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IL DEBITO BUONO DI MARIO DRAGHI

da | 9 Mar 2021 | Materiali

La notizia, filtrata su alcuni giornali e presto silenziata, rivela che il ministero dell’Economia e Finanza avrebbe firmato nei giorni scorsi, con “estrema riservatezza”, un contratto con la società di consulenza internazionale McKinsey per definire i capitoli del Recovery Plan.
E’ decisamente grave, ma non proprio sorprendente, che un governo nato sulle “competenze” affidi ad una società privata – fondata sulla logica del business, non certo della coesione sociale, tanto invocata nel pre e post definizione della compagine governativa – la stesura di un piano di resistenza e resilienza economico sociale che segnerà l’Italia e L’Europa del futuro prossimo venturo. A questo proposito proponiamo uno stralcio della lettura che da Paolo De Marchi del programma/progetto Draghi.
G.Z.

IL DEBITO BUONO DI MARIO DRAGHI

di Paolo De Marchi

Il nostro giudizio critico, quindi, sul nuovo Governo Draghi, sui suoi indirizzi e sugli obiettivi che, per ora, sono solo annunciati, sulle sue contraddizioni e sul guazzabuglio di interessi confliggenti tra forze politiche diverse tenute insieme da Draghi vincolandole ad un passaggio nodale, cioè la credibilità dell’Italia di fronte alla UE creditrice del Recovery fund, consentendogli la partecipazione alla finalizzazione dei fondi europei da subalterni al suo gruppo di Ministri “tecnici” (sempre che questo schema gli funzioni), non può prescindere dalla cornice globale in cui la sua azione si colloca e dal conflitto radicale, seppure di forze oggi enormemente impari, tra due prospettive opposte di fuoriuscita dalla crisi pandemica e di esistenza in un pianeta ormai irrimediabilmente infetto ma sul quale potrebbero darsi nuove prospettive di esistenza, non necessariamente basate sulla ulteriore profondità delle differenze di classe. Ipotesi quest’ultima che per il nuovo corso neoliberista di uscita dalla crisi pandemica va soffocata sino dai primi vagiti, evitando non solo che attecchiscano movimenti che vi si riferiscano ma anche solo immaginazioni in tal senso.

Va, quindi, chiarito, dopo le prime mosse di Draghi e l’illusione degli ambienti progressisti, che non siamo di fronte ad un ritorno in qualche misura del modello socialdemocratico di welfare state o anche solo ad un riavvicinamento a una prospettiva simile di società: quando Draghi parla di debito buono e debito cattivo lo fa rimanendo saldamente all’interno dell’ideologia neoliberista dominante sapendo che per l’Europa non è più il tempo di politiche rigoriste all’insegna dell’austerity ma quello di una fase necessariamente espansiva e, quindi, fatta di politiche all’insegna dello sforamento dei bilanci, utilizzando il debito per necessari investimenti.

All’interno di questo contesto egli definisce debito buono quello prodotto per favorire il consolidamento di filiere produttive tecnologicamente innovative e di prospettiva nella cornice della transizione ecologia, digitale e tecnologica, mettendo a profitto anche le opportunità fornite dalla rivoluzione algoritmica e dalle applicazioni concrete derivate dalla ricerca sulle I.A..8 Tutto questo in coerenza con quanto stanno facendo e progettando gli altri Stati capitalistici, in Europa e nel resto del mondo.

Quando, viceversa, parla di debito cattivo intende quello prodotto dal sostegno a pioggia di filiere produttive obsolete e prive o con scarsa prospettiva di crescita che, appunto, nel suo disegno andranno probabilmente sacrificate o lasciate navigare nel mercato sino a quando ce la faranno.9 Però da sole e senza più alcun sostegno economico duraturo dello Stato.

Ciò non significa che cesseranno bonus, fondi e ristori, anche distribuiti a pioggia in alcuni settori ma non saranno la parte significativa del piano e della finalizzazione dei fondi – serviranno per non far collassare troppo rapidamente alcuni settori produttivi o imprese e aziende non in grado di competere a livello europeo e mondiale, per salvaguardare la rete del commercio e della vendita al minuto dove, comunque, si determinerà una selezione con chiusure e/o aggregazioni e per garantire per alcune categorie lavorative dei salvagente seppure insufficienti allo scopo di attenuazione di una possibile conflittualità sociale. Per capire quale strada Draghi intenda percorrere con queste affermazioni basti capire che nemmeno proposte riformiste come quelle espresse dall’ex presidente dell’INPS rientreranno nei prossimi obiettivi di piano; la spesa pubblica, ad esempio, rimarrà ancorata alla logica neoliberista dominante, con sostegni sociali limitati e comunque sempre secondo principi di workfare e con investimenti mirati nei confronti del potenziamento dei servizi – compresi quelli sanitari – secondo saldi capisaldi privatistici.10

L’interesse verso le imprese capaci di innovazione tecnologica e quindi in grado di sostenere la competizione di mercato su scala internazionale, affiancato alla volontà di avviare la transizione digitale al servizio dell’innovazione e per una maggiore efficienza dei servizi, soprattutto nell’ambito dell’amministrazione pubblica, rappresenteranno un caposaldo del piano affidato a Draghi, con specifiche risorse e canali normativi adeguati a questi obiettivi. Con conseguenti dislocazioni in avanti del comando capitalistico sulla forza lavoro privata e pubblica (pensiamo solo al ruolo giocato dalle tecnologie digitali, alla cui implementazione non a caso viene dedicato un Ministero specifico, nel controllo e nella intensificazione dei tempi e ritmi di lavoro, nel controllo sociale e nella razionalizzazione della produzione, nonchè nella estensione del lavoro gratuito per l’estrazione di dati il cui impiego fornisce profitti ingenti, ancora controllo e condizionamento sociale). L’accento messo sulla necessaria semplificazione amministrativa (un reale problema del funzionamento della nostra amministrazione pubblica) presuppone modifiche che riguarderanno l’organizzazione del lavoro in questo settore, la precarizzazione di alcune funzioni, l’ulteriore estensione dell’esternalizzazione di altre, la stratificazione di funzioni e delle posizioni stipendiali.11 Si pensi al ruolo, ad esempio, che giocherà nel prossimo futuro (lo sta già facendo adesso) l’estensione del lavoro in smart working sia nel settore pubblico che in quello privato, produttivo, finanziario e bancario:12 dilatazione e aumento del tempo di lavoro sia diretto che indiretto,13 maggiore sfruttamento e evidenti benefici in termini di produttività e profitti per le imprese, le aziende, le banche o le amministrazioni pubbliche senza costi aggiuntivi stipendiali, approfondimento dei processi di isolamento del lavoratore di fronte al comando gerarchico e interruzione o difficoltà relazionale con colleghi di lavoro che farà da ostacolo a forme di autorganizzazione e rivendicazione sindacale. Un terreno questo dello smart working non a caso citato in positivo dallo stesso Draghi e persino dal neo ministro Brunetta, non solo per i risvolti di sicurezza che in periodo di pandemia consente la minore mobilità lavorativa sul territorio, bensì proprio per i benefici che l’impresa o l’amministrazione ricavano da una organizzazione del lavoro dove solo frazioni ridotte di personale si trovano in presenza mentre una parte rimane semplicemente e individualmente collegata in rete.

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Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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