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una WUHAN de noantri

da | 27 Feb 2020 | Materiali

Riportiamo qui le parti conclusive di un lungo contributo di Piero Bernocchi alla discussione e alla riflessione diffuso nella serata di ieri. Consigliamo di leggere anche il contributo dei Centri sociali del N-E “Corona virus: fisiologia della paura” presente sul sito globalproject. info

una Wuhan de noantri

di Piero Bernocchi portavoce dei COBAS

Nelle ultime ore stiamo assistendo ad un diffuso ripensamento, se non ad una vera e propria virata: i responsabili del disastro sembrano risvegliarsi da un letargo intellettuale impressionante. Un leghista di peso e considerevoli responsabilità come il governatore della Lombardia, peraltro nell’occhio del ciclone, come Fontana afferma senza timore quella che le virologhe Gismondo e Capua dicono da giorni inascoltate e sbeffeggiate (trattarsi in realtà di “poco più di una normale influenza”), mentre il premier Conte si accorge di botto che “il vero incubo è la recessione”, che “bisogna fermare il panico”, che “la Rai deve usare toni più bassi” e che “è inaccettabile che vengano posti limiti agli italiani che vanno all’estero”. Bene: ma a che si deve il “risveglio”?
Il motivo mi pare lampante. Gli sciagurati, obnubilitati dal cannibalesco, cialtrone, irresponsabile e strapaesano scontro politico permanente per far cadere o tenere a galla il governo (mentre peraltro, all’interno dei due schieramenti, Meloni cerca di fare le scarpe a Salvini dimostrandosi ben altrimenti “responsabile “ e “collaborativa”, mentre Renzi, il PD e i 5 Stelle sono in lotta permanente e demenziale per una quota sondaggistica in più) avevano pensato – credo – che “il principio di estrema precauzione adottato dall’Italia per contenere la diffusione del coronavirus sarebbe apparso a breve una lungimirante strategia difensiva presto esportata in altri paesi europei”. Ma hanno poi scoperto dolorosamente che si è trattato invece di “una preoccupante strategia masochistica”, visto che gli altri paesi europei, invece di seguire la “lungimirante strategia difensiva”, stanno approfittando – nel quadro di un conflitto economico inter-statale sempre più lacerante, essendo all’orizzonte una possibilissima, nuova ondata recessiva – delle pesantissime difficoltà autoindotte nell’economia italiana, e in alcuni settori in maniera davvero drammatica, per spolpare ciò che è ancora vitale di essa. Dunque, davanti ad un settore turistico, che è la principale fonte di reddito “esterno” per l’Italia (produce il 14% del PIL nazionale e con l’indotto porta reddito a milioni di persone), in improvvisa crisi verticale (annullate il 50% di prenotazioni dall’estero per i prossimi mesi, estate compresa), con sempre più paesi che invitano i propri cittadini a non andare in Italia e gli italiani all’estero visti come i nuovi “lebbrosi”, con la grossa parte delle attività commerciali, di ristorazione, accoglienza, artigiano, intrattenimento e spettacolo sull’orlo del baratro, il governo e le forze politiche meno delinquenziali vorrebbero tornare indietro. Solo che è troppo tardi e soprattutto si trovano, per così dire, in mezzo al guado e devono decidere su quale sponda recarsi, quella da cui sono partiti, in una sorta di “peste” modernizzata, ma con la conseguenza di andare anche oltre le chiusure già realizzate; oppure provare a raggiungere, con i rischi politici che ciò comporta, la sponda opposta e cioè accettare pienamente la versione “è poco più di una normale influenza” e trarne però tutte le logiche conseguenze. Stante che la via di mezzo, cioè restare “a mollo” come ora, ingigantisce la confusione e non attenua il panico, e potrebbe a breve mettere a nudo una gigantesca “magagna” di cui questo governo non è certo unico, e manco prevalente, responsabile ma che ha ereditato, senza però far niente per porvi almeno parziale rimedio, dalle amministrazioni precedenti (centrodestra e centrosinistra alla pari) di almeno l’ultimo ventennio. Infatti, se come è assolutamente realistico e prevedibile, il virus, pur avendo effetti letali non superiori (o di poco, e comunque su soggetti già pesantemente “segnati”) a quelli di una normale influenza, non può essere arrestato nella sua diffusione, se si dovesse insistere sull’ospedalizzazione e sull’isolamento generalizzati dei malati, assorbibili finchè i numeri sono nell’ordine delle centinaia e forse di qualche migliaio, la fragilità indotta e provocata da un paio di decenni di scellerate politiche di tagli alla Sanità esploderebbe in tutta la sua evidenza. Al proposito, così scrivono i nostri lavoratori/trici COBAS del Pubblico Impiego-Sanità: “Con qualunque governo sono stati ridotti investimenti, risorse ed assunzioni verso la sanità pubblica, privilegiando e incrementando privatizzazioni sempre maggiori e esternalizzazioni di servizi e personale verso strutture private. In Lombardia dove c’è il maggior focolaio di coronavirus la Sanità si è basata soprattutto sul taglio dei fondi della prevenzione e sui profitti dei privati… Questa grave emergenza ha avuto ed ha una colossale ricaduta per i lavoratori che operano negli ospedali e ambulatori in termini di sovraccarichi di lavoro, turni infiniti, mancate rotazioni e inefficaci interventi in termini di prevenzione e sicurezza”, oltre a mettere in evidenza “la difficoltà a pervenire ad un’omogeneità di adozione di provvedimenti emersi in situazione di emergenza” e a richiedere “di rivedere la regionalizzazione della Sanità, mettendo in soffitta i progetti sciagurati di autonomia differenziata e riportando una serie di competenze in capo allo Stato”.

In tale drammatica fragilità del sistema sanitario, mi sembra che il governo abbia due sole vie: la prima è percorrere fino in fondo la strada del “è poco più di un’influenza normale” e dunque intervenire con l’ospedalizzazione – esattamente come accade nelle influenze tradizionali – solo nei casi di soggetti debilitati e con serie patologie pregresse, lasciando che quelli in buone condizioni generali ed efficace sistema immunitario si curino a casa, conservando una parte delle limitazioni esistenti ma attenuandone altre e comunque di certo non “incrudendole”. La seconda è quella di perseverare nell’impostazione iniziale di quarantena generalizzata, isolamento e addirittura confinamento in aree modello-Cernobyl. Ma in tal caso il governo dovrebbe più o meno condividere e applicare le indicazioni che vengono appunto dai nostri COBAS Sanità e cioè “assumere personale per scongiurare episodi di quarantena di operatori sanitari che metterebbero in crisi l’intero sistema operativo; rivedere l’appalto sulle pulizie e sanificare tutti gli ospedali e strutture ambulatoriali; dotare i vari presìdi di zone di pre-filtraggio per l’accesso ai DEA, ai Pronto Soccorso e ai reparti di Malattie Infettive, nonché stanze di isolamento; fornire per il personale tutti gli strumenti previsti dalle normative in vigore, col coinvolgimento degli RLS, delle RSU e delle OO.SS. nelle misure da adottare per garantire salute e sicurezza ai lavoratori”. Tutte cose per le quali, però, il governo e il Ministero della Salute appaiono al momento del tutto impreparati, oltre che affetti dalla stessa sordità verso tali richieste che ha afflitto tutti i governi degli ultimi anni.

Che fare? Di sicuro, non farsi sottrarre la piena attività politica, sindacale, sociale e culturale

In genere, di fronte ai grandi e meno grandi eventi politico-sociali non cedo alla logica complottistica (a meno di fondatissime e documentate prove fattuali). E qui ed ora, non penso che qualcuno abbia diffuso un nuovo virus per inguaiare la Cina e tarparle le ali nella brutale competizione economica mondiale; né penso che il governo italiano abbia deciso di approfittare della situazione per ridurre ai minimi termini ogni attività politica, sindacale, sociale e culturale alternative nel nostro Paese, per garantirsi l’assenza di opposizioni di massa, o comunque significative, nei confronti dei governo e dei poteri dominanti tramite lo stato di emergenza. Ma bisognerebbe essere ciechi per non vedere – esattamente come accade a livello internazionale con le più potenti “iene” pronte a cibarsi per quanto possibile dei corpi pesantemente feriti della struttura economica cinese – quanto faccia comodo ai vari potentati lo stato da coprifuoco che si sta creando. Non solo si annullano le manifestazioni pubbliche di ogni tipo, non solo si invita a non scioperare (che peraltro non c’entra un fico secco, visto che non andando a lavorare i rischi di diffusione del virus diminuiscono: ma intanto si dà un segnale, se c’è l’epidemia a che pro’ scioperare?) ma addirittura si scoraggia ogni attività anche di incontro e di discussione. E l’effetto si vede già, con una sorta preoccupante di auto-limitazione, di autoriduzione delle proprie attività che anche strutture o reti combattive e con le idee chiare si stanno, giorno dopo giorno, imponendo anche quando non c’è una direttiva in tal senso da parte delle autorità, per un eccesso, a mio parere, di senso di responsabilità che però può tradursi (visto che di certo il virus non sparirà in un paio di mesi) in un vistoso autogol a breve. E d’altra parte anche noi dei COBAS della scuola pur con tutta la buona volontà del mondo e per non ritrovarci a ranghi ridotti, non siamo costretti a discutere di auto-riduzioni o rinvii per convegni o corsi di formazione o preparazione ai concorsi?. Insomma, anche senza bisogno di dover ricorrere a teorie complottiste, non stiamo assistendo all’instaurarsi di una sorta di gestione della società in un quadro pre-bellico e di controllo totale e reclusorio permanente da parte del sistema politico-istituzionale, senza manco che abbiano bisogno di atti apertamente repressivi, utilizzando la vera pandemia che è e sarà il panico indotto e imposto, anche se ora ci raccontano che vorrebbero limitarlo dopo averlo scatenato?. Ed è un panico e una logica da quarantena concentrazionaria che sta facendo malissimo a milioni di persone. Gli italiani stanno diventando i nuovi “lebbrosi” d’Europa, da tutti i paesi europei arriva l’invito ai propri cittadini a non venire in Italia; a Mauritius, dove gli italiani fanno parte da decenni di una delle comunità più stimate, hanno rifiutato l’ingresso, tout court, ad un aereo di italiani; l’industria del turismo tracolla e a seguire decine di migliaia di piccole attività autonome rischiano serissimamente di venir distrutte a breve e un paio di milioni di persone potrebbero ritrovarsi in mezzo alla strada quando panico e paranoie svaniranno. Insomma, almeno noi – e intendo tutti coloro, organizzazioni e singoli, che in questo spesso esasperante Paese tengono in piedi una qualche prospettiva di un mondo e di una società migliore, più giusta e più egualitaria – non dovremmo mollare: andiamo avanti con le nostre attività. Poi, chi vuole venire venga, se si hanno patologie serie pregresse si stia a casa e lo stesso facciano ipocondriaci e persone influenzabili assai dalla fobia per le malattie. Ma quelli/e con normali difese immunitarie facciano, se lo vogliono, quello che hanno fatto tutti gli anni con l’influenza che girava e sovente teneva a letto milioni di persone. Non sono cultore dell’Eugenetica, anzi mi inorridisce, non voglio distinguere tra forti e deboli, né tantomeno tra giovani sani e anziani malati (tanto più che ho una certa età) e neanche ritengo che misure precauzionali non vadano prese. Ma sono certo che sarebbe un suicidio collettivo, ben più disastroso dell’epidemia, se il panico facesse assai più danni del virus; e ritengo inaccettabile ridurre l’Italia ad una Wuhan de noantri, chiudere locali, ristoranti, supermercati, negozi, impedire ogni circolazione, bloccare treni, aerei e insomma paralizzare un’intera nazione; e, oltre a massacrare economicamente qualche milionata di persone, rendere un lazzaretto le città e un inferno da guerra guerreggiata la vita quotidiana. Ognuno/a possa decidere se andare o no al ristorante o al supermercato o ad una assemblea o riunione pubblica; si metta la mascherina se lo tranquillizza (una seria, però), si disinfetti, si lavi le mani a profusione, non tossisca o starnutisca in faccia agli altri; si evitino magari i grandi assembramenti di decine di migliaia di persone ma non si impediscano riunioni o iniziative di dimensioni ragionevoli di persone in grado di decidere se rischiare un cincinino oppure no, anche in grado allo stato del proprio sistema immunitario; non si cancelli la vita associata, politica, sindacale, culturale, lo stare insieme, la solidarietà e lo scambio tra uomini e donne associati/e, il sostegno reciproco; si eviti così di vedere l’altro/a addirittura come un nemico, un untore che mette a repentaglio la nostra integrità fisica e psichica.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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