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Competività & Bullismo. Spunti dal libro di Domenico Barrilà

da | 8 Feb 2020 | Materiali

In una società – la nostra – dove tutt* noi siamo immersi e, dunque, assorbiamo, in una comunicazione fatta di insulti, stroncature, violente allusioni sessuali, in una competizione senza esclusione di colpi dove chi ‘vince’ ha sempre ragione, in una condizione sociale dove il successo equivale a denaro, dove qualche migliaio di paperoni possiede la disponibilità economica di miliardi di persone, il bullismo non è peculiare della scuola. Questo ci ricorda il libro “Tutti bulli. Perché una società violenta vuole processare i ragazzi”, un libro snello che è utile leggere leggere. qui di seguito proponiamo stralci di due interviste al suo autore Domenico Barrilà, una rilasciata a Messina Today (vedi qui) e una all’agenzia ansa (qui). [G.Z]

Competività & Bullismo. Spunti dal libro di Domenico Barrilà

D. Cosa succede nelle pagine di Tutti Bulli?

R. “Si guarda in faccia il problema, smettendola con la patetica bugia che i comportamenti sociali violenti, quelli che etichettiamo come bullismo, siano un problema della scuola e dei ragazzi”.

D. Perché, parafrasando il sottotitolo, vogliamo processare i ragazzi?

R. “Per la stessa ragione che portava i nazisti a prendersela con gli ebrei, dislocare le proprie responsabilità sulle spalle di una componente predefinita, cercando di esorcizzare la frustrazione per la propria impotenza mediante l’individuazione di un falso colpevole”.

D. A quale responsabilità si riferisce?

R. “La diffusione esponenziale della violenza in tutti i gangli della vita politica e civile, dall’altra. Oggi, con il primato della comunicazione digitale, ogni soggetto diventa un educatore o, più facilmente, un diseducatore, capace di rovinare intere generazioni, anzi intere collettività”. L’educazione è un’esperienza testimoniale, i ragazzi recitano la parte che insegnano loro gli adulti”.

D. Un atto di accusa senza tentennamenti il suo.

R. “Lo scopo è quello di riportare il dibattito nel suo recinto naturale, fatto di osservazione diretta e riflessioni conseguenti. Da Galilei in qua non è cambiato niente, gli strumenti sono sempre gli stessi, ma vanno usati senza cedere alle mode. Essere arrivati a intestare il bullismo alla scuola e ai ragazzi è un atto di pedagogia criminale. Certo, anche la scuola è teatro di violenza, ma proprio perché è immersa in un contesto che mai era stato così tentato dalla prepotenza, a tutti i livelli”.

D. Parlava di antidoti prima.

R. “Comincerei da quelli istituzionali. Ci sono due ministeri decisivi, affidati quasi sempre a figure di risulta, mi riferisco al Welfare e alla Scuola. La partita di un paese come il nostro, con tutte le contraddizioni e i tormenti dell’oggi, si gioca mettendo le persone migliori alla loro guida. Se scorri i nomi degli individuali che si sono occupati di questi due enormi presidi, il comparto scolastico e quello dei servizi alla persona e alla famiglia, negli ultimi 20 anni, ti domandi perché le cose dovevano essere diverse da come sono”.

D. Quali gli altri antidoti?

R. “Soprattutto di uno, l’educazione. Generare un figlio talvolta può diventare un modo per elevarsi attraverso di esso, usandolo come ascensore, ma così mettiamo sulle spalle delle giovani generazioni il peso di tutte le cime non conquistate dai genitori. Un peso terribile, che finirà per schiacciarli, privandoli della gioia di stare al mondo e riempiendoli di rabbia contro il mondo, avvertito come un mostro che si oppone alla realizzazione dei propri sogni”.

Lo specialista ribalta la prospettiva culturale con cui finora è stato trattato l’argomento, spostando lo sguardo dai ragazzi al mondo degli adulti che processano i “bulli” senza fare i conti con il sistema educativo e culturale da cui tali comportamenti violenti si generano.

“Siamo immersi in un brodo di bullismo. Perché una società violenta vuole processare i ragazzi? Prima converrebbe approfondire come stanno davvero le cose. Il mondo è diventato bullo, la sopraffazione dilaga in primis fra gli adulti. L’aggressività si annida nelle famiglie, è sfruttata a tutti i livelli e anche da quei personaggi pubblici che al contrario dovrebbero agire per il bene comune, come i rappresentati del mondo della politica che urlano nei talk show, prevaricando gli altri mostrandosi vincenti. I comportamenti violenti sono sempre più frequenti, dentro e fuori le case, come si può pensare che i bambini non ne acquisiscano i comportamenti?.
Gli atti di prepotenza sono dannosi non solo per la vittima, lo sono anche per lo stesso bullo che in realtà nasconde grandi fragilità che derivano da carenze familiari, dal sentirsi incapace, un fallito. Il bullo però conosce la strada della sopraffazione e la mette in opera. “Piuttosto che cadere io faccio cadere gli altri” è il suo pensiero nei confronti del gruppo dei pari. E’ franato il ‘sentimento sociale’ che equivale ad avere un genuino interesse verso il prossimo. Il bullismo è un allarme sull’intera struttura sociale, anche in chiave evoluzionistica perché vengono meno la collaborazione e la solidarietà e non preoccuparsene provoca danni gravi a tutti”.

Il fulcro della questione non è perciò concentrasi sui singoli casi di bullismo ma allargare lo sguardo: i prevaricatori hanno perso il senso naturale ed ‘evoluzionistico’ della cooperazione umana, qualità che ha permesso alla nostra specie di evolversi e prevalere. Perso il ‘sentimento sociale’ di supporto e di generosità fra simili l’equilibrio si è spezzato.

“Se non ne prendiamo atto di questo aspetto, della perdita del valore del sentimento sociale di supporto, sarà sempre peggio” precisa l’autore che boccia anche gli interventi coercitivi nei confronti dei ‘carnefici’ perché ripeteranno le violenze. “Ogni caso di sopraffazione cela una storia unica di sofferenza. Quel comportamento andrebbe prima compreso e poi educato. Il bullo è frutto di errori pedagogici reiterati, trattandolo in modo ‘poliziesco’ lo rovineremo”.

La prevaricazione ha anche una altra radice, relativamente nuova e profondamente legata alla società contemporanea orientata ad esaltare i vincenti e rinnegare i fallimenti.

“Educare i propri figli a vincere non tollerando i loro insuccessi grava sulle loro spalle provocando distorsioni e grande senso di frustrazione, – sottolinea Barrilà. “Quante volte ci si sente dire di vivere ‘alla grande’, come un ‘top player’ distorcendo la realtà perché è veramente coraggioso chi acquisisce la capacità di tollerare l’insuccesso, che è parte integrante della nostra vita e molto più presente di quanto non lo sia il successo”.

Cesp Veneto

Pubblicato da: Cesp Veneto

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Il CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica di Padova, è nato nel luglio del 2004. In questi anni, oltre a promuovere dibattiti, presentazioni di libri, rassegne cinematografiche e spettacoli teatrali inerenti al mondo dell’istruzione, ha sviluppato decine di convegni sul territorio.

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