compensare il taglio di tempo scuola con l’ingresso delle cooperative lasciando nel contempo ancora più spazio alle agenzie formative private.
Infatti i patti di comunità si sposano perfettamente con un altro motivo ricorrente del documento, quello della essenzializzazione dei contenuti delle discipline: “occorre procedere ad una forte essenzializzazione del curricolo […]rivisitare i curricoli, andare all’essenziale delle competenze, sfrondare ciò “che si fa perché si è sempre fatto e perché è nel libro di testo”; dunque i docenti dovranno fornire competenze di base (fortemente ridimensionate) a cui si aggiungeranno le attività complementari fornite dal “privato solidaristico”.
Il tempo scuola viene proposto come fortemente ridimensionato: “La possibilità di agire anche sulla durata delle lezioni inserita in una prospettiva di organizzazione che tenda a superare lo schematismo degli orari, che lasci spazio ad attività personalizzate nei confronti di ciascun allievo in una logica di raccordo con attività sul territorio”. Il tutto senza dimenticare di sottolineare quello che viene visto come un handicap del sistema formativo italiano in quanto non abbiamo ancora tagliato un anno di scuola superiore “a confronto con quanto proposto in altri Paesi, in cui i ragazzi possono entrare nel mercato del lavoro con almeno un anno di anticipo rispetto ai ragazzi italiani”.
Si tratta, brutalmente, di un ridimensionamento consistente del tempo scuola che significherà un taglio drastico delle cattedre e un impoverimento dell’offerta formativa, un impoverimento del pubblico che specularmente arricchirà il privato delle cooperative.
Un modello fluido, che si sposa perfettamente con il mercato e con altre due idee-chiave che circolano nel documento: da un lato la personalizzazione del curriculum e dall’altro la distruzione del gruppo classe. Si parla infatti di “maggiore personalizzazione dei percorsi (sia per gli studenti più svantaggiati che per quelli eccellenti), ad esempio attraverso l’aumento della quota di opzionalità a disposizione degli studenti” o di “lavorare a classi aperte e per gruppi di livello”, una prospettiva di distruzione del gruppo classe (definito una “gabbia del Novecento”) che è un intento antico, oggi riproposto come soluzione ai problemi del distanziamento dentro le aule. Affermano: “Nessuno ha ancora fatto la Personal School, molto più interessante dell’essere Pubblica o Privata” fingendo di non sapere che proprio la personalizzazione dei percorsi è l’anticamera della privatizzazione. È un’idea inversa rispetto alla scuola della Costituzione: oggi nella formazione delle classi i docenti hanno sempre fatto in modo che in ogni classe fossero presenti ragazzi con potenzialità diverse per cui tutti svolgono lo stesso programma in un’idea paritaria di classe scolastica che contiene una precisa idea di società: è un’idea di uguaglianza, è l’idea costituzionale per la quale la Repubblica cerca di rimuovere le differenze sociali e culturali di partenza e la scuola viene investita di una potente funzione di ascensore sociale. Ma anche la distruzione dell’unitarietà del gruppo classe è un’idea di società, quella società neoliberista dove la meritocrazia e gli indvidui-monadi devono tracciare isolatamente, e non collettivamente, il proprio destino. Tale modello neoliberista permette inoltre, come nelle scuole anglosassoni, di potenziare (e selezionare) le eccellenze prematuramente e di dare il minimo d’ufficio agli altri. Il livello socio-culturale con il quale si entra nella scuola, segna in modo poco superabile il proprio percorso di formazione culturale.
Molti altri spettri si aggirano nel documento: a una deregulation del sistema scolastico, corrisponde infatti, quasi di necessità, l’individuazione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), il volano di quella autonomia differenziata che è uno degli altri pericolosi obiettivi rispetto a tutti i sistemi pubblici: quando si saranno definiti i LEP, il privato e il pubblico potranno essere pienamente equiparati e complementari nell’ottica esplicita della sussidiarietà.
E ancora: il ministro auspica la ripresa del confronto con i sindacati in merito alla carriera docenti e alla loro valutazione anche esterna per arrivare a una “definizione di forme di valutazione/apprezzamento dell’insegnamento, nonché di feed-back circa la sua qualità”; auspica un aumento delle ore di alternanza scuola lavoro nonché un accorpamento delle classi di concorso e una riduzione dell’unità oraria di lezione.
Dobbiamo batterci fuori e dentro le scuole per respingere la privatizzazione della scuola pubblica che in questi anni, a differenza di altri settori come la sanità e i trasporti, non è stata pesantemente appaltata ai profitti del mercato. Si farà leva sulle aree svantaggiate del Paese, si dirà che i patti di comunità (già attivi in alcuni territori) serviranno per colmare i gap che la pandemia ha aggravato; ma il divario non si risolve con meno scuola pubblica, ma con il suo rafforzamento; è possibile che il Ministro butti pure sul tavolo, come merce di scambio, qualche migliaio di assunzioni di precari che sono però una goccia nel mare del precariato.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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